12 anni Schiavo è un film del 2012 vincitore dell’oscar al Miglior Film, per la regia di Steve McQueen, al terzo lungometraggio, dopo Hunger e Shame. Il film è tratto dall’omonima biografia di Solomon Nurthop, interpretato da Chiwetel Ejiofor, un violinista di Saratoga Springs. Questi viene ingannato da due falsi agenti di spettacolo e si reca dunque a Washington, dove dopo essere stato drogato viene imprigionato, frustato, privato dei documenti e portato in Louisiana, dove rimarrà in schiavitù fino al 1853.
Da li cambierà tre volte padrone e lavorerà nella piantagione di cotone del perfido schiavista Edwin Epps, interpretato da Micheal Fassbender, attore feticcio di McQueen. Seguiremo quindi i suoi dodici anni di sopravvivenza, tra rimpianti per una vita passata libera e normale, e la frustrazione per la condizione di schiavo attuale.
Un film sul corpo
McQueen, dopo film più intimi e piccoli come il dramma politico Hunger, che racconta la vita del dissidente politico irlandese Bobby Sand, e Shame, che attraversa la vita di un ninfomane, nel 2012 decide di realizzare un film più ampio. Prende la storia particolare di un musicista nero, non schiavo, che si ritrova a diventarlo per 12 anni, e la fa sua.
Tornano gli stilemi di McQueen, come la raffigurazione del corpo, che nei suoi film è sempre oggetto di potere e dominio, ma anche di ribellione. Un potere che dagli schiavisti bianchi è esercitato attraverso vessazioni e frusta, mentre l’unica arma che invece ha Salomon è la sopravvivenza. Emblematica è la scena in cui il nostro protagonista viene impiccato e rimane così per due giorni tra la vita e la morte, con questi campi larghi che ci mostrano la vita nella piantagione che continua ad andare avanti.
Come nei film precedenti, anche in 12 Anni Schiavo il corpo è una tela su cui scrivere e raccontare la psiche dei personaggi. I protagonisti di McQueen spesso subiscono sé stessi e la situazione per poi capire come cambiarla.
Inoltre, in questo suo terzo film, che aveva appunto ambizioni più grandi, e che è stato prodotto da Brad Pitt, il cast è ampio e di rilievo. Oltre ai già citati Fassbender ed Ejiofor, troviamo attori del calibro di Benedict Cumberbatch, Paul Dano, Paul Giamatti, Brad Pitt, Lupita Nyong’o, Sarah Paulson.
Tutti con delle piccole parti che costruiscono l’ambiente che Solomon ha trovato nelle piantagioni in questi 12 anni. Ogni personaggio sembra quasi un archetipo, dal padrone violento, a quello benevolo ma che non libera gli schiavi, dalla schiava complice a quella maltrattata. Archetipi che compongono una narrazione compassata ma costante, che ricorda un po’ il ritmo di un romanzo. Spicca su tutti l’interpretazione di Paul Dano, che dà vita a un sottoposto del personaggio di Fannbender, rabbioso ma non autorevole, figlio del potere e di quello che comporta, il male senza sapere di esserlo.
12 Anni Schiavo è un modo per raccontare il potere
12 Anni Schiavo si conclude col fortunato incontro del personaggio di Brad Pitt, un convinto abolizionista canadese, che per caso ascolta la storia di Solomon e riesce a contattare la sua famiglia e a liberarlo.
Ciò che rimane negli occhi non è quell’unico atto di fortuna, che ha salvato la vita a un singolo individuo, ma quei mille atti di vessazione e cattiveria che hanno colpito le anime e i corpi degli schiavi durante tutto lo scorrere del film. McQueen utilizza la storia di Nurthop per attraversare il mondo schiavista, fino all’osso, rappresentando l’istinto di superiorità che si instaura all’interno delle comunità e che difficilmente scompare.
12 Anni Schiavo rimarca ancora una volta il tocco di Steve McQueen. La sua poetica, fino al terzo film rispettata, racconta il potere attraverso il corpo, che in questo film trova l’aiuto di una regia maestosa e una narrazione di ampio respiro.
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