Kurt Russell compie 70 anni e conserva il suo innegabile fascino in quella coppia di baffoni argentati di The Hateful Height (2015). Tuttavia, molto prima che lo accalappiasse Quentin Tarantino, uno dei primi film che l’ha consacrato come antieroe cyberpunk per eccellenza è 1997: Fuga Da New York (1981) di John Carpenter, disponibile in streaming su CHILI.
Un cult firmato dall’eclettico sguardo di Carpenter, alchimista dell’altro volto dei B-Movie. Quelli forgiati da una cura certosina dei dettagli e da un velo di attese che offre alla funambolica giostra di eventi la loro perfetta realizzazione.
Così Kurt Russell abbandona il visino pulito da protagonista Disney e si avvolge nel marasma di violenza e oscurità che invade le strade di una distopica Manhattan. Al suo fianco il padrino John Carpenter, maestro di stile che coglie le potenzialità dell’attore, preferendolo al più rodato Tommy Lee Jones. Ed è una scommessa vincente, dato che Jena – in inglese, Snake – Plissken è un simbolo estetico degli anni Ottanta. Un’epoca dove l’omaggio alla fantascienza incontra il cinema d’azione in un ritratto pregno di contemporaneità.
La prigione imperialista di una New York morente
La voce della produttrice Debra Hill, fedele collega di Carpenter sin dalla creazione di Mike Myers (Halloween, 1978) apre la narrazione di 1997: Fuga da New York. Su uno schermo nero pennellato di scritte bianche vediamo quindi come nasce il setting della storia nel 1988. In una New York invasa da un aumento del 400% della criminalità, il distretto di Manhattan viene recintato da alte barriere cementate. È una prigione, dove non vi sono guardie, ma domina incontrastata una criminalità che si fa legge da sola.
Così si apre il 1997, dove da dieci anni la polizia e l’esercito controllano dall’esterno quel mondo sommerso. C’è chi non è d’accordo, il Fronte di Liberazione Nazionale, contrario a una gabbia imperialista che punisce gli stessi vizi di cui si è macchiato il governo. Il primo responsabile è quindi il Presidente degli Stati Uniti. E John Carpenter non può che guardare allo Scandalo Watergate (1972) di Richard Nixon e a quella rete di sevizie politiche che è complice del disfacimento della moralità collettiva.
A chi appartiene l’umanità?
Così la deumanizzazione appartiene tanto alle guardie quanto ai prigionieri. Per questo lo sguardo si sposta indifferente dall’algidità degli immacolati spazi degli ufficiali alle strade sporche e putrescenti di una città abbandonata a sé stessa. Qui i criminali si dividono tra i pittoreschi gipsy al servizio del Duca (Isaac Hayes) e l’orda affamata dei predatori notturni. Sono questi i famelici cannibali figli delle fogne che, ogni ultimo del mese, riaffiorano dai tombini per cibarsi. La sopravvivenza primitiva, violenta e animale è il sottile filo che separa i due lati della barriera.
Nonostante una civilizzazione conservata, gli ufficiali indossano infatti ghigni disinteressati e hanno a cuore solo una missione. Questa consiste nel salvare il Presidente, o meglio, la sua preziosa valigetta, quando viene fatto prigioniero dalle bande criminali. Il suo aereo è dunque vittima di un dirottamento direzionato del FLN che mette in pericolo una misteriosa verità registrata in una videocassetta, indispensabile per la salvezza del mondo.
Ecco quindi che il commissario Bob Hauk (Lee Van Cleef) chiama a rapporto Jena Plissken (Kurt Russell), un uomo dal passato controverso, forse l’unico brandello di umanità consapevole rimasta.
Come Kurt Russell rende iconico il guerriero bendato
Sin da subito, Jena si distingue per il suo stile punk, con tanto di giacca in pelle sgualcita e anfibi neri al ginocchio e quella profonda voce alla Clint Eastwood. Sull’occhio sinistro porta una benda nera, scelta dello stesso Kurt Russell e sembra rievocare la verve di Han Solo, ma senza quella patinata ironia da bonaccione.
Perché Jena è un ex ufficiale, ex criminale, condannato all’ergastolo e in cerca di una libertà che solo il recupero del Presidente può conferirgli. Così il suo primo impatto mira al terrore e alla paura. Non a caso, quando Kurt Russell stava girando una scena nel brutto quartiere di East St. Louis (Illinois), spaventò un passante.
Ma sin da subito Jena ci piace e siamo strettamente vincolati a quelle 24 ore di tempo che ha a disposizione per la sua missione. Sono impresse su un orologio e regolate da capsule fatali iniettate nel sangue. Il nostro antieroe deve farcela oppure morirà. Tuttavia sin da subito Plissken svela le sue capacità da soldato e un immancabile sangue freddo. Lo accompagna poi un cobra tatuato sulla pancia, simbolo egizio di immortalità e sensualità. E motivo per cui, anche in Italia, avrebbe dovuto mantenere il soprannome di Snake.
In 1997: Fuga da New York la regia di John Carpenter parla
Come sempre i coreani sono un passo avanti a tutti, dato che, nella loro versione, Jena si chiama Cobra. E questo piccolo dettaglio fa capire come una complessa architettura di genere abbia bisogno di minuziose cure. Per questo John Carpenter non rinuncia a niente che possa comunicarci qualcosa. A partire dal temibile orologio che Jena continua a consultare, davanti all’incedere frenetico del tempo, oppure il tic all’occhio del Duca. E tali dettagli nevrotici e carnali contrastano con la sterilità delle insegne della prigione, del vagone ferroviario e del cartello che regolamenta la disciplina nella base militare.
Al tempo stesso il regista gioca con i campi lunghi che, nella loro pervasività descrivono con perizia l’ambiente. Così le scene notturne della Manhattan criminale si avvolgono di ombre di passanti sulle pareti, di catorci infuocati e una testa impalata al suo destino. Il tutto abbraccia poi l’evocazione delle scene panoramiche dall’alto o degli skyline al tramonto della città. Fortemente intimi, nonostante la lontananza.
C’è poi quel tocco artistico che ispeziona luci e ombre, con fattezze alla Caravaggio. Lì emergono quei volti chiaroscurali, che enfatizzano l’apporto distintivo dato dai personaggi.
Una parata di identità iconiche
Così, laddove l’umanità è perduta, a connotare i personaggi emergono i costumi. Questi associano i bagordi della perdizione ai Guerrieri Della Notte (1979) di Walter Hill. Dai gilet in pelle senza maniche alle bandane alla Jimi Hendrix, i personaggi vestono i panni di guerrieri metropolitani sopravvissuti. Alcuni di loro sembrano riaffiorare dalle ceneri di Woodstock, altri paiono come ferrovieri impomatati della loro sporcizia. E tale distinzione, in un limbo temporale sospeso, identifica le bande.
Si citano Turchi e Indiani d’America in un ginepraio cosmopolita dove l’appartenenza è ora sancita dalle regole della prigione cittadina. Questa vive dei mondi che si sono creati al suo interno e che sono chiaramente gerarchizzati. Per questo uno degli aspetti più appaganti del film è dato dalle patinate macchine al servizio del Duca. Auto anni Settanta, soverchiate da gingilli identificativi. Basti pensare ai lampadari sul cofano di quella del Duca e alla piccola disco ball al suo interno. Poesia in chiave gipsy.
Quando Carpenter creò un cult, tra colonna sonora e immagine
Non solo le immagini, ma anche la musica, composta dallo stesso Carpenter, scrive la storia. Così si passa dall’Organo alla Dario Argento verso tonalità più funky. Ogni fotogramma ha la sua peculiare evoluzione, che fonda la sua prima chiave contemplativa sull’immagine. In 1997: Fuga Da New York non c’è patetismo per la morte o gloria invocata per gli eroi. Tutti lottano per il bene più prezioso: la libertà. E Kurt Russell è l’alfiere scelto per condurre una battaglia personale, senza amore o amicizia. Come l’uomo che viene abbandonato dalla società alle sue paure.
Russell si conforma quindi come il figliol prodigo di Carpenter, lungo La Cosa (1982), Grosso Guaio A Chinatown (1986) e il sequel del nostro Fuga Da Los Angeles (1996). L’attore dalla folta chioma è lo spirito guida rock di una fortunata carriera attoriale. E il suo Jena Plissken non solo ha ispirato registi della portata di J.J. Abrams e Robert Rodriguez, ma ha dato forma all’anima di una generazione.
Quando tutto sembra perduto, la speranza si rivolge sempre a quell’eroe che sembra non aver niente da sacrificare, ma ha tanto da raccontare. In questo dimora la sua immortalità.
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