Riaprire non basta. A un anno dallo spegnimento dei grandi schermi, il cinema non è più quello di prima. E per alcuni non lo è da molto tempo. L’industria cinematografica è chiamata a sopravvivere ed evolvere. Non è la prima volta, i precedenti sono numerosi e leggendari: l’arrivo dei talkies, l’imponente crisi degli anni ’50, e così via, in un alternarsi di morti e primavere che arrivano sino alla strenua lotta alla pirateria e ora al blocco totale dei grandi schermi.
A cambiare, come sempre, non è l’arte ma chi la vive. In un anno in cui gli incassi sono diminuiti in media di oltre il 72%, con gli Stati Uniti d’America a guidare le perdite con una decrescita dell’80%, è critico pensare che per questa crisi ci sia un vaccino.
Possiamo sperare in un rientro a regime del sistema delle grandi sale? Difficile a dirsi. La proposta è più variegata che mai e le abitudini degli spettatori potrebbero essere cambiate sino a spingere i produttori più restii a preferire lo streaming.
Un caso esemplare: Kevin Feige, produttore esecutivo e mente creativa dietro al Marvel Cinematic Universe. Qualche mese fa ha dichiarato che il futuro dei suoi supereroi è “al 100% in streaming”. Ricordiamo che il record del film con il maggior incasso della storia del cinema (il primato di più visto è ancora in mano a Via col vento, 1939) è recente e porta la calzamaglia: Avengers Endgame. Provate a togliere questo titolo dal risultato dei botteghini mondiali del 2019: come togliere Zalone all’Italia. Difficile pensare che possa accadere nell’immediato futuro, visti gli incassi.
Ma ciò che sarà dell’esperienza cinematografica riguarda anche e soprattutto produzioni minori. Per loro, l’intera filiera sta pensando a soluzioni più o meno innovative. La risposta alla crisi potrebbe non essere scontata. E riaprire non basta più.
Un anno senza precedenti per impatto nel mondo dello spettacolo apre a un “dopo” imprevedibile ma ancora indefinito. C’è chi piange sulle forme del passato e chi si prepara ad evolvere. Esploriamo dunque 4 idee, fiorite di recente, per riportare luce nel buio della sala e quali di queste potrebbero restare “l’alba del giorno dopo”.
Il famigerato drive-in
Chissà perché si torna sempre agli anni ’50. Con Grease e Happy Days, che negli anni ‘70 riguardavano a quei tempi con certa nostalgia, è cresciuta un’intera generazione, nutrita di giacche in pelle e lacca sui capelli. Visti solo su schermo, ovviamente. La stessa generazione, ora proprietaria di sale e cinema, ha ricordato la scena con John Travolta e Olivia Newton-John e vagheggiato soluzioni malinconiche.
Così, il ritorno al drive-in ha affascinato buona parte del discorso pubblico.
Tra aprile e maggio 2020 si sono diffuse promesse di privati e pubblici pronti a stendere teli e posteggi nei parchi e nelle campagne. Come in Ready Player One di Steven Spielberg, il futuro è sembrato assomigliare al passato ma con un po’ di tecnologia in più. Ecco allora progetti di schermi in 4k e mega speaker per accogliere spettatori muniti di biglietti acquistati online e timbrati a QR code. Poi, con l’avvicinarsi dell’estate, il silenzio ha avuto la meglio. Almeno in Italia. In Germania, invece, dall’inizio della pandemia sono nati 30 nuovi drive-in. Meno di quelli promessi in Italia, ma più di quelli effettivamente realizzati.
Gli imprenditori maggiormente coinvolti in questo progetto di rivisitazione anti-Covid raccontano incassi sbalorditivi. In America, dove i drive-in non sono mai davvero scomparsi, i botteghini (comprensivi degli incassi per bibite e schifezze d’accompagnamento varie) sono duplicati.
Eppure, la pandemia potrebbe averci fatto riscoprire uno dei possibili approcci al grande schermo senza davvero mutarne l’esperienza. I drive-in, per modi di partecipazione e palinsesto, assomigliano alle arene estive all’aperto, che in Italia hanno più fortuna delle sale propriamente dette.
La programmazione dei drive-in si stringe alla nostalgia che ne ha prodotto un fortunato ritorno. Si proietta Lo Squalo, I Goonies, Ritorno al futuro e numerosi altri classici. Per la maggior parte, sono proprio quei titoli a cui pensiamo con il termine drive-in. Come se la programmazione ricordasse allo spettatore di essere parte di un’esperienza cinematografica di per sé.
Non mancano le idee innovative. Come cinemadrivein.it. Un progetto che prende le distanze dai drive-in improvvisati nell’ultimo anno e promette un “drive-in chiavi in mano” con tutto il necessario e “le migliori soluzioni tecnologiche per il sold out”. È un drive-in itinerante, che invita Comuni, Centri Commerciali o privati particolarmente virtuosi a prenotare una delle tappe.
Se possibile, il cinema torna ancora più indietro. Ai baracconi itineranti che ne hanno permesso una prima fortuna all’inizio del secolo scorso. Non una soluzione ma un’opportunità. E soprattutto una piacevole eccezione. Sempre che, tra i vari proclama, ci sia chi voglia proporla.
Lo streaming è sempre lui
Torniamo a Kevin Feige: “Vai al cinema per cercare cose che non puoi avere con lo streaming e segui lo streaming in cerca di cose che non puoi trovare in un cinema”. Corretto, forse. Perché poi c’è la vicina di Studio Warner Bros. che a fine 2020 schiera “l’ordigno fine di mondo” e annuncia che il suo listino film 2021 verrà trasmesso in contemporanea su HBO Max e nelle sale.
Dopo anni di discussione sulle cosiddette “finestre”, il tempo minimo tra distribuzione nei cinema e passaggio allo streaming, Warner dà la spallata definitiva. Della querelle tanto amata agli osservatori, quanto essenziale per gli esercenti, restano i frammenti di vetro. E qualcuno potrebbe tagliarsi.
Ma la pandemia non ha inventato nulla. Il processo ha subito un’accelerazione, anticipando il risultato di una manciata di anni. Ann Sarnoff, presidente e amministratrice di WarnerMedia, ha cercato di mettere una pezza alle numerose critiche: “Sappiamo che i nuovi film sono la linfa vitale dei cinema, ma dobbiamo anche considerare che nel 2021 la maggior parte dei cinema americani saranno aperti in modo ridotto”. In sostanza, la soluzione garantirebbe le stesse possibilità a chi vive in Stati con sale aperte o chiuse, senza escludere nessuno. “Un mercato a scacchi”.
Non serve la sfera di cristallo per sapere che la soluzione è qui per restare, ed era nei piani dei grandi Studi da anni. Proprio nell’estate 2020 è venuto meno lo storico decreto Paramount, che nel 1948 aveva impedito con un’azione dell’antitrust americano che i produttori fossero anche proprietari della filiera distributiva. Con l’argomentazione dell’emergenza Covid si sarebbe commesso il delitto perfetto, secondo alcuni esercenti.
Abbiamo chiesto a Francesco Perciballi (qui l’intervista completa), presidente di Tixter, piattaforma di finanziamento tecnologico per produzioni dell’audiovisivo, cosa pensasse di questa rivoluzione in atto. “Live e streaming si fonderanno”, sostiene Perciballi, “e abbandoneremo i concetti medievali di “finestra di fruizione” e tante altre regole ormai inutili in questo mondo post-Covid”. Ma attenzione: “Questo non significa che vedremo calare gli spettatori al cinema, tutto il contrario!”.
In Italia, nel frattempo, si parla di “Netflix della cultura”, con la piattaforma streaming assunta a modello di “cose messe online”. Il progetto promosso dall’attuale Ministro della Cultura, Dario Franceschini, è la risposta pubblica all’assenza di cinema e teatri. Dopo mesi di annunci, ecco il sito. Vuoto. Quale ironia. “Stiamo arrivando”, dice l’home page, “per celebrare e raccontare il patrimonio culturale italiano e offrirlo al pubblico di tutto il mondo”». Formulazione di tutto interesse per l’ambizione internazionale.
Sappiamo che a occuparsi del progetto è la Cassa Depositi e Prestiti e il privato Chili, una delle piattaforme di pay-per-view più famose in Italia, anche se storicamente in perdita. La piattaforma, già pensata per diventare un’app, permetterà una ripartizione dei ricavi tra la stessa e i creatori dell’opera acquistata. Forte sarà quindi l’idea di sostegno alle produzioni italiane ferme da molti mesi. Ma il catalogo rimane ancora avvolto nel mistero, anche se sembra probabile possa riguardare le produzioni MiBACT (nel frattempo diventato solo MiC), ossia quel cinema storicamente sfortunato nelle sale e sostenuto da un perverso sistema di finanziamento pubblico.
Quando chiediamo a Francesco Perciballi un’opinione sul progetto preferisce cambiare discorso: “Non ti parlo di Itsart perché è un progetto morto nel suo principio (proprio perché creato da chi non sa cosa sia il digitale e lo confonde con lo streaming); il progetto è buono solo a far girare qualche fondo pubblico (i soldi nostri), nelle tasche di chi non se li merita”. In realtà, per guardare a uno streaming italiano di tutto rispetto non è necessario sognare: esiste e si chiama Raiplay.
Poi, accanto al pubblico, ci sono i progetti privati. Tra i vari ad essersi accorti della necessità di arrivare in streaming c’è anche Mediaset, che negli ultimi mesi ha annunciato grandi piani. Una delle novità più interessanti, nata negli ultimi mesi ma passata in sordina, è di Amazon. Con l’introduzione di Amazon Channel, si sono creati luoghi a tema a cui specifiche nicchie sono invitati a partecipare previo canone mensile. L’idea incontra la “massa di pubblici” online, molto diversa dal pubblico di massa della sala. Inoltre, riporta lo streaming sul terreno della tv, presunta antagonista. Fra canali tra cui scegliere, episodi Disney+ che tornano alla distribuzione settimanale e Netflix che introduce il tasto shuffle (così simile al caro zapping), lo streaming si conferma il futuro ma assomiglia al focolare televisivo.
Gamers al cinema
Il modello sudcoreano, ma per le sale. La penisola non ha mai davvero chiuso i cinema. Ma gli esercenti, viste le restrizioni, hanno cercato idee per sostenere l’apertura in assenza di grandi film da proiettare. Come in un blockbuster americano si è pensato di chiamare quelli che molti vorrebbero come antagonisti naturali: i gamers. Alcune grandi sale legate alla catena CGV, costrette a dimezzare i posti a sedere, si sono reinventate. Prima delle 18 fino a quattro persone possono noleggiare lo schermo per un massimo di due ore.
Il servizio ha un costo di 90 dollari, che sale a 135 se si richiede la sala per l’intera serata. Gli spettatori portano con sé la console, i giochi e i controller e trasformano lo schermo. Seung Woo Han, dipendente della CGV, ha pensato che fosse un modo intelligente di riformulare le sale; non in contrasto con il cinema, ma in virtù di una somiglianza tra videogiochi e film. “Entrambi hanno un aspetto narrativo, quindi se qualcuno può divertirsi a guardare un film al cinema, ho pensato che gli sarebbe piaciuto giocare ai videogiochi”. I dati, aggiornati a metà febbraio, parlano di 130 prenotazioni. Ora anche negli Stati Uniti il gruppo Malco Theatres fa lo stesso da novembre.
Il cinema in parte torna a quel parco giochi che i multisala hanno introdotto, ma con qualche novità. Se i multiplex addobbavano le sale di ristoranti e sale giochi partendo dal presupposto che l’attrazione-film non fosse più abbastanza, l’idea della CGV rimette al centro il grande schermo.
“Sembra un film” è diventato nel tempo un giudizio di qualità per molti prodotti videoludici. Non crediamo sia un bene per quest’arte in crescita, la quale dovrebbe cercare una propria originalità, ma nulla vieta che questa possa esprimersi in un palco comune alla settima arte come il grande schermo. D’altronde un film non è uno spettacolo teatrale, ma un teatro può essere un cinema.
Nuovi schermi e intelligenza artificiale
Il cinema è un’arte tecnologica e alle crisi tende a rispondere con un “aggiornamento di sistema”. Quando la tv sembrava un pericolo, ecco arrivare il grande (grandissimo!) schermo del Cinemascope. Più colori, più vita e più spazio per le gambe di Marylin Monroe in Come sposare un milionario (1953), primo film ad applicare la vertigine del nuovo formato.
Nel momento in cui le piattaforme streaming, abbinate a tv sempre più performanti ed economiche, convincono lo spettatore che in fondo poco cambi dalla sala, l’industria potrebbe rispondere con tutto quello che a un soggiorno manca.
Il Dolby stereo non basta più, e nemmeno le dimensioni contano tanto. Nel 2009 si è arrivati al 3D, fallimento conclamato con ancora pochi estimatori. Negli Stati Uniti però, dove andare al cinema costa molto più che in Europa, non mancano le proposte alternative. Molte ancora in fasi sperimentali. C’è ad esempio chi parla dei primi 4DX.
Sviluppato da una società con sede in Corea del Sud, il sistema 4DX sincronizza i sistemi cinematografici digitali con i sedili, organizzando un movimento coerente tra ciò che accade sullo schermo e ciò che vive lo spettatore seduto in sala. Un’estensione del 3D che avvicina il cinema alle montagne russe e i film ai parchi a tema. Non ditelo a Martin Scorsese, notoriamente avverso a questa regressione della settima arte.
Ma c’è un altro aspetto, inverso, da considerare: la nuova generazione ama la vecchia tecnologia. Prendiamo i vinili, tornati alle vendite degli anni ’80. Per questo non stupì che Joker, tra i film più visti e apprezzati del 2019, avesse avuto una distribuzione anche in pellicola. Una stampa apposita, su Kodak, girò il mondo (anche in Italia!) creando l’effetto evento-nell’evento.
L’idea gira attorno all’esclusività: il film che devi vedere è questo, ma se lo vedi così lo hai visto come nessun altro. Assomiglia a quello che fu il 3D per Avatar. C’è chi ha visto Avatar in 3D e chi non lo ha visto, pur essendo andato in sala. Ancora una volta torniamo allo spettacolare, all’idea di unicità di un’esperienza che frantumata nel salotto di casa cambia ma non muore.
Ma tecnologia non significa solo sofisticati sistemi di poltroncine, schermi verdi o ritorno alla pellicola. La tecnologia siede nella fase precedente a tutto ciò e si inserisce in metodi di produzione innovativi, al servizio di chi sul cinema investe capitali e cerca un ritorno.
“La soluzione è nella tecnologia”, ci ha confermato Francesco Perciballi, riferendosi agli strumenti che esercenti e produttori potrebbero utilizzare a proprio favore. “Il digitale (nessuno in questo ambiente sa cosa sia, confondendolo con le piattaforme streaming) può permettere agli esercenti di tornare a galla, dandogli una chiara visione del proprio territorio”. Come per molti altri ambiti, si arriva a parlare di Intelligenza Artificiale. Perciballi è sicuro che “Gli stessi produttori, col digitale, saranno in grado di anticipare le scelte di mercato e produrre i contenuti più adatti a quel tempo, in quel luogo”.
Nonostante le idee non manchino, crediamo in un’importante banalità: il futuro del cinema sono i film. Con tutto quello che oggi può significare questo termine, dalla serialità in avanti. Indietro, sopra e sotto; tra cunicoli videoludici e pieghe interattive. Le primavere della settima arte non hanno mai coinciso più di tanto con le nuove tecnologie o i rinnovati metodi di visione. Quelli sono strumenti di rilancio; alla base c’è sempre e comunque quello che si vede.
E quello che vedremo, dopo un’esperienza globale così travolgente, dovrà essere all’altezza di nuovi spettatori. Poco importa la dimensione dello schermo, bisogna saperlo riempire.
Seguici su Instagram, Facebook, Telegram e Twitter per sapere sempre cosa guardare!