È il 1963 e Federico Fellini realizza 8½, uno dei più grandi capolavori di tutta la storia del cinema. “Realizza”, non “dirige”, perchè il secondo termine sarebbe troppo riduttivo: in questo caso Fellini non è solo regista (director in inglese) ma vero e proprio autore, anzi Autore con la A maiuscola.
Per chi non ha visto il film questa affermazione potrebbe non apparire così chiara, ma per tutti gli altri dovrebbe essere piuttosto ovvia, soprattutto se consideriamo la genesi dell’opera.
Come nasce 8½, Fellini come il capitano che non abbandona la ciurma
Fellini ha un’idea, certo vaga e confusa, ma pur sempre un’idea per portare a compimento il suo sesto lungometraggio. Un suo amico, con il quale si confronta, ha però molti dubbi: come rappresentare le idee di un uomo, le sue fantasie e i suoi sogni?
Sembra una sfida che sarebbe piaciuta molto ai surrealisti degli anni 20 e non a caso questo film viene considerato una tragicommedia surreale. L’idea è solo il preambolo, la scintilla iniziale: non esiste nemmeno un titolo, figuriamoci una sceneggiatura.
Ci si riferisce al film semplicemente con 8½, che è il numero di regie firmate dall’artista romagnolo fino a quel momento (sei lungometraggi, 3 mediometraggi facenti parte di film a episodi e quel mezzo che è Luci del Varietà co-diretto con Lattuada).
Fellini parla con i produttori (viene coinvolto Angelo Rizzoli) ma, quando le maestranze sono già coinvolte e si è prossimi all’inizio delle riprese succede una cosa imprevedibile: l’Autore ha dimenticato la sua idea iniziale.
Egli comincia a scrivere una lettera al produttore, in cui esplicita i suoi dubbi e comunica la sua decisione, a malincuore, di abbandonare il progetto. La scrittura della missiva viene interrotta da un tecnico di Cinecittà che lo invita ad alcuni festeggiamenti; in mezzo alla festa, il nostro Autore si sente giù, come “il capitano che abbandona la ciurma” (parole sue).
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All’improvviso la folgorazione, che arriva mentre se ne sta seduto su una panchina del giardinetto: il film parlerà proprio di questo, di un regista che si è dimenticato quale film avrebbe dovuto dirigere: anzi, realizzare.
Raccontare il vuoto
La situazione sembra rischiosa, l’artista sembra quasi ammettere “non ho proprio niente da dire…ma voglio dirlo lo stesso” che è esattamente ciò che afferma Guido, il protagonista del film interpretato da Marcello Mastroianni.
Ma nelle mani di un grande artista come Fellini il film diventa un sogno magnifico, profondo e affascinante sia nella forma che nel contenuto. Il regista si mette a nudo, espone tutti i suoi dubbi artistici ed esistenziali e le sue incertezze: in ultima analisi crea un ritratto del protagonista molto umano e insicuro.
Guido non è perfetto, e non è nemmeno molto simpatico data la sua passività e la sua incapacità di prendere decisioni e Fellini lo sa. La vera genialità sta nel non nascondere la fallibilità, nell’ammettere i propri timori e errori: in un sottile gioco di specchi Fellini ci mostra un Guido sull’orlo del disastro, dichiarando attraverso il suo protagonista come lui stesso non avesse le idee chiare prima di girare 8½.
Si tratta quasi di un film corale. Il protagonista fa da filo conduttore, e noi lo seguiamo tra i vari confronti e incontri, ma i molti personaggi introdotti hanno tutti eguale dignità e importanza.
Carla, l’amante di Guido (interpretata da Sandra Milo), alla fine del film guarda tutti i personaggi fare una sfilata tenendosi per mano e dice: “Io l’ho capito sai cosa vuoi dire, vuoi dire che non puoi fare a meno di noi”.
È esattamente così, ogni incontro è importante e ogni figura contribuisce all’identità di 8½. I personaggi sono moltissimi (soprattutto femminili, ma non solo).
Ci sono i genitori (sognati piu volte), c’è Luisa la moglie (Anouk Aimée), le attrici, il produttore (Guido Alberti), il direttore di produzione (Mario Conocchia), il critico che dovrebbe dare consigli, l’amico Mezzabotta (Mario Pisu) con la sua nuova giovane amante (Barbara Steele) e tanti tanti altri.
L’attrazione verso il gentil sesso è una costante (una debolezza) per il nostro. Tra le tante sono presenti anche donne che egli non conosce, se non di vista, ma allo stesso modo si fissano nei suoi pensieri e sono presenti nel suo film.
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Si veda a tal proposito il personaggio della Saraghina (Eddra Gale) e quello della misteriosa signora delle terme con cui Guido non parla mai (Caterina Boratto). Ella è comunque presente insieme a tutte le altre nel sogno di megalomania in cui Guido ha un suo harem. Sogni, desideri e ricordi sono la vera anima di tutto il film.
Donne da sogno
Nella scena dell’harem, il regista compie una messa a nudo, una specie di autoanalisi in cui ammette di preferire le donne giovani e, una volta raggiunta una certa età, le manda “al piano di sopra”, se le dimentica.
Ma anche come megalomane è pieno di dubbi, vede le falle del suo sentire, e in questa fantasia fa dire ad una delle donne “e lui che cosa crede di essere, un giovanotto?”.
Con Fellini è inevitabile parlare di sogni, nelle sue opere questi spesso si mescolano e si confondono con i ricordi e con la messa in scena. La dimensione onirica è molto importante per questo artista; esiste anche un libro che raccoglie suoi disegni e idee per le opere cinematografiche, chiamato appunto “Il libro dei sogni”.
Il film stesso si apre con un sogno, anzi con un incubo in cui il protagonista rimane dapprima imbottigliato nel traffico e si sente quasi mancare l’aria, ma poi magicamente si libra in volo sopra a tutti, è felice, forse, ma una corda lo tiene ancorato a terra. Infine precipiterà in mare.
Il sogno più bello, il sogno più intimo riguarda il personaggio di Claudia (interpretato dalla bellissima Claudia Cardinale): ella rappresenta, dichiaratamente, la purezza e sarà lei a salvare Guido dalla disfatta, dalla depressione e da tutte le preoccupazioni.
È sicuramente il personaggio più positivo, simbolo di speranza e di seconde occasioni.
Giochi di specchi
Lo stile narrativo è un elegante dialogo tra i diversi piani narrativi: c’è Fellini regista, c’è Guido regista, ci sono i sogni di Guido (presente e futuro), ci sono i ricordi di Guido (passato).
Si passa da uno all’altro senza soluzione di continuità, Guido è l’alter ego di Fellini (Mastroianni non lo è sempre stato nei suoi film?) e quindi gli stessi ricordi e sogni sono in realtà condivisi e i confini si annullano.
Si può benissimo parlare di meta cinema e questa affermazione riguarda anche dettagli piccoli ma non insignificanti, come la musica canticchiata da Guido più di una volta durante il film.
Si tratta della musica composta dal maestro Nino Rota proprio come musica di accompagnamento per 8½ che possiamo quindi udire sia come commento al film (orchestrata) che come vera e propria musica diegetica all’interno del film stesso (fischiettata dal protagonista in più momenti).
Per facilitare la narrazione e la comprensione da parte degli spettatori, nelle prime copie distribuite del film le scene di sogni e ricordi erano virate in seppia o azzurro, con tanto di didascalia iniziale che spiegava per esteso l’escamotage.
Altre scene furono invece volutamente sovraesposte (ovvero rese eccessivamente luminose) da Fellini probabilmente per creare una atmosfera meno realistica e più onirica. Questa soluzione tecnica è andata però perduta in un recente restauro che non ha tenuto conto delle intenzioni del regista.
Forma sublime
Splendido è il lavoro degli attori e sugli attori, e magistrale è l’elaborata coreografia di comparse, come spesso accade nel cinema del maestro romagnolo.
A nomi altisonanti si affiancano persone comuni, volti particolari e interessanti; il tutto viene spesso mostrato attraverso veloci movimenti di camera che si spostano da un viso all’altro.
In molte scene dinamiche l’occhio del regista di sposta da sinistra verso destra seguendo alcune persone, per poi improvvisamente tornare indietro da destra a sinistra, come se un volto nuovo e più caratteristico avesse catturato l’attenzione della macchina da presa.
La fotografia è bellissima, ogni inquadratura sembra un quadro in un bianco e nero molto contrastato e più di una volta le luci creano giochi non gratuiti ma espressivi: si noti a tal proposito il cambio di illuminazione durante la scena dell’harem, nel momento in cui le donne cominciano a ribellarsi e c’è un cambio di atmosfera.
Fellini vincerà l’Oscar come miglior film straniero con questo film nel 1964.
8½ rappresenta l’apice artistico di un Artista unico e inimitabile in stato di grazia, realizzato, non solo diretto, in un momento di massimo splendore. Ciò che ne è venuto fuori, ciò che ci ha raccontato è capolavoro anche se Federico Fellini non aveva niente da dire, ma lo ha voluto dire lo stesso. Per fortuna.
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