«Ho sognato che dormivo sotto un pino» dice Pierre (Jean Dujardin), il protagonista di A passo d’uomo, all’inizio del film. E, mentre il voice over pronuncia queste parole da un altrove che non vediamo, scorgiamo Pierre esattamente lì, dove, una notte di chissà quanti mesi prima, aveva sognato di trovarsi.
Allora, però, nessuno pensava che il sogno di Pierre avrebbe potuto diventare realtà. Troppo gravi erano le ferite che lo costringevano in un letto di ospedale. Nessuno, tranne una persona, che non ha mai perso le speranze: Pierre stesso.
È quindi di un viaggio alla scoperta di sé stessi, dei proprio limiti e dei propri desideri che parla A passo d’uomo, lungometraggio diretto da Denis Imbert e tratto dall’opera autobiografica di Sylvain Tesson Sentieri Neri.
Uomo e natura
Non era la prima volta che qualcuno lo guardava come fosse pazzo mentre parlava del suo prossimo viaggio in solitaria, ma quella volta era diverso: Pierre stava programmando di attraversare la Francia a piedi, percorrendo 1300 km, mentre per camminare stava ancora usando delle stampelle.
Incomprensione, rabbia, fatica, gioia: quello di Pierre è anche – e forse soprattutto – un viaggio nelle emozioni; emozioni che Jean Dujardin riesce a trasmettere con intensità, portando sullo schermo un personaggio (che è anche persona) nei cui desideri e demoni lo spettatore riesce con facilità a riconoscersi. Imbert ci mette poi del suo, realizzando inquadrature sempre più strette sul suo protagonista, così da non perderne nemmeno una smorfia.
Ma quando le inquadrature si allargano, entra l’altro personaggio principale del film: il paesaggio. Un paesaggio capace di suscitare meraviglia, ma che non fa sconti, tra meteo incerto, sentieri impervi (i “sentieri neri” che danno il titolo al romanzo, dove il colore indica la massima difficoltà secondo la scala di classificazione dei percorsi) e gli imprevisti tipici della montagna nella sua veste più selvaggia.
A passo d’uomo, l’irrinunciabilità delle relazioni
Ma non ci sono solo Pierre e la natura: infatti, per quanto il suo sia un viaggio in solitaria, lo scrittore non aspira (o non riesce) a isolarsi totalmente dalle altre persone. Il suo cammino incrocia piccole comunità rurali e paesi dimenticati dal progresso e che necessitano di essere ripopolati. In questi luoghi dal grande fascino, ma che nascondono anche delle crepe più oscure, vediamo Pierre impegnato in incontri più o meno fortuiti, dai quali guadagna sempre qualcosa: un rifugio, qualcosa da mangiare, una risata, fino alla vera e propria salvezza… come a condividere il pensiero di un altro famoso esploratore solitario: la felicità è reale solo quando è condivisa.
A passo d’uomo, il protagonista come viandante e guida
A passo d’uomo non è semplicemente un diario di viaggio, ma anche un racconto di redenzione. Lo spettatore conosce contemporaneamente il Pierre pre e post incidente, grazie al frequente ricorso a flashback che aiutano a dare ritmo ad un film che avrebbe trovato nella sola cronaca del viaggio una trama forse troppo esile per risultare attraente.
Ad alternarsi sono poi le voci diegetiche dei personaggi e il voice over di Pierre, dedicato a osservazioni e e riflessioni più profonde e intime, nonché appunti per l’opera che costituirà il resoconto di quel viaggio. Pierre riflette su sé stesso, ma non solo: la natura che lo circonda e l’esperienza che sta vivendo a contatto con essa ispirano nello scrittore considerazioni che concernono – in senso lato – l’umanità, facendosi così universali. E sebbene talvolta, in A passo d’uomo, questi messaggi risultino criptici, contribuiscono a dare spessore a ciò che viene mostrato sullo schermo e anche a guidare la riflessione dello spettatore, altrimenti lasciato solo con la natura e il protagonista.
Il desiderio del regista francese di A passo d’uomo sembra quindi, prima di tutto, far sentire e pensare allo spettatore ciò che sta sentendo e pensando Pierre, e solo in secondo luogo e in maniera collaterale stimolare in chi lo guarda e lo ascolta suggestioni più personali.
A passo d’uomo, un’ispirazione per lo spettatore
Lo spettatore, accompagnando Pierre nella ricerca e ricostruzione di se stesso (un se stesso migliore), si trova inevitabilmente a riflettere sulla propria vita e, in questo senso, A passo d’uomo è un film la cui visione può essere percepita come quel riprendersi il proprio tempo e i propri spazi a cui ambisce il protagonista, così come ognuno di noi.
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