Dal 29 giugno è in sala l’opera prima della regista A.V. Rockwell, premiata con il Gran Premio della Giuria al Sundance Festival. La regista statunitense aveva fatto parlare di sé con due cortometraggi, The Gospel (2016) e Feathers (2018), dove si possono già rintracciare alcune suggestioni che poi vedremo nel suo cinema, come le conflittualità generazionali e uno sguardo attento allo sviluppo del paesaggio urbano.
Con A Thousand and One, A.V. Rockwell firma un esordio convincente, in grado di raccontare con consapevolezza un dramma familiare che tocca alcuni nervi scoperti delle istituzioni americane, nel periodo tra il 1994 e i primi anni del duemila.
A Thousand and One, la trama
La storia si struttura su tre atti che raccontano vari periodi della vita della madre Inez, interpretata da un’ottima Teyana Taylor, e del “figlio” Terry (Josiah Cross), mentre intorno a loro latita in uno stato di presenza e assenza il personaggio di Lucky (William Catlett), una sorta di figura paterna. Il racconto è spezzato da due grossi ellissi temporali e ciò permette di cogliere i tre momenti cruciali nella vita dei personaggi e i cambiamenti che coinvolgono la città di New York.
A Thousand and One, titolo che deriva dall’appartamento in cui i personaggi (ri)iniziano la loro vita, si muove su questo dualismo tra un intenso melodramma e uno scorcio socio-politico sul cangiante panorama urbano, con un filo diretto sul destino della comunità afroamericana newyorkese.
I vuoti delle istituzioni
I personaggi di A Thousand and One assumono un ruolo narrativo a causa delle fratture nella società americana. Il background dei personaggi e ciò che appartiene alla preistoria del film si trasforma.
Il racconto riassegna loro dei ruoli nuovi, generati dal vuoto delle istituzioni. Terry è di fatto un orfano, abbandonato dai propri genitori, e quindi perde simbolicamente lo status di “figlio”. D’altra parte Inez ha un profondo vuoto dentro, frutto di un’infanzia tragica nel segno della povertà e del crimine. Quando Inez rapisce Terry dalle mani dello stato per prendersi cura di lui, s’innesta un nuovo rapporto madre-figlio, in cui i ruoli rinnovati (si potrebbe quasi parlare di feticci) colmano reciprocamente delle funzioni sociali mancanti.
Nello sguardo della regista il quadro in cui nasce questa relazione è sì disfunzionale, conflittuale e ricolmo di dramma, ma rappresenta un grido di aiuto, una possibilità cui si guarda con speranza, un’alternativa disperata. A.V. Rockwell non giudica mai i suoi personaggi, bensì predilige l’ambiguità morale, che interroga lo spettatore sulla qualità dei protagonisti e delle loro azioni.
A Thousand and One, tolleranza zero
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Le dinamiche urbane e politiche che ritratte in A Thousand and One dipingono un cambiamento cruciale in atto. Nel 1994 il neoeletto sindaco di New York, Rudolph Giuliani, inizia ad attuare una “zero tolerance policy” per combattere la violenza. Negli occhi di A.V. Rockwell questo è solo l’inizio di una serie di oppressioni violente (e di matrice razzista) che negli anni porteranno alla riqualificazione del quartiere di Harlem.
Ciò è evidente proprio nell’ultimo atto di A Thousand and One, dove il nuovo landlord dell’edificio in cui abitano Inez e Terry fa di tutto per ostacolare la loro permanenza nell’appartamento. Questo lento declino dell’ambiente e delle possibilità che, anche nell’indigenza, avevano permesso ai personaggi di sopravvivere, porterà allo sgretolamento del nucleo familiare.
Lo stile di A Thousand And One
La messa in scena del film restituisce con consapevolezza lo spettro di suggestioni e tematiche affrontate. La crisi familiare e l’attenzione alle emozioni è resa con un’intimità della macchina da presa che predilige i primi piani. Anche lo sfondo risulta spesso fuori fuoco, perché si dipingono i volti dei personaggi, le emozioni e si dà rilevanza al dialogo.
Dall’altra parte, il discorso socio-politico che agisce sottotraccia nel melodramma ha una rappresentazione visiva che passa per le riprese aeree della città, per gli scorci urbani e per i profili degli edifici (alternandosi con materiale d’archivio, che risalta per la grana dell’immagine). Queste visioni sono contrappuntate dal voice over di telegiornali e notizie sulle politiche urbanistiche e sociali attuate dal governo.
Quando i personaggi sono per strada, diversamente dalla messa in scena domestica, sono ritratti come incastrati, parte integrante del paesaggio urbano e per questo coinvolti e condizionati dai mutamenti in atto.
La regista statunitense A.V. Rockweel dà vita a un racconto profondamente umanista che riesce a restituire la fotografia cruda di un’America indifferente alle condizioni della comunità black, in cui agisce una burocrazia che inevitabilmente riassesta le storture definendo tragicamente il destino dei personaggi.
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