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Dal perturbante al franchise: il caso American Horror Story

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10 minuti di lettura

American Horror Story ha fatto della propria identità un fenomeno di culto tra autoaffermazione e reinvenzione. Nutrita dalla poliedricità topica del genere horror e dall’inventiva dei suoi creatori, Ryan Murphy e Brad Falchuk, la pluridecennale Serie TV gioca con gli orrori della contemporaneità, con la natura umana dei mostri e con le perversioni del quotidiano in un mondo ostile, perturbante ed enigmatico. Quello stesso mondo è stato e continua a essere specchio di un’America madre e carnefice dei suoi figli, destinata a fare i conti con le proprie colpe.

Sono dodici le stagioni incasellate nel percorso drammaturgico di American Horror Story, iniziato nel 2011 con Murder House, primo, brillante tassello di un preciso disegno narrativo. Dalla seconda stagione, Asylum, che vanta il più alto indice di apprezzamento da parte del pubblico, è divenuta chiara la scelta di una narrazione antologica. Ogni stagione è infatti autoconclusiva, a formare una matrioska di storie che spesso fanno capo a episodi di cronaca nera americana e biografie di serial killer. Il risultato è un pastiche narrativo in cui tutto è consentito. Cosa succede, però, quando lo stilema si ripete per dodici anni?

Delicate, l’ultima fatica di American Horror Story

American Horror Story RAGNI

Ce lo racconta in parte Delicate, ultima stagione di American Horror Story, approdata su Disney+ (dove sono attualmente disponibili tutte le altre stagioni), dal 29 novembre. Delicate è però un capitolo interrotto alle prime cinque puntate, a causa della sospensione delle riprese per lo sciopero SAG-AFTRA. Gli ultimi quattro episodi saranno comunque accessibili nel 2024, a proseguire la storia di Anna (Emma Roberts), una promettente attrice con un ardente, e ancora irrealizzato, desiderio di maternità. Al suo fianco c’è l’inflessibile agente Siobhan (Kim Kardashian), una donna che ha dato tutto per la carriera.

La sua presenza, come quella di Lady Gaga nella quinta stagione, Hotel, contribuisce all’evoluzione patinata di American Horror Story negli anni. Una scelta di marketing, dove l’involucro assume sempre più importanza del contenuto. Ecco quindi che colpisce, ancora di più della Serie TV stessa, la cornice promozionale di Delicate, che vede Emma Roberts e Kim Kardashian come algide creature alla mercé di enormi ragni. Sembrano quasi richiamare Aracne, tessitrice della mitologia greca punita da Atena per la sua superbia e trasformata in un ragno.  

Aracne è lo spunto per una riflessione che chiama in causa la legge punitiva, la morbosa fascinazione per la metamorfosi e il body horror e la forza femminile che imperano in American Horror Story. Al contrario delle opere d’arte della scultrice Louise Bourgeois, che ha fatto del ragno il simbolo di una maternità protettrice e nutritiva verso i suoi figli, American Horror Story sceglie il perturbante come chiave narrativa.

Il potere del perturbante

SCENA AMERICAN HORROR STORY DELICATE

Il perturbante si consacra nella sensazione di avvertire come disturbante e inquietante qualcosa che si è sempre percepito familiare e rassicurante. Così la bambola o il burattino, strumenti di gioco infantili e creature innocenti, si fanno oggetto di fobia, o meglio, pediofobia, nella rilettura horror di alcune opere cinematografiche come Annabelle e Dead Silence. American Horror Story sfrutta lo stesso meccanismo. Manipola e plasma gli archetipi del genere horror per sviscerare i demoni nascosti della natura umana.

Dalla casa stregata, al manicomio, fino al disturbante mondo circense di Freak Show, tra omicidi, fantasmi, rituali satanici e devianze storiche, American Horror Story è un pacchetto completo. Non è un caso infatti che nel 2016, i critici cinematografici Daniel Monigiani ed Eleonora Saracino abbiano dato alle stampe American Horror Story: Mitologia Moderna dell’Immaginario Deforme: un’opera saggistica che indaga gli archetipi di genere adottati dalla serie nelle prime cinque stagioni.

Ed è lì che sembra fermarsi la fidelizzazione maggioritaria di un pubblico che ha amato i primi capitoli della saga e poi si è perso. L’abbandono di Jessica Lange dopo la quarta stagione e la poetica dell’ostentazione sempre più urlata hanno preso il posto del perturbante e le successive stagioni si sono affievolite in un dibattito sfuggito ai più. Non era più l’interesse per la storia ad attirare lo spettatore, ma il franchise in cui ormai era inglobato.  

Nata per essere franchise

American Horror Story evan peters normal people scare me

American Horror Story è apparsa sul mercato negli anni ’10 con un’impronta rivoluzionaria di genere, un’estetica elegante e provocatoria e uno sfacciato e vincente approccio produttivo. Nel tempo poi, la normalizzazione percettiva dell’horror e la comparsa di altri validi prodotti di genere (The Haunting Of Hill House, Them) le hanno fatto scivolare la corona. American Horror Story, però, era nata come un franchise.

A partire da quella prima stagione in cui vediamo l’iconico Tate Donovan (Evan Peters) indossare una maglietta con la frase “Normal People Scare Me”, poi diventata virale nell’immaginario estetico di Tumblr. Ed ecco che, sulla scia del successo di American Horror Story, nel 2014 è nata la miniserie American Crime Story e nel 2020 la serie a episodi antologici – stile Black MirrorAmerican Horror Stories, disponibile su Disney+ con la terza stagione fresca di approdo.

Tutti siedono al tavolo della grande famiglia di Ryan Murphy e Brad Falchuk, che hanno consolidato questa unione con un cast di fedelissimi. Attori come Evan Peters, Sarah Paulson, Denis O ‘Hare, Lily Rabe e Zachary Quinto sono solo parte del potente meccanismo umano di American Horror Story. Gli stessi attori ritornano in diverse stagioni con ruoli differenti e lo spettatore aspetta di sapere chi interpreteranno. Anche questo è franchise.

Il futuro di American Horror Story

American Horror Story

Con American Horror Story si parla sempre di grossi numeri, dato che le ultime stagioni oscillano tra i 36 e i 48 milioni di dollari di budget, con il decimo capitolo, Double Feature, in prima posizione. Alle spalle la serie vanta quindi un imperioso apparato produttivo, forgiato dalle menti creative di due altri colossi del mondo seriale: Nip ‘N Tuck e Glee. In American Horror Story c’è quindi un terreno fertile da cui potenzialmente si potrebbe attingere in eterno.

Basti pensare al cast fidelizzato, che perde alcuni componenti negli anni, ma continua a reinventarsi e al bacino infinito di true crime, creepypasta e romanzi da cui potrebbero nascere storie. Tuttavia American Horror Story sembra aver perso il suo tocco e, pur cercando di seguire l’onda dell’attualità, non riesce a emergere nel ginepraio di prodotti audiovisivi che si contendono i famosi 15 minuti di celebrità di Andy Warhol. Il franchise è potente, ma le storie sono fragili, ricalcate su stilemi già visti e autoreferenziali.

Lo stesso Delicate richiama il quinto episodio della prima stagione di American Horror Stories, Ba’al. Quello di Murphy e Falchuk è quindi un multiverso in cui le storie si fanno eco l’una con l’altra, entrano ed escono continuamente dallo stesso universo narrativo in un moto ciclico e perpetuo. American Horror Story sembra pertanto condannata all’eterno ritorno dell’uguale. Nonostante ogni stagione sveli e riveli qualcosa di interessante, almeno in Italia, non fa più parlare di sé. Quand’è che Murphy e Falchuk saranno disposti a lasciar andare la loro creatura?


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Classe 1996, laureata in Comunicazione e con un Master in Arti del Racconto.
Tra la passione per le serie tv e l'idolatria per Tarantino, mi lascio ispirare dalle storie.
Sogno di poterle scrivere o editare, ma nel frattempo rimango con i piedi a terra, sui miei immancabili tacchi.

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