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Amour Film

Amour, l’analisi del film di Haneke

L'amore nel tempo nel capolavoro di Haneke

10 minuti di lettura

Amour di Michael Haneke è un film del 2012 che nel 2013 vinse per il miglior film straniero all’85esima edizione della premiazione degli Oscar e la Palma d’oro alla 65esima edizione del festival di Cannes. Disponibile sulla piattaforma di streaming Mubi dal 2 ottobre, Amour è film che chiede di essere riscoperto. Un capolavoro dell’arte cinematografica che reclama molteplici interpretazioni e punti di vista. Eccone alcuni, tra amore, tempo e desiderio.

La trama di Amour (con spoiler)

Amoure Haneke

George e Anne sono due maestri di musica in pensione che vivono la loro vita tra concerti, ricordi, vecchi allievi e una quotidianità che li porta ad una esistenza serena e lieta. La loro reiterata routine è minacciata dalla scoperta dell’ictus di Anne, che improvvisamente porta tutto al collasso.

L’infarto celebrale e la conseguente umiliazione che la donna è costretta a vivere, nella totale dipendenza dal marito, porta la situazione agli estremi, facendole balenare, nei pochi istanti coscienti e razionali che ancora riesce ad avere, il desiderio di trovare al più presto una fine.

Così, l’uomo, compreso lo stato d’animo e il desiderio della donna, in un momento di esasperazione decide di darle ciò che vuole, la morte, soffocandola con il cuscino. In tal modo, con una certa nota di tragicità, si conclude la loro vita in comune e allo stesso tempo anche Amour.

Che cos’è l’amore?

Parlare di Amour non è facile. Perché come talvolta accade in questo genere di film, l’interpretazione del critico si deve inevitabilmente fare forte della sua soggettività, lasciandone però un lavoro quanto meno relativo, parziale e sempre aperto alle molteplici e multiformi suggestioni interpretative che abbiano uguale merito di coerenza.

La chiave interpretativa che allora si vuole utilizzare qui avrà un ché di platonico, un ché di generalizzante e forse un po’ di perentorio nelle sue conclusioni, insomma si vuole ripartire da un concetto universale: che cos’è l’amore, e come si mantiene nel tempo? Una chiave che pare rispecchiare poi appieno lo stesso titolo, se lo intendiamo come unico elemento oggettivo: amour.

Ecco, l’amore che ci viene presentato fin dalle prime scene pare quasi non essere tale. Pare non esserlo perché non è ciò che ci aspetteremmo di fronte ad un titolo abbastanza chiaro come questo. Forse diremmo amour davanti a due giovani che si incontrano, si scoprono e poi si innamorano follemente. E’ un po’ questa l’immagine a cui il valore semantico e di senso che la parola, detto un po’ alla Foucault, si è andato a sedimentare attraverso le pratiche del discorso nell’oggetto extralinguistico ricorrente. Ma qui di quel amour, e aggiungiamoci fou, c’è poco, e anzi, con un giochetto letterario e fonico della lingua francese, potremmo convertirlo in amer, ovvero amaro, considerando il lemma nella sua versione antica.

Un amaro, amer, che ci pervade fin dall’inizio e ci fa dire subito: qui c’è qualcosa che si è ormai consumato da tempo, che non è sopravvissuto al tempo, e che si è convertito in una sorta di quotidianità reiterata che ha più una sfumatura di amicizia, o forse sterile sopportazione reciproca.

Ed è qui, proprio su questo punto che pare il regista voglia giocare. Partire da un convincimento, da uno stereotipo che è ormai parte della nostra idea, farci toccare con mano la contraddizione attraverso il titolo, per poi pian piano sgretolarla, svelarla e riportarla nei suoi termini più sottesi e nascosti, ma essenzialmente veri.

Perché Amour, il significato del titolo del film di Haneke

Amour film muni

La strategia di Amour, dunque, è subito svelata. La situazione di due persone anziane che si sopportano a malapena, e che continuano a vivere insieme, viene chiamato amour. La contraddizione è evidente, lo spettatore è rincuorato nelle sue convinzioni: dopo una certa età non c’è più amore, ma soltanto l’amer, l’amaro, che si staglia in un corridoio di giornate tutte uguali percorso con stanchezza, che prima o poi si concluderà nel buio.

Improvvisamente però entra in gioco, come spesso accade nel corso della vita, una variabile che disfa tutte le certezze e svela il senso della contraddizione: la malattia della moglie.

Un fatto che ferma il tempo e fa cambiare direzione a tutta la trama e anche alle certezze degli spettatori. La donna è malata e il marito deve fare qualche cosa. E’ qui che allora si svela amour. Ed entra in scena in modo prorompente e inaspettato, visto che il marito si dedica con gli ultimi sforzi del suo animo da uomo di ottant’anni a cercare disperatamente di salvare la moglie, con una foga che ci mostra in modo a tratti scostante tutto ciò che era sotteso fin dall’inizio ma che per inevitabile superficialità non avevamo capito, o non avevamo voluto capire forti delle nostre certezze.

Dunque si svela anche la parabola di Haneke : l’amore è anche questo o forse è solo questo, un qualche cosa che se è vero, se è presente davvero non si vanificherà mai col tempo. Il resto è pura superficialità, inezia e non corrisponde in minima parte all’amour nel suo significato assoluto e universale. In questo senso allora, se ritornassimo alla domanda platonica iniziale e ci chiedessimo dunque che cos’é l’amore: ora abbiamo la risposta, o almeno una sua interpretazione parziale, ma pur sempre qualcosa che si avvicina all’idea.

Ed è amore anche quell’ultimo atto, estremo e terribile, ma unica risposta alla sofferenza fisica e morale a cui la situazione aveva portato, e unica soluzione che il marito colmo di pietas nei confronti della moglie è pronto a fare. Proprio qui dunque si condensa il senso dell’amaro, dell’amore amaro.

Tuttavia abbiamo tralasciato una cosa, e ci perdonerete: non abbiamo spiegato il giochetto linguistico amour amer, o meglio, in antico francese, l’amer amer.

L’amore, nella concezione medievale-trobadorica di Finamor era un qualche cosa di legato indissolubilmente anche alla condizione dell’amaro, e si rivelava essere sempre così, almeno nell’amore quello vero e puro. Il sentimento dolce e totalizzante che in un primo momento folgorava il cavaliere e la donzella inevitabilmente poi confluiva nel dolore, nell’amaro. E se mai ci si ritrovava di fronte a un sentimento distaccato da quella sua caratteristica dolorosa allora subito il tutto veniva bollato come un qualche cosa di falso, finto o frivolo, e talora addirittura era pretesto per triviale comicità o parodia.

Una concezione antica dunque ma sempre moderna che pare essere ripresa egregiamente dal regista, ma in questo caso in chiave contemporanea, forse proprio per rispondere alla domanda di prima. Ed ecco che in questo senso allora tutto viene spiegato nella sua forma essenziale e si chiude il cerchio semantico della nostra parabola, così che anche l’amaro iniziale possa trovare un suo senso nel tutto, nell’amour.

Nel silenzio di Amour

Siamo di fronte a un capolavoro cinematografico che però senza un’adeguata interpretazione rimane inespresso, senza un vero significato. Ma il punto è proprio questo: Haneke chiede al suo spettatore un impegno non relativo, un patto, una complicità emotiva che sappia travalicare il film in sé arrivando a delle definizioni universali. Bisogna quindi fare qui uno sforzo interpretativo e stare un po’ al gioco, ma ciò che ci viene ridato è una risposta sedimentata nel non-detto che sappia superare la superficie di tutta una serie di silenzi della nostra vita, che altrimenti rimarrebbero taciuti in eterno.

E forse soltanto così, dando ragione ed espressione a quei silenzi, la vita stessa non si rivelerà inutile.


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Classe 1999. Studente di Lettere all'Università degli studi di Milano. Amo la letteratura, il cinema e la scrittura, che mi dà la possibilità di esprimere i silenzi, i sentimenti. Insomma, quel profondo a cui la parola orale non può arrivare.

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