Sono bastati due episodi da cinquanta minuti ciascuno per abbattere drasticamente un quarto di secolo speso alla ricerca del vero amore. No, nessuno spoiler, solo una doverosa licenza metaforica per strizzare l’occhio a chi ha già avuto la (s)fortuna di vedere i primi due episodi di And Just Like That… il revival della serie cult Sex and the City (in onda su HBO dal 1998 al 2004).
Disponibile su Sky e Now Tv dal 9 dicembre (v.o sottotitolata) e dal 18 dicembre con il doppiaggio italiano, il ritorno sul piccolo schermo delle ragazze di Manhattan è – almeno per i primi due episodi – un attentato alla leggerezza.
Tutto quello che manca a And Just Like That
Nel sequel Sex and the City 2 (2010) avevamo lasciato Carrie (Sarah Jessica Parker) a ricucire un rapporto altalenante con il suo Mr. Big (Chris Noth), dopo un bacio appassionato con Aidan, l’ex storico, sullo sfondo di Abu Dhabi.
Una storia – quella di Carrie e Mr. Big – vissuta forsennatamente dai fan fin dal suo esordio televisivo, sullo sfondo di una Manhattan affrontata con una sessualità dirompente da parte delle insiders più cool della Grande Mela. È proprio questo l’elemento mancante di And Just Like That…quella sensualità umana, divistica, modaiola per cui le quattro protagoniste diventavano simbolo e concessione alla pulsione, all’erotismo, ai discorsi libidinosi di fronte ad un Cosmopolitan.
Ciò che amavamo di Carrie, Miranda, Charlotte e Samantha (Kim Kattrall, la grande assente del revival) era la scelta, la dimensione individuale che il legame femminile collettivo ammetteva come unica soluzione al dramma della pesantezza: si attraversava la strada in una gonnellina di tulle bianca, si parlava di preservativi ancora prima di gustare il cestino di pane in tavola, di dimensioni, durata, utilizzo di tutti gli “elettrodomestici”, tranne del forno – quello in cui Carrie teneva i maglioni.
Oggi Carrie sa riconoscere la variante più pregiata del salmone, Miranda è una nuova – logorroica – paladina dei diritti civili, dall’alto del suo privilegio bianco, e Charlotte (Kristin Davis) è solo saltata fuori dalla tana del Bianconiglio, con le lancette spostate di venticinque anni e una famiglia “quasi” perfetta da vestire con motivi floreali senza tener conto del libero arbitrio.
Per non parlare di Samantha, PR di professione che per riconciliarsi con Carrie manda un bigliettino nel giorno più triste che SATC ricordi. Un bigliettino “parlante per” a cui è affidato il compito di motivare l’assenza di una delle quattro colonne portanti della serie. La domanda sorge spontanea: se Carrie non trova più le parole, Miranda non le sa dosare, che fine hanno fatto le nostre ragazze?
And Just Like That… una nuova storia da scrivere per Carrie Bradshaw
Una trama in tre righe, questo è lo spazio massimo da dedicare alla sinossi di un pilot che funge solo da pretesto per ciò che vedremo più avanti. Forse questa lettura ristabilisce le condizioni d’uso del revival: un nuovo quadro delle cose, un’occasione per confermare – se mai se ne fosse sentito il bisogno – la capacità di Carrie di scrivere la propria storia.
La vita di coppia ha reso Carrie un’esperta culinaria, la Grande Mela 2020, in lenta ripresa dopo la pandemia, l’ha sbalzata dal sesso libero e disinibito degli anni ’90 al silenzio radiofonico. Miranda ha lasciato lo studio legale per iscriversi nuovamente all’università e beve bicchieri di Chablis alle nove di mattina, mentre Charlotte continua a rincorrere l’ideale di perfezione familiare, completamente immersa nell’élite newyorkese.
Samantha ha discusso con Carrie per un inconveniente lavorativo ed è volata a Londra: impossibile da rintracciare, ricompare virtualmente nella vita dell’amica per condividerne il dolore. Brevi, fugaci sprazzi di ironia e qualche abito degno di nota non compensano le tragedie, quelle reali, non il tacco rotto delle Jimmy Choo appena ritirate o i frutti di bosco sulla “gonna panna vintage” di Charlotte.
L’elaborazione del dolore, per ora, rimane solo una premessa: i silenzi di Carrie fanno da contraltare alla verbosità della prima stesura, ne assolvono il capriccio d’evasione in funzione di un pragmatismo alle prime armi. Fortunatamente, a sostenere Carrie, l’amore più grande della sua vita: la penna.
And Just Like That è un peccato di lusso?
Perché allora i tabù che ieri venivano sdoganati con la faccia tosta, oggi sembrano più sporchi? Per la Carrie trentenne, quella che aggiornava quotidianamente su un monitor rudimentale la sua rubrica sul sesso, oggi è diventato difficile condurre un podcast senza arrossire o deviare il discorso? Perché mentre prima il sesso si faceva, si raccontava e si vedeva sotto ogni prospettiva e posizione, oggi si plana sui discorsi in dissolvenza?
Oggi a Manhattan i piaceri si sussurrano, e di Sex and the City è rimasta solo un’architettura scintillante che con un’inclusività sempre più infiocchettata stereotipizza senza sosta le new entry del revival: la professoressa afroamericana (Karen Pittman) e la stand-up comedian non-binary Che Diaz (Sara Ramírez).
Sono rimasti i capi d’haute couture, le Manolo Blahnik più sfortunate della serialità contemporanea, il legame vitale delle tre protagoniste che continuano ad essere presenti nei passi importanti delle altre, a ritagliarsi – pur procedendo ciascuna con la propria vita – un momento da trascorrere insieme.
Sex and the City ha sempre affrontato tematiche spinose, universali, ma la gestazione dei contrattempi di vita era alleggerita dai turni di parola inopportuni delle amiche, sempre un passo avanti rispetto ai tempi che correvano in direzione della modernità.
And Just Like That… sembra cadere in un meccanismo che conosciamo bene: nel ridisegnare i confini comportamentali di icone generazionali, le esigenze contemporanee ne forzano a tutti i costi la maturità, le esasperano per legittimare un nuovo modo di invecchiare: quello in cui avere cinquant’anni porta alla sordità, all’alcolismo, e impedisce di parlare di argomenti vuoti.
Quasi come se “vuoto” fosse sinonimo di “disimpegnato” e quindi scorretto – culturalmente, eticamente, civilmente. Due episodi (su 10 previsti) non bastano a concretizzare l’inevitabile disillusione che abbiamo provato nel vedere i personaggi di una vita ridotti a macchiette comiche, né a validare l’esigenza di scrivere personaggi del tutto a disagio con le sfide contemporanee. Il rischio, come in ogni passaggio di testimone, è quello di minimizzare le conquiste passate di icone che sembrano confezionate per la scadenza già dagli anni novanta. Per ora, lasciamo che sia il tempo a determinare il successo dell’idea. Noi rimaniamo qui, seduti su una sedia bianca, con la nostalgia e il rimorso di aver premuto play solo per defaticare il nostro peso mentale, nell’attesa che qualcuno riesca nell’impresa di riportarci indietro, andando avanti.
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Pienamente d’accordo su tutto.
Che delusione!!!
Complimenti, il pezzo è molto ben scritto.