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Animali selvatici, bestialità umana nel cuore dell’Europa

8 minuti di lettura

In Italia, ormai lo sappiamo, abbiamo il vizietto di adattare i titoli dei film esteri in maniera inspiegabile. Il caso più eclatante, forse, è il famoso film diretto da Michel Gondry e scritto da Charlie Kaufman, Se mi lasci ti cancello, di cui il titolo originale era di tutt’altro significato: Eternal Sunshine of the Spotless Mind.

Animali selvatici, del regista rumeno Christian Mungiu, uscito nelle sale da questo 6 luglio, e in concorso al Festival di Cannes del 2022, è anch’esso un film dal titolo italiano abusato. Ma per una volta spezziamo una lancia in favore della BIM, che si è incaricata della distribuzione nelle sale nostrane. Perché di Animali selvatici, in fondo, si sta parlando, nonostante il film tratti temi estremamente umani: modernità, condizione del lavoro, migrazione, abbandono.

Chi, se non gli animali? Gli stessi che teniamo a distanza, perché selvaggi, perché distaccati dalla nostra condizione sempre più artificiale, di uomini urbanizzati, e perché ci fanno semplicemente paura.

La trama di Animali selvatici

Christian Mungiu una scena di Animali selvatici

Il titolo originale di Animali selvatici è R.M.N., acronimo di Rezonanta Magnetica Nucleara, che in Romania sta a indicare la risonanza magnetica. La stessa che fa il padre di Matthias, malato da tempo e abbandonato a sé stesso nel contesto rurale della Transilvania. Nella famosa regione rumena, da sempre divisa da culture e etnie europee diverse, tra cui quella ungherese e quella tedesca, Matthias fa ritorno dopo esser “scappato” dal suo lavoro in Germania.

Nella cittadina, in cui si conoscono tutti, l’imperante progressismo dell’Unione Europea irrompe sugli abitanti, storicamente contadini o al massimo minatori, scombussolando la loro vita. Il figlio di Matthias, Gordi, rimane traumatizzato da una strana visione che sperimenta nei boschi intorno a casa sua; l’imprenditrice Csilla, che dirige un panificio industriale in città, è divisa tra il rischio di assumere immigrati srilankesi e i suoi principi etici; c’è addirittura un operatore di una ONG francese impegnato nella salvaguardia degli orsi bruni della zona.

Insomma, un contesto sconosciuto, provinciale, rurale e scosso da novità senz’altro più grandi di sé. In questo ambiente, che Matthias ha abbandonato da un paio d’anni, dovrà imparare a ritrovare una pace interiore – già abbandonata prima di partire, forse mai cercata veramente – e fare i conti con il proprio passato personale. Ma il futuro attende, è dietro l’angolo: e non può certo aspettare tutti.

Spettro di un popolo intero

Il protagonista Matthias in Animali selvatici di Christian Mungiu

Storia di separazioni, freddo e cinico sguardo su un paese (osiamo: un continente intero) che sta cambiando, Animali selvatici inizia con le bestie e finisce con la bestialità. Nella lunga grottesca satira di Mungiu, il ritratto di un paese non rappresenta l’ennesimo film fiction sulla contemporaneità: sarebbe banale fermarsi a questo.

Animali selvatici è R.M.N. Un’analisi, magnetica e profonda, di un corpo vuoto e insensibile, incarnato nel padre del protagonista. “Cos’ha il vecchio?”, gli chiedono degli amici in paese; “qualcosa alla testa” risponde rapido Matthias. Qualcosa, non si sa cosa. Si sa solo che sta male, e che la risonanza magnetica diventa lo spettro incomprensibile di quel malessere.

Matthias scrolla, prima con calma, poi con meno pazienza, le foto della risonanza del padre che ha sul proprio smartphone. In quel telefono c’è la spiegazione, ma evidentemente non si saprà mai. Proprio come il germe parassitario che invade le strade del paesino: il lavoro è inesistente, il freddo pungente dell’entroterra rumeno dilania gli animi, le pecore del padre di Otto spariscono a una a una divorate da qualcosa di misterioso, e nel frattempo alcuni lavoratori srilankesi vengono assunti nell’unico panificio del luogo.

Animali selvatici, tutto il resto è noia

Scene iniziali nel macello dove lavora Matthias in Animali selvatici Christian Mungiu

Cosa potrebbe andare storto? La storia è la solita, d’altronde. Ed è qui che lo spettatore si rende effettivamente conto del perché Animali selvatici non è solo una favola rumena, ma anche europea. “Non è che mi danno fastidio”, sentenzia un paesano in una delle numerose scene di dibattito, dove saggiamente Mungiu decide di girare con la macchina da presa fissa. “Però, questo non è il posto che fa per loro. Che ritornassero a casa”. “Portano malattie”, annuncia il medico, garante della salute dei cittadini. E poi tante altre cose: “ci rubano il lavoro”, “ora sono in tre, ma domani ci invaderanno”, “portano qui le loro famiglie allargate” e bla, bla.

Riformuliamo a questo punto la domanda: cosa potrebbe andare storto? Non si pone nemmeno la questione, la sala intera sa la risposta da subito. Mungiu non sta analizzando un semplice paese, ci sta osservando tutti. Dalla sua lettura a raggi X di una realtà popolana, riesce ad ampliare il campo d’azione a un’intera ideologia popolare.

La modernità nel cinema europeo

Christian Mungiu con il cartellone italiano di Animali selvatici
Christian Mungiu con il cartellone italiano di Animali selvatici (gentile concessione di BIM FILM)

Poche volte nel cinema europeo si è arrivati a un tale livello di lucidità critica. Ultimamente ce l’hanno fatta in pochi. Due, in particolare, e guarda caso sono entrambi grandissimi film: As Bestas di Rodrigo Sorogoyen e L’appuntamento di Teona Strugar Mitevska. Il successo di queste pellicole è decretato proprio dalla loro spirituale universalità con cui il racconto viene proposto.

Sono opere in grado di uscire dallo spazio minuscolo creato dalle loro stesse premesse: As Bestas propone una realtà rurale della Spagna minacciata paradossalmente dall’industria della green economy; L’appuntamento, attraverso una storia di odio razziale tra serbi e croati, ci ricorda che la guerra in Europa non è soltanto un lontano ricordo; Animali selvatici mostra invece il peggio che l’uomo può offrire.

Lo dimostra l’abbandono dell’inetto protagonista nei confronti non solo del padre, ma anche del figlio di dieci anni, l’ignoranza cinica, il cieco egoismo degli abitanti nel villaggio. Nel farlo, però, Mungiu non muove la macchina da presa, sta ben saldo. Perché se alle volte l’informazione fallisce, e se ormai la maggior parte dei contenuti video che fruiamo ogni giorno provengono da traballanti e confusi documenti ripresi con gli smartphone, il regista rumeno vuole essere sicuro di non sbagliare. Ecco. Raccontare la verità sfuggevole della nostra contemporaneità, attraverso la settima arte; anche questo è un gesto molto umano.

In copertina, poster alternativo illustrato dall’artista Manuel Fior


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Studente alla Statale di Milano ma cresciuto e formato a Lecco. Il suo luogo preferito è il Monte Resegone anche se non ci è mai andato. Ama i luoghi freddi e odia quelli caldi, ama però le persone calde e odia quelle fredde. Ripete almeno due volte al giorno "questo *inserire film* è la morte del cinema". Studia comunicazione ma in fondo sa che era meglio ingegneria.

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