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Anna, la Serie di Ammaniti è un survival surrealista nel Paese dei Balocchi

La miniserie di Ammaniti sorprende

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12 minuti di lettura

A tre anni dal suo debutto televisivo con la serie Il Miracolo (2018), Niccolò Ammaniti torna alla regia di un progetto di raffinata poesia: Anna. Trasposizione del suo omonimo romanzo del 2015, la storia si articola in 6 episodi, disponibili su Sky On Demand e NOW Tv dal 23 aprile e da quel giorno trasmessi anche ogni venerdì su Sky Atlantic alle 21.15. Nuova fertile materia per la firma di Sky Studios che, affiancata a Wildside, Arte France, Fremantle, Kwaï e The New Life Company detta la produzione della serie TV. La scrittura, invece, è affidata allo stesso Ammaniti e a Francesca Manieri, già sceneggiatrice de Il Miracolo, Romulus e We Are Who Are.

Ma la vera narrazione appartiene ai bambini, soggetti tanto amati dallo scrittore che, Alberto Asor Rosa, nella prefazione della raccolta di racconti Fango (2014), descrive come appartenenti a “il mondo del fraintendimento e/o della trasgressione; il mondo dove fortuna e sfortuna, machiavellicamente intese, invece di stare divise e contrapposte, si mescolano nella confusione vitale. Ecco dunque come la magia dell’infanzia si radica in un postumo Paese dei Balocchi, dove il disincanto e la padronanza di una nuova realtà dettano le leggi di una fiaba dark. Così la cruda schiettezza impregna i sogni di un surrealismo quotidiano, dove un futuro senza voce si appella a un presente battagliero.

Il mondo come lo vorrei

Anna

Il titolo di una celebre canzone degli Zen Circus potrebbe introdurre ironicamente il ritratto post-apocalittico di Anna. Nel 2020, una terribile pandemia, chiamata La Rossa, colpisce la popolazione globale. Ma noi osserviamo il suo famelico incedere in Sicilia, un cuore di terra in mezzo al Mediterraneo, che diventa il nostro piccolo mondo antico, come il titolo dell’opera di Antonio Fogazzaro. Qui le strade accolgono troppo velocemente cadaveri sfregiati dalla malattia. Adulti coperti di macchie rosse incrostate e uccisi dalla lenta agonia di un respiro soffocato. Gli unici superstiti sono i bambini, in cui la malattia già è presente, ma in forma dormiente. Si risveglia intorno ai quattordici anni, comparando la durata di una vita umana a quella di un cane.

E tanti sono i cani randagi che si muovono tra le rovine di Palermo alla ricerca di un osso da sgranocchiare. Così fanno i bambini, depredando supermercati e barattando i loro averi per un bounty o uno blocco ammuffito di pancetta. La vita è sopravvivenza, ma gongola in una dimensione limbica in cui tutto è possibile, perché le regole non esistono più. La Sicilia diventa l’isola che non c’è, al soldo di una crocchia di bimbi sperduti che fanno della qualunque un motore di divertimento. Ma la loro è una risata amara, prossima all’avvento del Cupo Mietitore in un’età in cui si diventa adulti troppo presto. Così la maturità consapevole lascia il posto a un sadismo inconsapevole, dove tutto, anche la vita, è un gioco.

Anna e i bimbi sperduti

Anna

E quel mondo fatto di sogni distorti appare ai nostri occhi attraverso lo sguardo di Anna Salemi, interpretata da un’esordiente e bravissima Giulia Dragotto. Anni tredici, non ancora sopraffatta dal limite del primo sangue, Anna è per ora salva e deve prendersi cura del fratellino Astor (Alessandro Pecorella). Li vediamo quindi destreggiarsi nella semplice quotidianità del Podere Del Gelso. La loro casa, nella cui stanza da letto affiora lo scheletro della madre. È lei, prossima alla morte, ad aver lasciato ai figli Il Libro Delle Cose Importanti, un manuale di minima sopravvivenza devoluto, nella nostra realtà, alla Biblioteca di Palermo. E tra quelle istruzioni di inchiostro dimora il conoscibile integrato da Anna con la progressiva scoperta di un mondo sconosciuto.

Lei provvede al sostentamento, aggirandosi per le carcasse di automobili e le rovine di una città deserta. Ad Astor è proibito uscire dal limitare del giardino domestico, circondato da stracci appesi, oltre i quali dimorano mostri fatti di corvi e si può morire soffocati. E quel patto di fiabesca invenzione è legge, finché un giorno arrivano al Podere i veri bimbi sperduti. I più piccoli sono imbrattati di vernice blu e rispondono alle dipendenze dei più grandi, contornati da vernice bianca per coprire le incipienti macchie della Rossa. Rapiscono Astor e da qui inizia un inedito viaggio on the road per Anna, tra bizzarrie del mondo postumo e personaggi grotteschi, fino ad arrivare alla Villa di Angelica.

Una Woodstock tra pareti di regalità sfregiata

Anna

Ecco stagliarsi all’orizzonte l’immensa Villa Valguarnera di Bagheria (PA), adornata di festoni carnevaleschi e popolata da creaturine latitanti. È l’oasi della libertà, il Walhalla dei bimbi sperduti, la Woodstock della Sicilia con la Rossa. Qui dimora come una rockstar Angelica, regina del formicaio di bambini che vedono il lei la speranza di una guarigione. Perché tiene incatenata la Picciridduna, alias Katia (Roberta Mattei), l’unica adulta sopravvissuta alla pandemia per un segreto legato alla sua conformazione anatomica. Così tutti credono che il bacio della Picciridduna garantirà loro la salvezza e assaporano un’apparente eterna giovinezza.

Qui il sadismo dei bambini si macchia di una crudeltà inconsapevole, perché a loro tutto è concesso. Si nutrono così di un’istintualità primitiva e animale, rappresentata dalle ossa da animali di cui Angelica si adorna come preziosi gioielli. Lei, un tempo amante della patinata televisione da reality e dei talent show, fonda la propria isola dei sopravvissuti dal sapore rituale e sacrificale dove riecheggiano le maschere alla Pet Sematary di Stephen King. Un ritratto sanguigno e pop in cui ci chiediamo se ancora esista un pizzico di innocenza e bontà in un altrove senza futuro. Ce lo dimostra Astor, la cui innocenza fiabesca stringe il cuore in un legame fraterno di profondo trasporto emotivo.

Anna serie TV dalla sensibilità preziosa

Anna

“Io e Te siamo vivi perché il bosco ci protegge”

Io e Te  è una promessa di unione infrangibile, che evoca un altro bellissimo romanzo di Ammaniti, trasposto nell’omonimo film di Bernardo Bertolucci. Lì, Pietro e Olivia sono fratellastri, come Anna e Astor e, in una situazione di marginalità borderline, scatta in loro la chiave protettiva. Quella che tinge Anna di una sensibilità preziosa in un mondo senza anima e crea un trasporto mimetico nello spettatore. Così vediamo i due fratelli da piccoli, con l’usuale irritazione della sorella maggiore per il bisogno di attenzioni del più piccolo. Ma la naturale cattiveria infantile non raggiunge l’apice de Il Miracolo, arrestandosi un momento prima della sua involuzione e creando un rapporto necessario.

I due fratelli hanno bisogno l’uno dell’altro, con una dolcezza che oltrepassa la crudele rigidità imposta dal mondo esterno. Sono i legami affettivi passati, dunque, a rimanere come ultimo anelito di umanità. Lo dimostrano le storie di tutti i personaggi: Anna, Pietro, Angelica, Katia e i Gemelli, Paolo e Mario, tanto affini a Pinco Panco e Panco Pinco di carrolliana memoria. Ogni puntata dedica uno scorcio passato sulla vita di queste creature abbandonate. Una ad una salgono sulla giostra dei ricordi, portando con sé un frammento del prima, che sia il gelato al cioccolato o un paio di occhiali da sole per vedere le anime defunte che riaffiorano dall’Etna.

Tra surrealismo, musica e fascinazione letteraria

Anna

Anna però è anche una perla di estatico appagamento artistico. Così la regia gioca con inquadrature geometriche e ispirazioni surrealiste, che chiamano in causa il frequente simbolismo animale nella letteratura ammanitiana. Così un elefante alla Salvador Dalì accompagna una schiera di delfini che emergono da un campo di grano. Il tutto si intinge in una colonna sonora pop che Gabriele Salvadores, fedele regista delle trasposizioni di Ammaniti (Io non ho paura, Come Dio Comanda), conosce bene. Da Folle Città di Loredana Berté a Minuetto di Mia Martini, fino alla sigla evocativa di Cristina Donà le canzoni sono parte dell’architettura narrativa e la impreziosiscono.

Si aggiunge poi il superbo panorama da cartolina dei dintorni di Palermo e Messina, fascino deserto di intrigante magnetismo. E l’evocazione dell’acqua, che ritorna nella sigla e chiude il capitolo con la speranza di una salvezza oltre il Mar Mediterraneo invoca una riflessione sull’intimità della nascita, su un legame embrionale che è il principio e la fine di un’Odissea fanciullesca.

Tutto questo si consolida in un esperimento visivo e narrativo che mescola la fascinazione del macabro con la poesia del sogno. Una seconda prova riuscita che, nonostante possa essere respingente per alcuni per la tematica pandemica e la crudezza rappresentativa è di lodevole merito. Da vedere assolutamente.  


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Classe 1996, laureata in Comunicazione e con un Master in Arti del Racconto.
Tra la passione per le serie tv e l'idolatria per Tarantino, mi lascio ispirare dalle storie.
Sogno di poterle scrivere o editare, ma nel frattempo rimango con i piedi a terra, sui miei immancabili tacchi.

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