A quarant’anni dall’uscita di Apocalypse Now, Palma d’oro a Cannes 1979, e a diciott’anni dalla uscita della riedizione restaurata e allungata con tutte le scene tagliate, il regista Francis Ford Coppola ha deciso di realizzare una versione che piacesse a lui, più lunga rispetto alla prima, più corta rispetto alla seconda.
In collaborazione con la cineteca di Bologna, ecco Apocalypse Now – Final cut, la versione definitiva e finale del capolavoro. Contiene una scena totalmente tagliata dalla prima edizione, l’incontro con un gruppo di colonialisti francesi, e piccoli momenti delle scene maggiori. Rimane sempre e costantemente la percezione di un capolavoro senza tempo, da guardare e riguardare anche a distanza di anni.
Apocalypse Now – Final cut, la trama
Liberamente tratto da Heart of darkness di Joseph Conrad, trasposto in Vietnam, la storia si focalizza sul capitano Benjamin L. Willard (Martin Sheen), già nel vivo della guerra da tre anni, con incarichi di operazioni speciali da parte della CIA. Prelevato da due funzionari militari dalla propria stanza d’albergo a Saigon, gli viene affidata una strana missione: risalire la foresta vietnamita e poi cambogiana lungo il fiume Nung, per trovare e porre fine a Walter E. Kurtz (Marlon Brando), ex alto ufficiale dei Berretti Verdi, ora disertore e auto-proclamatosi capo-re di un gruppo eterogeneo di sbandati, vietcong, indigeni nella foresta cambogiana.
Su una nave militare, con un vario e curioso gruppo di quattro soldati, inizia la risalita del fiume. Dall’incontro con le azioni militari selvagge e brutali ai villaggi di “Charlie” (soprannome dei vietcong) mediante l’uso di numerosi elicotteri, guidati dal tenente colonnello William “Bill” Kilgore (Robert Duvall), uomo rude e degno rappresentante delle brutalità compiute dall’esercito americano; all’incontro, in una base avanzata di rifornimento, con un surreale spettacolo di conigliette Playboy come gratificazione ai soldati; la consapevolezza del capitano Willard sulla tragicità della guerra aumenta, e cresce la curiosità per il generale Kurtz. Alla fine la barca, tra attacchi a sorpresa e momenti di riflessione, arriva a destinazione, per l’incontro decisivo…
Apocalypse now – final cut, l’Odisseo vietnamita
Martin Sheen, l’attore che interpreta Il capitano Benjamin L. Willard, a metà riprese ha un attacco cardiaco e rischia di morire; torna sulle scene dopo cinque settimane di ospedale malmesso, con alcune scene che saranno girate da una controparte. La potenza del suo ruolo, non si può dubitare, ha giocato un ruolo decisivo per la sua salute. Perché se si considerasse questo film un war-movie, non si potrebbero ben capire le conseguenze folli sulla vita di tutti gli interpreti. Il film è un percorso esistenziale, una discesa nel “cuore di tenebra” della giungla cambogiana, o forse la scoperta delle tenebre che abitano il cuore di ogni uomo.
Willard richiama l’altro famoso viaggiatore esistenziale, Odisseo: non può sfuggire all’ineluttabilità del viaggio, non può tornare a casa sebbene nulla lo trattenga dal farlo, ha l’imperativo categorico di scoprire che cosa ci sia nel profondo. Ma che senso hanno le vite di Willard e di Odisseo? La missione del capitano è segreta, Odisseo per parte del viaggio rimarrà da solo, dimenticato dal mondo; quale scopo guida il loro viaggio? Solo alla fine del film, troviamo la risposta: la loro vita è testimonianza, è “aperto segno”.
Raccontare l’orrore della guerra, narrare le disavventure tragiche, disegnare la silhouette dell’uomo Kurtz, non banalizzandolo come nella versione ufficiale dell’esercito. Il capitano Willard, al termine del viaggio, comprenderà il proprio senso, troverà il motivo per ritornare.
Apocalypse now – final cut, dissolvenza della morale
La sequenza iniziale e memorabile del film, con sottofondo le note di The end dei The Doors, è un chiaro esempio di dissolvenza, tecnica cinematografica che permette di passare da una scena all’altra del film in maniera graduale, come un’immagine che sfuma nell’altra. Durante il procedere della pellicola questa tecnica registica viene applicata in più circostanze, dando l’impressione di non essere un mero orpello tecnico formale, bensì il cuore semantico del film.
Ripetiamo: il film non è un war-movie; passa attraverso la guerra per approdare ad una delle più antiche domande filosofiche: “Che cos’è il bene?”. In realtà la domanda è ribaltata, viene applicata una reductio ad absurdum, viene risposta la domanda di Sant’Agostino: “Il male esiste?”.
La risposta è che non solo esiste il male, ma Coppola si spinge più in là; il male è onnipresente, ogni traccia di bene si trasfigura nel suo opposto; il male si eleva a potenza, diventa Orrore (la parola, ripetuta, con cui si chiuderà il film), non si può sfuggire, ha consistenza reale e concreta, trasforma la realtà in un’Apocalisse, immediata. Tutto questo ha dissolto la mente di Kurtz, che impazzisce perché ogni categoria razionale non può più rispondere alle domande; perché capisce che ogni soldato è diviso in due, una parte che ama e una parte che uccide; che ogni soldato, e forse ogni uomo, è animale e Dio in un solo corpo.
Kurtz e la sua foresta, la sua micro-società rappresentano il selvaggio, la tenebra, il primordiale. Kurtz si sente al di là del bene e del male; riconosce queste categorie come menzogne dello stato maggiore dell’esercito; ha vissuto troppo il Vietnam, il dionisiaco, per non capire che le categorie apollinee imposte sono false: «noi addestriamo dei giovani a scaricare Napalm sulla gente, ma i loro comandanti non gli permettono di scrivere “cazzo” sui loro aerei perché è osceno». Kurtz stesso, presentato nel film in continua transizione di luce e ombre da un bravissimo Vittorio Storaro, è simbolo ed emblema della dissolvenza della ragione, della verità, del bene.
Apocalypse now – final cut, Etica ed Estetica sono tutt’uno
Il film impressiona per la sua fortissima componente barocca. Luci, colori, suoni, immagini, scenografie sono organizzati da Coppola, insieme ai validissimi collaboratori, come un quadro in movimento. Kurtz è una tela di Caravaggio. Si potrebbe affermare che l’estetica sovrasta il contenuto, che nel film è chiaramente morale.
Tuttavia, sfruttando la citazione di Ludwig Wittgenstein secondo cui «Etica ed Estetica sono tutt’uno», si può osservare come la pellicola approdi a un livello superiore: la bellezza, la qualità pittorica, artistica del film, modula il contenuto, il corpo del film, finendo per coincidere. Ogni scena, ogni inquadratura, ogni gioco registico veicolano nello stesso momento un’istanza etica; il male è vestito con i colori di Storaro, suona con Wagner e Morrison.
Il cinema, quale espressione artistica, diventa vita, quale momento etico, e da questa fusione nasce un calore, una fiamma che si ravviva ancora dopo quarant’anni.
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