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Assassinio a Venezia

Assassinio a Venezia, tornano i fantasmi di Hercule Poirot

7 minuti di lettura

A distanza di un anno da Assassinio sul Nilo, Kenneth Branagh torna sul grande schermo con il terzo capitolo della serie cinematografica ispirata ai romanzi di Agatha Christie. Assassinio a Venezia, adattamento di Poirot e la strage degli innocenti, è disponibile nelle sale italiane dal 14 settembre, e vanta un cast – sicuramente altisonante rispetto ai precedenti – composto da Kyle Allen, Camille Cottin, Jamie Dornan, Michelle Yeoh, Tina Fey, Ali Khan, Emma Laird, Kelly Reilly, Riccardo Scamarcio e il giovanissimo Jude Hill, già protagonista davanti alla macchina da presa di Branagh in Belfast

Con Assassinio a Venezia il regista e attore britannico riesce a dare nuova linfa a una saga che, già con Assassinio sul Nilo, sembrava purtroppo essere in fase decadente. Se Assassinio sull’Orient Express trovava la propria ragion d’essere in un parterre di attori semplicemente eccezionale, e in una sceneggiatura tratta da quello che rimane probabilmente il più celebre romanzo della scrittrice, il terzo capitolo affascina grazie alle spettrali e oscure atmosfere veneziane, nonché a una narrazione fortemente incentrata sul potere orrorifico delle immagini

Assassinio a Venezia, Poirot e il paranormale

Kenneth Branagh in un'immagine di Assasinio a Venezia

Siamo nella Venezia del secondo dopoguerra, precisamente nel 1947, e Hercule Poirot, ormai psicologicamente estenuato, ha deciso di condurre una vita che possa tenerlo lontano da quei casi che lo hanno reso l’investigatore più apprezzato e competente che ci sia. Rifiuta categoricamente ogni proposta che gli venga fatta, fino a quando l’arrivo di un’amica di vecchia data, la scrittrice Ariadne Oliver, farà vacillare la sua ferrea ostinazione. Quest’ultima gli proporrà infatti di accompagnarla a una festa di Halloween, organizzata da Rowena Drake nel palazzo in cui vive, apparentemente popolato dalle inquiete e vendicative anime degli innocenti bambini che lì sono stati rinchiusi e lasciati morire durante la peste. 

Ariadne rivela a Poirot che, conclusa la serata, si svolgerà una seduta spiritica condotta dalla celebre medium Joyce Reynolds, invitata da Rowena con la speranza di riuscire a mettersi in contatto con l’anima della defunta figlia, Alicia, gettatasi dal palazzo qualche tempo prima. La scrittrice è decisa a smascherare gli astuti inganni di Joyce, che ritiene una truffatrice, e per questo chiede all’investigatore di concederle il suo infallibile talento, sperando che la risoluzione del suddetto caso possa diventare soggetto del suo prossimo romanzo. 

Nel momento in cui si svolge la seduta, la medium rivela però alcuni sorprendenti dettagli riguardo alla morte di Alicia, insinuando nei presenti il sospetto che possa essersi trattato in realtà di omicidio. Pochi istanti dopo, la morte di uno degli invitati convincerà Poirot a indagare sul caso, dando così inizio a una lunga notte di indagini, in cui l’investigatore dovrà dare un volto all’assassino, tra suggestioni paranormali e un mistero che di ora in ora si infittirà sempre di più, rendendo ogni ospite un possibile sospettato.

Assassinio a Venezia, l’ossessione per la morte

Michelle Yeoh, Kenneth Branagh e Tina Fey in Assassinio a Venezia

Assassinio sul Nilo ci aveva mostrato un Hercule Poirot più umano, algido nelle investigazioni ma fragile nell’animo. Kenneth Branagh aveva infuso la storia di un romanticismo latente, ma parallelamente aveva anche reso evidente l’ossessione per la morte del Poirot uomo, piuttosto che dell’investigatore. Quella sequenza iniziale ambientata durante la Prima Guerra Mondiale diventa una chiave di lettura fondamentale per comprendere la sua fragilità psicologica in Assassinio a Venezia. D’altronde mai come questa volta la narrazione ruota intorno alla figura di Poirot. 

Ancora più del predecessore, il film ci pone di fronte ai suoi fantasmi, con evidenti parallelismi tra la figura di Joyce Reynolds – ex infermiera dell’esercito britannico – e l’amata e defunta Katherine, inserendo anche personaggi ugualmente perseguitati dalla morte, che non perdono occasione di ricordarglielo. “Ovunque andiamo la morte ci segue.” Una frase ricorrente nel film, che ci ricorda il vissuto di Poirot, ma soprattutto il perché avesse deciso di abbandonare momentaneamente la propria vocazione.

Quello di Assassinio a Venezia è un uomo che ha perso la propria fede, che mostra inevitabilmente le proprie vulnerabilità. E così, proprio come noi, inizia a perdere le proprie certezze. Quella granitica diffidenza verso il paranormale sembra venir meno, e inizia ad assecondare quelle suggestioni che le atmosfere del palazzo, le leggende che lo circondano, hanno insinuato nella sua mente. Poirot inizia a dubitare di se stesso, e noi insieme a lui. 

 Un film di atmosfere e suggestioni

Poirot e Ariadne Oliver in un'immagine di Assassinio a Venezia

Come accennato precedentemente, dopo un secondo capitolo piuttosto deludente in cui, a un calo nel livello generale delle interpretazioni era corrisposta anche una scrittura non particolarmente brillante, Assassinio a Venezia riesce invece a emulare alcuni dei punti di forza di Assassinio sull’Orient Express. Kenneth Branagh riesce infatti nuovamente a instillare nello spettatore il dubbio che ogni personaggio possa effettivamente essere il colpevole, mantenendo vigile l’attenzione e portando avanti in maniera credibile l’elemento soprannaturale, contestualizzato in un’ambientazione lugubre e in un approccio cinematografico che esalta la componente orrorifica.

Ombre spettrali, luci soffuse, sussurri inquietanti. Branagh gioca con inquadrature distorte, riprese in soggettiva e una messa in scena che diventa il vero fulcro della pellicola, distogliendo l’attenzione dello spettatore da una sceneggiatura a volte un po’ ingenua e sicuramente prevedibile, forse perché molto distante dal romanzo di Agatha Christie. Specialmente nel momento della sua risoluzione, Assassinio a Venezia sembra piuttosto indolente, riflettendo l’animo del suo protagonista ma, esattamente come Poirot, è un film che vive di suggestioni, e in questo, dobbiamo ammetterlo, riesce egregiamente. 


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Sono Filippo, ho 22 anni e la mia passione per il cinema inizia in tenera età, quando divorando le videocassette de Il Re Leone, Jurassic Park e Spider-Man 2, ho compreso quanto quelle immagini che scorrevano sullo schermo, sapessero scaldarmi il cuore, donandomi, in termini di emozioni, qualcosa che pensavo fosse irraggiungibile. Si dice che le prime volte siano indimenticabili. La mia al Festival di Venezia lo è stata sicuramente, perché è da quel momento che, finalmente, mi sento vivo.

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