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«Atlantique», perché non perdersi l’esordio di Mati Diop su Netflix

4 minuti di lettura

Mati Diop, una regista nata a Parigi da famiglia senegalese, dopo aver mosso i primi passi da attrice, realizza un cortometraggio, Atlantique (2009), che vince il Rotterdam International Film Festival’s Tiger Award e il Top Prize al Media City Film Festival.

Il corto si trasforma in un film omonimo, nel 2019, che riesce a superare i risultati precedenti. Presentato alla 72° edizione del Festival di Cannes, viene sorprendentemente premiato con il Grand Prix, riconoscimento dato dalla Giuria all’opera che presenta maggiore originalità.

Atlantique

Caricato sulla piattaforma streaming Netflix, Atlantique è un primo lungometraggio che si inserisce subito nel panorama cinematografico mondiale, mettendo su pellicola temi attuali e scottanti.

«Atlantique», trama

Africa, costa atlantica, zona suburbana di Dakar. Ada (Mame Bineta Sane) è una diciassettenne, promessa sposa a un ricco ragazzo, Omar (Babacar Sylla); tuttavia è innamorata di Souleiman (Ibrahima Traoré), un semplice operaio. Quest’ultimo, insieme ai colleghi di cantiere, senza stipendio da quattro mesi, prende la via del mare, alla volta della Spagna, perdendo però la vita. Tutto sembra così per Ada accomodarsi verso la nuova vita matrimoniale ma, dopo pochi giorni, riappare misteriosamente il vecchio amante, mentre una strana febbre contagia le ragazze del quartiere e il commissario.

Atlantique

L’oceano, l’amore

L’immenso Oceano Atlantico accompagna tutto il film, con le sue immagini di calma o di mareggiata. Il suo lento scrosciare è colonna sonora, ed è l’attore non protagonista della vicenda. Tutte le storie hanno una sorta di legame con il suo lento incedere, che può significare un bagno di vitalità, o un viaggio disperato verso la morte.

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La giovane Ada è destinata ad un matrimonio combinato con un ricco ragazzo, ma in realtà è innamorata del giovane e umile operaio Souleiman. Tuttavia, famiglia e amiche avversano i suoi veri sentimenti. Anche l’evento tragico sembra far presagire la capitolazione e la presa di coscienza della propria situazione sociale. Eppure alla fine riesce a scappare da quella gabbia e trova il decisivo momento d’amore.

L’onirico, che si mostra nella seconda parte del film, presenzia nella società in modo sorprendente. Ragazze morte ma presenti chiedono il proprio salario mai ricevuto, Souleiman fantasma cerca l’ultimo vero saluto alla propria amata. Una storia d’amore che è la storia di due fantasmi. La cultura senegalese non nega, ma anzi convive, con le proprie credenze mitologiche. Presenze-assenze di quasi quotidianità, che mescolano desideri e paure – e misticismo – proprio come avviene nel grande Oceano.

Un esordio promettente

Il primo film diretto dalla promettente regista è una miscela di realismo e componente onirica. La situazione drammatica della società senegalese, le sue disuguaglianze e discriminazioni sono il pretesto per la storia d’amore impossibile. Lo svolgimento dei fatti si contorce nella seconda parte, dove gli elementi onirici, portatori di un grande significato, sono tratteggiati in maniera ondivaga e imprecisa, a cavallo tra zombie e fantasmi.

La regia si caratterizza da uno stile manierista, sicuramente coraggioso e personale, incentrato sui protagonisti e sull’Atlantico, sfondo continuo delle vicende. Luci e oscurità giocate al meglio per restituire i protagonisti ai loro momenti emotivi. Atlantique dunque è un’esperienza cinematografica da vivere. Non si deve temporeggiare ma subito cercare su Netflix e iniziare la sua visione.


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Amo le storie. Che siano una partita di calcio, un romanzo, un film o la biografia di qualcuno. Mi piace seguire il lento dispiegarsi di una trama, che sia imprevedibile; le memorie di una vita, o di un giorno. Preferisco il passato al presente, il bianco e nero al colore, ma non disdegno il Technicolor. Bulimico di generi cinematografici, purché pongano domande e dubbi nello spettatore.