2025. Ucraina dell’Est. Un anno dopo la guerra.
Così si apre Atlantis (Атлантида), il film di Valentyn Vasjanovyč vincitore del premio Orizzonti alla 76ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, nel 2019. Un film di terrificante rilevanza, visti gli eventi attuali, che pur trattando temi universali come le conseguenze della guerra sull’uomo e sulla natura, è anche evidentemente intriso di un forte messaggio politico.
Il regista Vasjanovyč riprenderà il discorso del conflitto tra Ucraina e Russia anche nel 2021, con il film Reflection (Відблиск, Vidblysk), sempre in concorso alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, qui andando a ritroso nel tempo e ambientando il film alle origini del conflitto, nel 2014.
La storia e il cast di Atlantis
Un anno dopo la fine della guerra, il Donbass è diventato ormai inabitabile, e l’ambiente è così devastato che il cambiamento sembra impossibile. La guerra ha reso l’area una landa desolata e morta, costellata da fabbriche in disuso ed edifici in rovina. Sergiy e Ivan, entrambi ex-soldati che non si sono ancora ripresi dalla fine della guerra, lavorano in una fonderia prossima al fallimento. Entrambi vivono ancora nel passato e nei traumi della guerra, continuando ad esercitarsi come se non fosse ancora finita.
Dopo il suicidio di Ivan e la chiusura della fonderia, Sergiy decide di affrontare i suoi fantasmi e trova un nuovo lavoro come guidatore di un’autocisterna, distribuendo acqua potabile nelle zone dell’Est, dove l’inquinamento causato dalla guerra ha reso l’acqua tossica. Conosce poi Katya, un’attivista che fa parte di un’associazione umanitaria per riesumare ed identificare i cadaveri di guerra. I due si innamoreranno, trovando umanità e speranza in una zona ormai morta e senza vie d’uscita.
A Sergiy viene in realtà offerta una via di fuga, dopo aver salvato Ketrin, membro di un’organizzazione ambientalista, rimasta vittima di una mina. Per ricambiare il favore e cercare di salvare Sergiy, Ketrin gli offre di lavorare all’estero con la sua organizzazione, poiché ormai il territorio ucraino è morto e non c’è speranza di continuare a vivere lì. Tuttavia l’amore con Katya lo porta a decidere di rimanere, di non abbandonare la terra per cui ha combattuto, e di provare a ricostruire e ritrovare l’equilibrio di un tempo.
La trama di Atlantis, già fortemente carica di un significato politico e patriottico, è avvalorata dal fatto che il cast è composto da attori e attrici non professionisti, ma anzi da veterani, volontari e soldati: Sergiy è interpretato da Andriy Rymaryk, un ex scout militare che ha combattuto nella vera guerra del Donbass, e lavora attualmente nella ONG Come Back Alive, che aiuta e supporta i soldati ucraini. Inoltre, Katya è interpretata da Liudmyla Bileka, paramedico, Ivan da Vasyl Antoniak, volontario, e Ketrin da Lily Hyde, una giornalista freelance specializzata in questioni umanitarie e sanitarie.
Un paese ormai defunto?
Lo stile molto personale di Vasjanovyč, che si è fatto riconoscere anche in Reflection, in Black Level (Рівень чорного, Riven’ čornoho, 2017) e in The Tribe (Плем’я, Plemya, 2014), in cui ha lavorato come direttore della fotografia, non permette allo spettatore di distogliere lo sguardo dalle atrocità della guerra e dalla depressione umana e territoriale che ne conseguono. Attraverso l’insistente uso dell’inquadratura fissa, si crea una vera e propria finestra da cui lo spettatore assiste agli eventi del film e alla vita personale di Sergiy, rendendolo testimone di tutti i suoi momenti di vulnerabilità.
Allo stesso tempo però, prende le distanze dai personaggi, che hanno rarissimi primi piani e sono sempre visti da lontano, tramite campi lunghi. In questo modo si crea un distacco emotivo straniante, che cozza con l’intimità che si raggiunge dallo spiare Sergiy nella sua vita quotidiana. È su questa contraddizione che gioca Atlantis, creando quel senso di straniamento e di stress post-traumatico che affligge Sergiy e tutti gli abitanti sopravvissuti alla guerra.
Tutti i territori che vediamo fanno parte di un paese ormai defunto, di una società divorata dalla guerra e collassata su se stessa. Edifici e complessi abbandonati ad un triste e funesto destino costellano occasionalmente il deserto brullo del Donbass, ormai diventato un’Atlantide, appunto: una civiltà sommersa dal ricordo della guerra e lasciata ad uno stato di abbandono e rovina, abitata da fantasmi che vagano un po’ persi alla ricerca della propria identità perduta, che cercano di ricordarsi com’era la vita prima della guerra.
L’elemento spettrale di Atlantis è conferito anche dalle scene di riesumazione e identificazione dei cadaveri: il parallelismo tra Sergiy e gli scheletri semi decomposti della guerra è evidente, poiché lui stesso si sente appartenere più al mondo dei morti che a quello dei vivi. Tutti i personaggi del film camminano effettivamente su una terra morta, ancora ricoperta da mine non esplose e da vittime di guerra, diventando essi stessi dei morti ambulanti.
L’ambientazione di Atlantis conferisce a tutto il film un’estetica da film distopico, quasi post-apocalittico. Dalla fonderia industriale che si erge e si impone sullo squallido appartamento di Sergiy, agli ampi spazi esterni, grigi e brulli, che sembrano appartenere ad un pianeta alieno, agli edifici abbandonati che vanno a creare delle piccole città fantasma. Il fascino di Atlantis risiede in larga parte anche nella scelta di questi luoghi, che vanno a creare un’estetica particolarmente disturbante e straniante, eppure indubbiamente ipnotica.
La compassione come cura dalla guerra
Questa è una catastrofe che non si ferma solo all’ambiente circostante, ma si diffonde ovunque attraverso le persone, tutti stanno affrontando un trauma passato e cercano di ottenere qualcosa dalla propria vita.
Valentyn Vasjanovič
Con queste parole Vasjanovič descrive Atlantis, sottolinenando il tema dello stress post-traumatico che affronta anche nel suo lavoro successivo Reflection. In entrambi i film i due protagonisti sono reduci da eventi bellici che hanno profondamente turbato la loro vita e la loro visione del mondo, e che cercano di riallacciarsi alla normalità attraverso il rapporto umano: in Atlantis attraverso l’affetto che nasce tra Sergiy e Katya, in Reflection attraverso il rapporto tra Serhij e sua figlia Polina (interessante notare come i nomi dei due protagonisti siano molto simili tra loro).
Emblematici di questo tema sono l’apertura e la chiusura del film: se la prima inquadratura è una visione termica di un seppellimento di un cadavere di guerra, l’ultima è invece la visione termica di Sergiy e Katya che si stringono in un lungo e sentito abbraccio. Il calore umano che scompare e viene assorbito dalla fredda terra della sepoltura, viene invece alimentato e tenuto vivo dall’affetto e dal sostegno umano.
La storia raccontata in Atlantis è certamente una riflessione sui danni del conflitto tra Russia e Ucraina, che da quasi un decennio sta piagando il territorio e causando danni umani irreparabili, ma propone anche una previsione su come ci si può riprendere da questa tragedia, come da qualsiasi tipo di guerra: attraverso la collaborazione e la compassione, lavorando insieme per cercare di salvare il salvabile, compreso l’elemento umano.
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