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makbul mubarak fotografato da stephanie cornfield
Credit: Stephanie Cornfield

Autobiography, frammenti di storia dell’Indonesia

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6 minuti di lettura

Autobiography è l’esordio al lungometraggio di Makbul Mubarak, regista indonesiano ed ex-critico cinematografico, che ha esordito nella sezione Orizzonti a Venezia 79. Il film, sotto la veste di un rapporto padrone-servo, riflette su un pezzo di storia dell’Indonesia con un racconto teso, ambiguo e per lo più pessimistico. La storia di Rakib (interpretato dal giovane Kevin Ardilova) e di Purnawinata (Arswendy Bening Swara) diventa il simbolo di un rapporto irrisolto tra il passato della dittatura di Suharto e il presente corrotto in cui versa l’Indonesia.

makbul mubarak il regista di autobiography
Credit: Stephanie Cornfield
Makbul Mubarak, regista di Autobiography, visto attraverso la lente della fotografa Stephanie Cornfield

Il ragazzo e il generale

autobiography film indonesia mubarak makbul

Nell’entroterra indonesiano, dove tra la nebbia e le piogge imperversano l’indigenza e il disagio, Makbul Mubarak racconta la storia privata di Rakib, un giovane custode che inizia a frequentare nel ruolo di assistente personale l’ex-generale Purna, ritornato dopo tanto tempo come candidato in vista delle elezioni. Autobiography ha un racconto teso e angoscioso che percorre le evoluzioni e involuzioni del rapporto che sussiste tra questi due personaggi: prima l’obbedienza cieca dettata dal timore, poi la lealtà di una fiducia rinnovata, poi l’impulso di fuga scaturito dall’agnizione e infine la rabbia lucida di un sentimento tradito.

Questo percorso di corruzione morale ha origine dalla vicinanza al potere, che con la sua forza di seduzione trae Kib in inganno, acciecato da uno status e da prospettive di rivalsa sociale insperate. Kib rivede in lui anche una figura paterna e questo lo trascina ancora di più nelle profondità di un rapporto nebbioso, in cui i volti imperscrutabili dei due personaggi acuiscono la natura torbida della relazione.

Seppur ambiguo, traverso e con alcune scene che suggeriscono anche tensioni sessuali (la scena della caccia con i tempi dilatati e la scena della doccia sono eloquenti in questo senso), la struttura non è troppo dissimile da una sorta di testo di formazione in cui Kib fa i conti con una realtà illusoriamente benevola: la seduzione del potere e delle sue diramazioni è lo specchietto per le allodole di un mondo che comporta costi troppo pesanti.

Autobiography e la dittatura di Suharto

autobiography  scena con protagonisti seduti a tavola che parlano

Ma c’è qualcos’altro, nascosto sotto questo torbido testo di formazione, perché la storia intima di Kib diventa una riflessione sulla Storia di un paese. Il clima che percorre come un nervo teso tutto il racconto di Autobiography non è che l’eredità tragica e gli strascichi di un passato che continua a manifestarsi. La dittatura di Suharto, che ha piegato il paese fino a pochi anni prima, attraverso appropriazioni indebite e eliminazioni sistematiche degli oppositori, è un fuoricampo tragico sempre presente. Fare i conti col proprio passato, nel silenzio dall’Occidente, significa fare i conti con quei mostri ancora vivi, seppur un po’ vecchi e imbolsiti.

Se l’eredità storica corrompe ancora il presente del paese, ciò si vede anche negli eventi e nella figuratività del racconto, in cui riemergono dinamiche di potere che si supponevano estinte: ci sono le solenni icone militari negli interni delle case che si contrappongono ai cartelloni ridenti di propaganda, c’è il terrore esercitato dal passato di ruoli che non esistono più (basta uno sguardo di Purna per riportare l’ordine), ci sono le menzogne ai cittadini, il controllo delle forze militari e infine, c’è l’omicidio, l’eliminazione degli oppositori.

Lo stile di Autobiography

Lo sguardo di Makbul Mubarak, regista di Autobiography è tragico, pessimistico. La macchina da presa ne porta sempre il segno. Le sequenze più tese sono spesso in camera a mano, e si fanno convulse con l’incedere dell’azione, mentre le inquadrature più statiche sono simbolicamente corrotte, occluse, stratificate. Negli interni l’arredamento o altri ingombri spezzano la pulizia dell’inquadratura, così come il vetro delle finestre o i riflessi aggiungono gradi di seperazione tra la macchina da presa e i personaggi.
È uno sguardo corrotto come il suo protagonista.

Kib, dopo aver ucciso Purna, nella libertà di un’ingiustizia inesistente, si prepara per fare un discorso al suo funerale, così come il generale aveva fatto a quello della sua vittima Agus: il finale è il monito di una circolarità tragica da cui non si può scappare.


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Classe 1998, nato a La Spezia. Laureato in Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione a Pisa e attualmente studente di Cinema, Televisione e Produzione Multimediale a Bologna. Sono appassionato di cinema sin da piccolo e scrivere mi aiuta a fare chiarezza su ció che guardo (quasi sempre).

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