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«Baby 3», il finale di stagione spiegato in tre punti

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12 minuti di lettura

Il 16 settembre è arrivata su Netflix Baby 3, ultima stagione della serie italiana che sin da subito ha fatto molto parlare di sé, in quanto ispirata allo scandalo, esploso nel 2013, della prostituzione minorile nel quartiere Parioli di Roma.

Sempre scritti dal collettivo Grams e stavolta diretti, oltre che da Andrea De Sica e Letizia Lamartire, anche da Antonio Le Fosse, gli ultimi episodi di Baby prendono una piega piuttosto inaspettata e a tratti soddisfacente. Anche stavolta, però, non mancano gli scivoloni più o meno gravi.

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Segnali di miglioramento

In Baby 3, gli sceneggiatori si sono focalizzati su quello che avrebbe dovuto essere il tema centrale sin dall’inizio (o almeno, questo è quello che si è voluto far credere durante la campagna promozionale di due anni fa): la prostituzione minorile. Nei dodici episodi precedenti, infatti, l’argomento è stato trattato in maniera insufficiente, oltre che poco consona. La vita parallela di Chiara (Benedetta Porcaroli) e Ludovica (Alice Pagani) è stata resa troppo glamour, affascinante ed entusiasmante. Inoltre, è sembrato che si volesse mostrare come le due ragazze avessero il controllo sulle loro azioni e non fossero invece state raggirate e manipolate da Saverio (Paolo Calabresi) e suo cugino Fiore (Giuseppe Maggio), due papponi e gestori di un locale notturno.

Stavolta si è aggiustato un po’ il tiro (anche se, nel farlo, molte trame sono state chiuse frettolosamente) e si è cercato di elaborare una critica contro la prostituzione minorile, di cui si parla sin da subito come una cosa che non è frutto di una scelta. Gli sceneggiatori hanno inoltre preso delle decisioni più coraggiose e non scontate, donando alla serie una conclusione dolceamara ma giusta, lontana dal fan service. La cosa più apprezzabile è che ogni singola persona, grande o piccola, che ha commesso degli errori si trovi a rendere conto delle sue azioni. Tutti i nodi vengono al pettine, eccetto quello della morte di Saverio, di cui non si parla mai (probabilmente per il poco tempo a disposizione). In aggiunta, la fotografia è curata e rende gli episodi piacevoli allo sguardo.

Nonostante questi elementi positivi, però, Baby 3 ha dei problemi rilevanti, che suddividiamo qui in tre blocchi distinti. Il primo riguarda il lato prettamente tecnico, il secondo i rapporti madri-figlie e il terzo il messaggio finale.

«Baby 3»: la colonna sonora e la regia

La presenza della musica in Baby 3 è davvero massiccia. Si contano, in totale, una quarantina di canzoni in soli sei episodi della durata di 50 minuti o meno. Molto probabilmente l’obiettivo era quello di alleggerire i toni e rendere le puntate il più possibile appetibili per il giovane pubblico, ma alla lunga essa finisce per risultare fastidiosa ed essere sintomo di una sceneggiatura lacunosa.

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Inoltre, le scelte musicali sono a volte discutibili. Un chiaro esempio è quello della scena di sesso tra Ludovica e Fiore nella villa, che avrebbe dovuto trasmettere disagio, dato che parliamo di un adulto che manipola una ragazzina. Invece la canzone che la accompagna ha delle sfumature anche romantiche. Ciò fa parte del processo, iniziato nella prima stagione, di edulcorazione del pappone perché di bell’aspetto e di romanticizzazione dell’abuso.

A ciò si aggiunge una regia inferiore a quella della seconda stagione, in cui era funzionale alla rappresentazione degli stati d’animo dei personaggi. Qui, invece, sembra si sia persa quella capacità comunicativa. Basti pensare al confronto tra Chiara e Damiano al bar nel primo episodio, durante il quale la macchina da presa si muove circolarmente e si avvicina a loro di continuo senza un motivo apparente. Simili scelte formali, fuori luogo e fini a se stesse, distraggono lo spettatore e non mettono in risalto le emozioni dei due adolescenti.

I rapporti madri-figlie

In Baby 3, i rapporti tra le due protagoniste e le loro rispettive madri raggiungono un punto critico che però non viene esplorato. Si giunge così a esiti positivi ma non spiegati.

In Baby spesso manca l’approfondimento dei personaggi, dei conflitti che li coinvolgono e delle motivazioni che li spingono ad agire

La madre di Ludovica, Simonetta (Isabella Ferrari), aveva scoperto nella seconda stagione ciò che stava succedendo alla figlia, ma aveva deciso di non fare nulla e usufruire comunque dei suoi soldi. Per questa ragione, negli ultimi episodi viene arrestata per favoreggiamento della prostituzione. Tuttavia, non vediamo mai Ludovica sofferente per questo e anzi, il loro rapporto sembra non venire minimamente scalfito da un simile crimine. Si sorridono in tribunale e si parlano tranquillamente in prigione, sebbene Simonetta cerchi di minimizzare e negare tutto fino alla fine del processo. Il conflitto è praticamente inesistente.

Possiamo invece considerarlo più presente tra Chiara e sua madre Elsa (Galatea Renzi). Quest’ultima, accecata dalla voglia di vincere la campagna elettorale, fa di tutto per nascondere il coinvolgimento della figlia nella scabrosa vicenda e tenta di far ricadere la colpa solo su Ludovica. Anche qui, però, dopo il processo vediamo le due sedute vicine, sorridenti e felici. La situazione, non sappiamo come, si è risolta. Di suo padre Arturo (Massimo Poggio), giustamente andato via per il comportamento della moglie, non abbiamo invece più notizie. Ciò è paradossale, perché, nonostante la sua assenza negli anni, avremmo piuttosto dovuto vedere lui con Chiara, alla fine.

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Un grosso difetto di Baby è che spesso manca l’approfondimento dei personaggi, dei conflitti che li coinvolgono e delle motivazioni che li spingono ad agire. Cosa porta Simonetta, per esempio, a indignarsi quando l’ex professore e cliente della figlia le rivela di averci quasi avuto un rapporto, se pochi episodi prima aveva scelto di non denunciare ciò che aveva appena scoperto? La serie non ci dà risposte.

«Baby 3»: il messaggio finale

Baby 3

«Mi guardo allo specchio e non vedo una vittima. Poi mi guardo intorno… Credo che la cosa più giusta sarebbe ammettere che ognuno di noi, in fondo, è responsabile».

Le ultime parole pronunciate da Chiara al processo sono la chiave di lettura di Baby e, allo stesso tempo, rappresentano la sua più grande problematica: la colpevolizzazione e la responsabilizzazione delle vittime. Si potrebbe dire che ognuno reagisce in maniera differente agli eventi traumatici e che serva un percorso mirato ad acquisire piena consapevolezza della situazione vissuta. Se seguiamo questo ragionamento, è logico che Chiara non riesca ancora a percepirsi come una vittima. Ma la questione non è così semplice come sembra e dietro il monologo finale si celano ben altri intenti.

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Anteriormente all’uscita della prima stagione, Andrea De Sica aveva risposto a delle pesanti critiche mosse dal National Center on Sexual Exploitation (NCOSE). Secondo questa organizzazione, Baby dava, dalle premesse, l’aria di promuovere e normalizzare il traffico sessuale di minori. Il regista aveva ai tempi voluto rassicurare che fosse stato fatto un lavoro per evitarlo (sebbene poi i fatti lo abbiano smentito) e che il focus fosse «il problema psicologico del libero arbitrio degli adolescenti, che entrano in questo mondo notturno che a volte può essere spaventoso, e sulle loro scelte e conseguenze». Ancora: «Era importante rispettare la vicenda trattata e le ragazze e cercare non di giudicarle o dire “povere vittime”, ma di capire cosa succede nella mente di una sedicenne che si sente completamente distaccata dalla realtà».

Appare chiaro allora che l’intento della serie fosse davvero quello di offrire più punti di vista sul fatto di cronaca trattato. Non a caso Ludovica, a differenza di Chiara, capisce di essere una vittima. Questo le pone in contrasto e sembra insinuare che possano esserci delle responsabilità anche da parte delle ragazzine coinvolte nel giro. Ciò è assolutamente falso, ma si sposa con le dichiarazioni del regista. Ed ecco che la critica portata avanti fino a quel momento finisce per cadere.

Dipingere come vittime due minorenni spinte a prostituirsi non è irrispettoso nei loro confronti, è solo la realtà dei fatti. È invece irrispettoso, oltre che irrealistico, il voler proporre una visione a tutti i costi “non scontata” di un simile dramma e il mostrare i clienti passivi rispetto alle protagoniste, di cui (ricordiamolo) abusano.

Cosa ci lascia «Baby»

Baby 3

Nonostante abbia lanciato molti giovani attori e attrici e abbia ottenuto un successo mondiale, difficilmente ricorderemo Baby tra qualche anno. In fin dei conti, è un semplice teen drama che ha voluto trattare, senza uscire dai canoni del genere, un tema spinoso. Solo che l’ha fatto più con la voglia di apparire trasgressivo che con quella di criticarlo. E non è quello che si merita un problema tanto grave, di cui ancora oggi molte ragazzine sono succubi.


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Classe 1999, pugliese fuorisede a Bologna per studiare al DAMS. Cose che amo: l’estetica neon di Refn, la discografia di Britney Spears e i dipinti di Munch. Cose che odio: il fatto che ci siano ancora persone nel mondo che non hanno visto Mean Girls.

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