L’aggiunta sudcoreana del 6 ottobre al catalogo Netflix è Ballerina, il revenge thriller diretto da Lee Chung-hyeon (promettente regista classe 1990) con protagonisti Jeon Jong-seo e Kim Ji-hoon, i volti noti di Tokyo e Denver ne La Casa di Carta Corea. E quasi fosse opera del destino, la seconda collaborazione sul set dei due attori é ancora un progetto poco significativo destinato a collezionare visualizzazioni restando nell’ombra, insieme a tanti altri titoli dimenticabili e con una sinossi alla stregua di un lavoro di copiatura.
La sinossi di Ballerina
Dopo un insolitamente lungo periodo di silenzio Ok-ju (Jeon Jong-seo) riceve una telefonata dalla sua amica Min-hee, ballerina classica, e si precipita a casa sua per trascorrere una serata insieme. Ad attenderla, invece di Min-hee, trova il suo cadavere nella vasca da bagno, le sue scarpette da ballo accuratamente impacchettate e un biglietto con su un’esplicita richiesta di vendetta. Sarà l’inizio di un viaggio senza ritorno per Ok-ju, macchiato dal sangue e da dolorose realtà.
Ballerina, niente di nuovo sotto il sole
Tra i molteplici modi di strutturare un revenge movie, Ballerina opta per quello più carnale e immediato, eludendo completamente la dimensione introspettiva, indispensabile ad elevare il valore di una pellicola. Un approccio non da condannare in assoluto ma il cui risultato, per quanto studiato, si riesce agevolmente a prevedere: il tipico effetto alla John Wick, perfetto per un sabato sera sul divano a mangiare popcorn, in cerca di una semplice e dimenticabile distrazione.
In Ballerina non esiste una trama su cui concentrarsi: invece da un solo biglietto e qualche accenno di flashback il film si affretta verso un finale prevedibile e svuotato di pathos, seguendo un percorso all’apparenza tortuoso ma in realtà tremendamente lineare. Un ritrovo di dinamiche ripetitive la cui violenza, sorprendente solo nei primi 2000, è diventata oramai vecchia scuola tanto da richiedere ulteriore supporto del copione per non scadere nella solita americanata di poca importanza.
Peccato per i corpo a corpo esteticamente notevoli, che palesano un importante lavoro preparatorio ma che non riescono, da soli, ad elevare un prodotto povero. Peccato anche per la protagonista Jeon Jong-seo, il cui talento in Burning (2018) e The Call (2018) era già emerso e che in Ballerina non scade di qualità, nonostante il contorno non le consenta di brillare come potrebbe.
L’inesorabile declino del revenge thriller
Ballerina sfoggia i suoi combattimenti coreografati e la sua protagonista come fossero un trofeo, per compensare l’assenza di una vera storia da raccontare, o per lo meno di una che non sia stata già raccontata allo stesso identico modo e tante altre volte. Prova lampante della mancanza di risorse è la sua brevità (un’ora e mezza appena), forse frutto del desiderio di attrarre la massiccia fetta di pubblico non disposta a sprecarsi più di tanto per un film mediocre, ma estasiata dal crudo e giusto compimento della giustizia.
Il nocciolo della questione sta proprio qui. Per quanto di giustizia non se ne abbia mai abbastanza, non sono il sangue e le botte a soddisfare lo spettatore. Neanche quello in cerca di genuino intrattenimento che, dopo anni di revenge movie con Liam Neeson e Denzel Washington, di zuffe e sparatorie ne ha fin sopra i capelli. La giustizia, quella vera, bisogna saperla rappresentare in modo da farne assaporare ogni singola fase finché il climax finale non sopraggiunge impetuosamente: un piatto che va servito freddo, si dice, per cui l’attesa vale la pena quanto il primo boccone.
Con Ballerina, che in questo fallisce, siamo più vicini a una versione sudcoreana di Peppermint – L’angelo della vendetta anonimamente aggressiva, scontata, e ben lontana dalla meticolosa pianificazione vista in The Glory, meritevole di contro sia di attenzione che di esultanza. E non potremmo essere più lontani da Lady Vendetta di Park Chan-wook, a cui il film palesemente tenta di fare riferimento. Riuscendo però solo a sbirciarlo, da lontanissimo.
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