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Bastarden copertina

Venezia 80 – Bastarden, la solitudine ossessiva tra caos e controllo

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7 minuti di lettura

Dopo il successo di A Royal Affair , Nicolaj Arcel torna nella Danimarca del Settecento, ripartendo dalla fattualità per raccontare una storia squarciata di ossessioni, solitudini, ferocia e un’epopea tragica, governata da un’imprevedibilità non piegabile neanche alla più nobile delle ambizioni. Bastarden (The Promised Land) esordisce in concorso al Festival di Venezia scommettendo tutto sulla sottrazione emotiva e la dirompenza interpretativa del suo imperante protagonista: .

Bastarden, storia di un riscatto a doppia temperatura emotiva

Bastarden è la Danimarca del 1755, sono le lande danesi, è il capitano Ludvig Kahlen, con una missione apparentemente irrealizzabile ma un solidissimo piano alle spalle. Dopo aver servito l’esercito tedesco per venticinque anni, Ludvig rincorre un’aspirazione definita al dettaglio: costruire una colonia in nome del Re nella brughiera incoltivabile dello Jutland e ottenere in cambio un titolo nobiliare, una proprietà, una servitù e – soprattutto -un tanto desiderato e sommerso riscatto. La sua determinazione affonda i denti in un passato di cui ci viene svelato poco, ma le sue schegge bastano a contornare un’esistenza vissuta nel marchio di dolori irrisolti: una madre (domestica) abusata e ingravidata da un signore violento e il fardello di figlio bastardo, reietto e con una vita da reinventare da zero. Contro ingiustizie, ricatti, soprusi e violenze.

Il Bastarden di Arcel è un affresco di personaggi, tutti affiancati al protagonista, scarnificati da una pari e graffiante emarginazione. Due fuggitivi, un parroco, dei briganti e una ragazzina alla disperata ricerca di un posto cui appartenere. Contro di loro un nemico psicotico e indomabile, Frederik De Schinkel (Simon Bennebjerg), sovrano di una terra adiacente e presuntuosamente convinto -ed intenzionato- ad ottenere il controllo dell’intero territorio: pena un’insicurezza difficilmente ammaestrabile, annegata in un complesso d’inferiorità che si propaga nell’efferatezza di chi sa di dover annientare l’altro per poter continuare a sopravvivere. Quella tra De Schinkel e Kahlen è una guerra di opposte temperature emotive, spinta oltre qualsiasi principio di razionalità e mossa da due forze collidenti e auto-escludenti: il caos e il controllo.

Che cos’è davvero il fallimento?

bastarden

Se c’è un ritornello che risuona in Bastarden, quello ha le vesti di domande che non trovano risposta. Perché Kahlen è così legato al suo piano? Fin dove è disposto a spingersi? Quanto ossessiva può diventare un’ambizione? Che cos’è davvero il fallimento? Mads Mikkelsen dà corpo e voce a un uomo completamente asciugato nell’anima e nell’emotività, sempre retroattivo all’intenzionalità dell’altro. Nella costruzione della sua “famiglia” ci finisce con una casualità che sa fare della genitorialità, del sentimento, della carnalità e dell’affetto una casa accogliente in cui potersi ritrovare. Ma poi alla vera ricompensa non sa dare valore e rincorre, cieco, un’illusione che nasconde i germi di uno sradicamento irrisolto, sempre più inabissato nel passato e sempre meno accogliente del presente.

Se l’isterismo di De Schinkel indossa i panni della violenza e della psicosi, quello di Ludvig volteggia al ritmo di una mania del controllo che finisce per detonare in un’implosione annientatrice di qualsiasi contatto con la realtà. E allora il caos non può che avere la meglio, anche in punto di morte, sentenziando una pena pesantissima: le cose non vanno quasi mai come speriamo. E allora di un’ambizione raggiunta cosa resta, quando il percorso ne ha divorato ogni briciola di umanità?

Il dramma storico di Bastarden convince, coinvolge ed emoziona Venezia80

bastarden

Arcel lavora la sua materia con la cura nello sguardo e nella direzione formale – e scritta – dei suoi interpreti. A raccordo di prove attoriali tutte convincenti e a suggello di un’opera che sa essere avvincente senza mai svuotarsi di contenuto. Bastarden gioca con gli spazi, posizionando due uomini soli nella claustrofobia di ambienti antitetici: mentre De Schinkel è spesso imprigionato nelle pareti ospitali della sua tenuta, chiuso dentro le mura spesse della sua stessa onnipotenza; Ludvig è frequentemente solo in campi lunghissimi, sradicato prossemicamente da un’inafferrabile relazionalità. Bastarden quegli spazi li fa scorrere al ritmo delle stagioni e delle condizioni metereologiche che piegano e muovono la coltivazione della brughiera, raccordando le loro interiorità agli umori di una natura che si impone incurante sui destini dei singoli, risolvendosi nell’ultimo e più centrale conflitto dell’opera. Uomo e natura, un binomio di impossibile pacificazione nelle mani di un individuo costretto ad arrendersi – e donarsi – a una nuova possibilità di vita.

Bastarden arriva al punto scivolando nei suoi contrasti e abbracciando il coinvolgimento spettatoriale con la costruzione di personaggi che viaggiano su opposti interpretativi, dove la boria di De Schinkel a volte straborda, mentre la misura di Mikkelsen tocca le corde più delicate dell’emotività. Insieme a donne auto-determinate, coraggiose, assennate, consapevoli di ciò che desiderano e disposte a lottare per ottenerlo. Ann Barbara (Amanda Collin), Edel (Kristine Kujath Thorp) e la piccola Anmai Mus (Hagberg Melina) sono usate da Bastarden in contrappunto ai suoi uomini, strizzando l’occhio a una scaltrezza emotiva, intellettiva e introspettiva che non risparmia violenza, ostinazione e audace intenzionalità emancipatoria.

Con un registro che sa servirsi di un adeguato controllo di dramma e ironia, epica e intimismo, Bastarden riesce a chiudersi in equilibrio, seminando riflessioni sul più impervio dei terreni. C’è da chiedersi a fondo quale scegliere di coltivare, perché in ballo c’è sempre, nonostante tutto, il germogliare di una nuova possibile forma di vita.


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Laureata in Cinema e Comunicazione. Perennemente sedotta dalla necessità di espressione, comprensione e divulgazione di ogni forma comunicativa. Della realtà mi piace conoscere la mente, il modo in cui osserva e racconta le sue relazioni umane. Del cinema mi piace l’ascolto della sua sincerità, riflesso enfatico di tutte le menti che lo creano. Di entrambi coltivo l’empatia, la lente con cui vivere e crescere nelle sensibilità ed esperienze degli altri

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