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Batman – Il ritorno, i 30 anni di un cinefumetto unico e innovativo

Il secondo film di Batman a opera di Tim Burton è ancora un cinefumetto unico nel suo genere e un film dall'indiscutibile valore artistico

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8 minuti di lettura

Sono passati 30 anni dall’uscita di Batman – Il ritorno, il meraviglioso cinefumetto di Tim Burton dalla sceneggiatura innovativa e ancora oggi unica nel suo genere. Disponibile su Prime Video, Sky e NOW, il quinto film di Tim Burton è un sequel autosufficiente del suo Batman del 1989, in cui il regista era già riuscito a creare una nuova estetica peculiare data dall’unione di atmosfere dark e scenografie pop, avente come risultato un noir fumettistico, un po’ gangster movie e un po’ commedia, folle come il personaggio che domina la scena (che nella dilogia di Burton non è mai Batman).

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Batman – Il ritorno: anarchia freak a Gotham City

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Michelle Pfeiffer e Danny DeVito sono rispettivamente Catwoman e il Pinguino, i protagonisti di Batman – Il ritorno.

Nei titoli di testa del Batman dell’89 il primo nome che appare sullo schermo è quello di Jack Nicholson, non quello di Michael Keaton. Tim Burton dà un chiaro segnale fin dall’inizio: il personaggio principale del film sarà l’antagonista, non il protagonista. In Batman – Il ritorno questa caratteristica sarà ancora più evidente ed estrema con Oswald Cobblepot e Selina Kyle protagonisti assoluti dell’opera (interpretati magistralmente da Danny DeVito e Michelle Pfeiffer).

Burton ha basato un’intera filmografia sul concetto del diverso, del freak dall’aspetto mostruoso ma dal cuore tenero, emarginato da chi appare buono ma cela la mostruosità dentro di sè, un insegnamento nato con Freaks (il film di Tod Browning del 1932), un capolavoro che ha illuminato e influenzato innumerevoli autori contemporanei.

Quelli di Burton sono quindi antagonisti emarginati, nati buoni ma incattiviti da una società che non li accetta, umani che si identificano in delle bestie e che sfruttano il proprio cruccio per assumere potere e dominare chiunque li ha definiti diversi.

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Christopher Walken nel ruolo di Max Schreck.

Ad accompagnare il Pinguino e Catwoman c’è un terzo villain non esistente nei fumetti di Batman, ovvero Max Schreck (interpretato da Christopher Walken), perfetto antagonista burtoniano in quanto uomo di potere ben visto da chi non è al corrente della sua spietatezza. Burton, probabilmente per palesare la sua natura ostile, lo chiama Max Schreck come il celebre attore del cinema espressionista tedesco, un nome che tradotto alla lettera diventa massimo spavento.

Il Pinguino, un freak senza speranze

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Oswald Cobblepot sulla tomba dei suoi genitori.

C’è chi freak lo diventa e chi ci nasce, chi lo è sul piano sociale e chi sul lato estetico, chi riesce a diventare più forte e chi annega nella sofferenza causatagli dall’emarginazione. Oswald diventa il Pinguino quando, abbandonato dai genitori per la sua bestialità, cresce nelle fogne allevato dagli uccelli che non riescono a volare (definizione perfetta di un animale diverso).

La sua missione è quella di passare da Pinguino a Oswald Cobblepot, da reietto a re, diventando il sindaco e quindi l’uomo più potente di Gotham; ma la bestialità fa ormai parte della sua persona, e nonostante i suoi sforzi di umanizzazione amplificati da una società che lo accetta poiché influenzata dai mass media e dal potere da lui assunto, non riesce a non esternare la sua natura selvaggia.

Tim Burton omaggia uno dei film più belli sulla figura del freak, ovvero The Elephant Man, dando a Danny DeVito la stessa battuta pronunciata da John Hurt nel film di David Lynch, ma all’inverso: dalle disperate grida d’aiuto di Merrick “Non sono un animale, sono un essere umano!”, allo sfogo rabbioso del Pinguino “Non sono un essere umano, sono un animale!”.

Cobblepot, ormai rassegnato, rifiuta l’idea di diventare una persona migliore e di essere definito un umano, facendosi assalire da tutto quello che lo ha reso un freak e diventando a tutti gli effetti il mostro che è sempre stato accusato di essere.

Catwoman: morte, eros e vendetta

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Catwoman e Batman in una delle scene più iconiche del film.

Chi sei tu? Chi è l’uomo che si nasconde dietro il pipistrello? Forse tu puoi aiutarmi a trovare la donna che c’è dietro questo gatto.

Una donna sola, incatenata alla monotonia, oppressa sul posto di lavoro, ma liberata dalla morte, o meglio, tornata dal mondo dei morti con la consapevolezza di avere una seconda opportunità, in modo tale da gestire la propria vita diversamente comportandosi come non aveva mai osato fare.

In questo caso, al contrario di Oswald, è il suo lato umano ad essere emarginato e invisibile a chiunque, mentre la maschera del gatto la porta ad essere sicura di sè e centro di attenzioni per chiunque. Catwoman diventa un ostacolo solo quando Selina trova il suo equilibrio, come per Bruce Wayne quando entrambi limitano le proprie azioni per nascondere le cicatrici e quindi la propria doppia vita.

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Michelle Pfeiffer nel ruolo di Catwoman.

Burton scrive e dirige un personaggio vendicativo e sofferente che trova conforto nella libertà, nell’emancipazione e nel proprio corpo, realizzando il personaggio più sensuale della storia dei cinecomics (e non solo).

L’erotismo emanato dalla donna-gatto non è fine a se stesso, anzi è fondamentale per rappresentare lo stravolgimento del personaggio di Selina, che nelle scene precedenti alla “trasformazione” era ostracizzata proprio a causa della sua insicurezza; la disinibizione – e quindi l’intraprendenza seduttiva – sarà la sua arma principale, caratteristica chiave per assumere il controllo su ogni individuo e in qualsiasi circostanza.

Gotham City, la città freak

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La Gotham di Tim Burton.

Prima dei suoi abitanti è Gotham stessa ad essere una città freak, un luogo del terrore dove il male e il marciume si intensificano mentre il resto del mondo distoglie lo sguardo e se ne disinteressa.

Quello che rende unica la Gotham di Burton è la sua estetica lontanissima dalla realtà, oscura anche di giorno, minacciosa nonostante le decorazioni natalizie e con uno skyline che rimanda al cinema espressionista e in particolare all’architettura distopica di Metropolis (il capolavoro di Fritz Lang del 1927); il tutto in contrasto con le musiche fantasiose di Danny Elfman altri elementi della scenografia che invece si impegnano a mantenere uno stile fumettistico e cartoonesco, creando un ibrido originale, iconico, dal sapore vintage perché per certi versi datato, ma talmente affascinante da non invecchiare mai.


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Classe 1997, appassionato di cinema di ogni genere e provenienza, autoriale, popolare e di ogni periodo storico. Sono del parere che nel cinema esista l'oggettività così come la soggettività, per cui scelgo sempre un approccio pacifico verso chi ha pareri diversi dai miei, e anzi, sono più interessato ad ascoltare un parere differente che uno affine al mio.

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