Nasci, cresci, muori, e da carne ritorni… Carne. È quello che constata il titolo senza veli del nuovo film di Laura Moss. Birth/Rebirth, horror rigeneratore, ricerca sul corpo e sullo spazio, macchina di discordia e sostenitrice della scienza come religione: oltre ogni cosa, opposta al corso naturale degli eventi, attaccata alla vita (finanche questa possa essere una possibilità oltre essa) e repulsiva nei confronti della morte.
Birth/Rebirth, body horror del contemporaneo
Celie (Judy Reyes) è un’ostetrica, Rose (Marin Ireland) è invece una patologa che lavora nell’obitorio del suo stesso ospedale. Entrambe hanno a che fare quindi con due piani diametralmente differenti, fisicamente e concettualmente, ma che nell’horror di Moss trovano un punto di unione: la vita, nel primo caso, che si riassume nel rapporto tra Celie e sua figlia, nata da fecondazione artificiale, Lila (A.J. Lister); la morte, nel secondo caso, intesa come malattia del mondo, un male da sconfiggere.
La piccola Lila muore infatti dopo aver contratto una forma grave di meningite, ed è in quel momento che vita e morte si incontrano in Birth/Rebirth, quando Rose ha in mente di usare il corpo di Lila per passare a una seconda fase di un esperimento scientifico che sta portando avanti da tempo: letteralmente, far risorgere i morti tramite l’iniezione di liquido fetale. Quando anche Celie viene a conoscenza dell’esperimento, la coscienza di madre sovrasta il buon senso e così la donna aiuterà Rose a riportare in vita sua figlia.
Una storia di vittime e carnefici: la nostra
Laura Moss atterra sul pianeta della sezione Crazies del Torino Film Festival 2023 – una raccolta di film di genere horror e fantastico proveniente da tutto il mondo – con un’opera macabra dal tema non facile da sopportare, e liberamente ispirato al Frankenstein di Mary Shelley. Per Moss, quella il corpus della scrittrice inglese è una fonte creativa inesauribile, tant’è che questa profonda ispirazione diviene il cuore pulsante di Birth/Rebirth. Lo si vede nelle scene estreme (siete avvertiti!) degli esperimenti sui corpi dei defunti e dei vivi, che mostrano stimolazioni muscolari dei tendini, operazioni varie, tra estrazione di midollo osseo e reiterati aborti spontanei.
Ma è in fondo anche attraverso un body horror tutto al femminile come Birth/Rebirth che si esalta il concetto di fondo: ridare la vita, ciò che è sacro e che è stato tolto viene ridonato, come in un videogioco o come in un sadico scambio di intese tra vittime e carnefici.
Rose, fredda e calcolatrice, è un’illusa a suo modo, e tutto deriva dal suo modo di pensare prettamente scientifico e rigorosamente schematizzato. Così opera nel suo lavoro, così pensa di sfruttare il suo stesso corpo come incubatrice per sperimenti scientifici, così cerca di giocare con la vita (e la morte) degli altri, e di sé stessa. Il suo corpo è il suo giocattolo, né esalta il valore come mero oggetto. Per lei nessuna vita vale la pena, se non al fine ultimo di dare uno scopo allo sviluppo meccanico e industriale della scienza. Celie è invece vittima, del tragico incidente che le ha strappato la figlia in meno di ventiquattr’ore, e della stessa Rose che la illude. In un momento molto fragile, si lascia abbandonare dalla macabra tentazione di poter riportare indietro il nastro e cambiare le cose.
Birth/Rebirth è una combinazione impossibile
Il dottor Frankenstein è per la maggior parte del tempo Rose, mentre Celie fa da tirapiedi. Lei – più impulsiva, incosciente, speranzosa – acconsente solo ed esclusivamente a procedere con le sperimentazioni (all’inizio almeno) per non dover affrontare la verità. Nell’economia di Birth/Rebirth, Celie diventa simbolo di uno spaccato preciso, inquadra la società liquida (chiusa in sé stessa, malfidente nella vita, inetta di fronte alla morte) nel massimo grado di espressione del contemporaneo. Le due protagoniste sono esseri umani illuminati, pongono questioni a cui è impossibile dare risposte certe. Forzano la realtà, deviano il tempo, si illudono che la vita biologica sia tutta questione di chimica.
È difficile nascere ed è soprattutto impossibile rinascere. Il corpo ha attraversato due semplici gradini: stato attivo e stato passivo, 0 e 1, il codice binario che lo separa dall’essere senziente ad ammasso di cellule animali senza vita. Ma l’essere? Lila, dov’è? Cosa ha attraversato e cosa deve aspettarsi? Dietro il bipolarismo scientifico di Birth/Rebirth si celano le questioni essenzialmente esistenziali, alla base del rigore etico, e che per Rose e Celie rappresentano semplici questioni minoritarie.
Due testimoni
Laura Moss ci mostra così l’impossibile, anzi, fa di più: ce lo fa vivere, percepire con il tatto, l’udito, e ovviamente lo sguardo. Rivivere una vita che non ci appartiene più non è possibile. È un’esperienza che da ogni punto di vista è incontentabile, perché ogni istante che viviamo è unico ed è testimone della bellezza di essere in vita.
“Il tempo è una freccia” diceva qualcuno, e un momento che non ritorna non è per forza una perdita, ma un’occasione per ricordare quelle sensazioni uniche di per sé perdute, ma di fatto concesse in quanto solo ed esclusivamente nostre. In Birth/Rebirth, Rose e Celie vogliono però la ricircolazione assidua di quei momenti, sono ancorate a un passato tombale fasullo e confondono la nostalgia con i ricordi. Due realtà diverse che ci pongono in prospettive completamente opposte, ma che spesso si uniscono in un tutt’uno indigesto e orripilante, come la creatura, risultato dell’esperimento, che Celie insiste a chiamare ancora Lila.
Come altro testimone, il cinema: come ogni istante della vita, anche la visione qualsiasi film è unica a sé stessa. C’è una prima volta in cui si piange, e quella dopo in cui si ride. Cosa succede se ripetiamo un istante di vita come ripetiamo la visione di un film? Sembra allettante? Forse a una seconda visione di Birth/Rebirth, tutti cambieremo l’idea che avevamo alla prima. E quindi: play.
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