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«Black is King», l’Africa secondo Beyoncé

5 minuti di lettura

Dopo il successo di Lemonade nel 2016 e Homecoming nel 2019, la regina del black pop Beyoncé torna con Black is King. Un video album dedicato alla blackness, l’identità nera. Il racconto è basato su Il Re Leone, al cui live action la cantante ha partecipato come voce di Nala, la leonessa amica e compagna di Simba.

Il film è uscito il 31 luglio su Disney+ in contemporanea in tutto il mondo, mentre nel continente africano sarà distribuito in chiaro sui canali nazionali, come espressamente richiesto da Beyoncé.

L’Africa di lustrini di «Black is King»

Le canzoni dell’album si snodano in un’ora e 26 minuti di immagini talmente studiate da sembrare tableau vivant, perfetti in ogni inquadratura e ritaglio di luce. I cambi d’abito di Beyoncé sono talmente tanti da far girare la testa, proponendosi come la regina madre del principino Simba e come personificazione dell’Africa. Un continente che mostra la sua complessità e la sua bellezza dietro una visione che molti critici neri hanno definito “wakandiana”, legata cioè a uno stereotipo che vede l’Africa come un’entità astratta fatta di mischioni di folklore, danze tribali e vestiti colorati.

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Nonostante traspaiano durante tutto il film le buone intenzioni dell’artista, Black is King non riesce a scollarsi l’immagine della brochure da villaggio vacanze, dove l’orgoglio nero è mostrato da due poli opposti: l’estremo legame con la terra delle tribù e la ricchezza smisurata e kitsch delle grandi città africane, dove enormi auto leopardate entrano in ville in stile coloniale immerse nel verde.

Al progetto ha partecipato l’intera famiglia Knowels – Carter, dal marito Jay-Z all’adorabile figlia Blue Ivy, vestita sempre come mini-me della madre. Ci sono anche Kelly Rowland e Tina Knowels, rispettivamente la cugina ed ex Destiny’s Child e la madre di Beyoncé. Ma gli ospiti non finiscono qui: nel film appaiono grandi figure black dello spettacolo, da Naomi Campbell a Pharrell Williams fino a Lupita Nyong’o.

Un obiettivo nobile, perso in un progetto gigantesco

Black is King arriva durante le proteste legate al movimento Black lives matter, nato per rivendicare il diritto della popolazione afroamericana a non subire discriminazioni basate sul colore della pelle, specialmente dalla polizia.

La cantante ha dedicato il film al piccolo Sir, suo figlio nato insieme alla gemella Rumi nel 2017. In quanto maschio nero, una volta cresciuto avrà 5 volte più probabilità di finire in carcere rispetto a un ragazzo bianco.

La finalità di rivalsa e riscoperta delle radici africane è un fine nobile, aiutato anche dalle collaborazioni con artisti del luogo, che portano all’interno della pellicola le sonorità tipiche del pop e della disco del continente nero, praticamente sconosciute oltre i confini dell’Africa. Purtroppo la nobiltà del progetto si scontra con una visione superficiale, fatta di coreografie per turisti, immagini idilliache e tanti, troppi cambi d’abito (criticati anche a causa dell’assenza di stilisti neri nel guardaroba della star), che rendono il film eccessivamente Beyoncentrico, per quanto Queen Be meriti tutte le attenzioni del mondo per le sue immense doti canore e l’eleganza innata.

Il viaggio di un giovane re alla scoperta di sé stesso e del suo regno, così vario e ricco di suggestioni, viene offuscato da una madre un po’ troppo presente e dal racconto vago di una terra che somiglia più al Wakanda che all’Africa.


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