Dopo dodici anni Bong Joon-ho torna a Florence Korea Film Fest, con alle spalle otto lungometraggi e quattro Oscar, per incontrare un pubblico affamato delle sue storie e con la speranza di ottenere un autografo. Le aspettative per la giornata sono alle stelle: sarà che ormai tutti conoscono Parasite, sarà che le quattro statuette d’oro che vanta non possono che attirare stampa e pubblico cinefilo, il suo fandom consolidato basterebbe da solo a fare il pienone. Indipendentemente dalle ragioni a monte, la Masterclass del 6 aprile, intitolata (non a caso) Geometrie dello sguardo, in pochissimo tempo è andata sold out suscitando l’ira di esclusi sfortunati e procrastinatori.
Il cinema La Compagnia è gremito di gente euforica, di cui buona parte segue il regista fin dagli esordi e neanche reputa Parasite un vero capolavoro; ma per molti dei presenti è stata proprio questa pellicola ad infrangere la barriera dei sottotitoli che Bong Joon-ho aveva citato in occasione dei Golden Globes, e che separa lo spettatore da tutto un mondo di ottimi film. Di qualunque fazione si tratti, sono tutti uniti dall’amore per la settima arte nella sua forma più bruciante e genuina, il che fa sorridere pensando a tre anni di sale vuote.
Quando scattano le tre la luce in sala è soffusa, ma brillano i flash delle macchine fotografiche: Bong Joon-ho fa il suo ingresso portando con sé uno zainetto, sorride, saluta, ringrazia (in italiano), si accorge che la fascia del sindaco è stropicciata e la sistema cercando di non dare nell’occhio. Poi il regista accetta il premio della regione Toscana e lo agita in aria come fosse un altro Academy Award, con gli spettatori che intanto applaudono e sorridono di fronte a tanta genuinità; dopo le foto di circostanza è il momento di dare inizio alla Masterclass. Evidentemente, il pubblico non aspettava altro.
Da Memories of Murder a Parasite: Bong Joon-ho commenta la sua filmografia
Ho visto Ladri di Biciclette quando avevo nove anni e avevo appena ricevuto la mia in regalo. Dopo poco più di un mese, quella bici mi è stata rubata.
Bong Joon-ho al Florence Korea Film Fest
Quando si pensa a Bong Joon-ho il nome Song Kang-ho viene in mente di conseguenza, essendo l’attore protagonista di ben quattro dei suoi lungometraggi e una vera e propria fonte di ispirazione: “I protagonisti di Parasite erano già stati scelti prima di terminare la sceneggiatura, quindi ovviamente ci sono state delle influenze […]. La scena del climax è stata possibile proprio grazie a Song Kang-ho, perché sapevo che sarebbe riuscito a convincere il pubblico”.
Presenza ricorrente nei film di Bong Joon-ho è anche Park Hae-il: “Ha un viso tanto bello da sembrare un cerbiatto, ma anche l’aria da psicopatico; credo che per un attore sia una benedizione possedere questa dualità”. D’altro canto è stato ciò che la convinto a ingaggiarlo per Memories of Murder (con protagonista, tra l’altro, Song Kang-ho). “Mi chiamò ubriaco fradicio chiedendomi se il colpevole fosse lui, perché saperlo lo avrebbe aiutato a migliorare la sua performance. Io gli ho risposto di recitare pensando di essere innocente in modo che il pubblico sospettasse il contrario; in quel momento di delirio ha messo giù il telefono”.
Di Bong Joon-ho Momories of Murder è il primo capolavoro, la cui struttura narrativa circolare e ripetitiva ricorda un rompicapo che porta dove non ti aspetteresti; un tratto caratteristico che il regista si attribuisce: “Credo sia un film che racconta il fallimento, un fallimento che in effetti continua a ripetersi. Ma pensandoci bene, a quel tempo era inevitabile”.
L’assassino, la cui identità nel film resta dubbia, è stato catturato solo nel 2019: “Mi sono chiesto spesso se il vero colpevole sarebbe andato al cinema a guardare il film, e questo pensiero mi intimoriva […]. Per la scena finale ho chiesto a Song Kang-ho di guardare diritto in camera per un po’, proprio con l’intenzione di creare un contatto visivo con l’assassino nel caso in cui fosse entrato in sala per davvero”.
Anche cosa si nascondesse dietro al mostro di The Host per molti spettatori è stata una rivelazione: “A quel tempo in Corea si verificavano molti incidenti, ecco perché ho inserito nel film la scena del funerale di massa. Ho voluto rappresentare l’incapacità del governo di proteggere i suoi cittadini durante una tragedia […] e il mostro racchiude in sé questa angoscia”. Sulla statua che lo riproduce posta sulla riva del fiume Han Bong Joon-ho confessa di non essere troppo coinvolto: “Il design del mostro non corrisponde a quello del film […]. Ho saputo che avevano tentato di contattarmi per un consiglio, proprio quando mi trovavo in Repubblica Ceca a girare Snowpiercer”.
Il cinema coreano tende a produrre film di genere, eppure ne esistono moltissime sfumature. Guardandone alcuni sembra quasi che il mondo giri bene così com’è.
Bong Joon-ho al Florence Korea Film Fest
Proprio Snowpiercer, seguito a ruota da Okja, ha avviato Bong Joon-ho alle co-produzioni internazionali: “La maggiore difficoltà del lavorare all’estero è stata la recitazione in inglese, ma grazie agli interpreti la situazione è stata gestita al meglio […]. Per il resto non ho riscontrato differenze sostanziali con la Corea”. Il suo prossimo progetto, Mickey 17 (la cui uscita è prevista per il 2024), sarà distribuito da Warner Bros. Pictures: “Trattandosi di fantascienza, Mickey 17 godrà di una distribuzione su larga scala. Ma comunque si vedrà che l’ho realizzato io: nel film non ci sono supereroi ma personaggi goffi, buffi, anche un po’ stupidi”.
Di Madre, proiettato al Florence Korea Film Fest in un’inedita versione in bianco e nero, Bong Joon-ho condivide più di un retroscena: “Prima di procedere con le riprese abbiamo setacciato l’intera Corea in cerca della location perfetta, tanto che sembravamo una compagnia itinerante”. Seppur indeciso sulla scelta del set, con la protagonista del film (la madre, per l’appunto) il regista voleva trasmettere un’idea ben precisa: “Si parla tanto della forza delle madri italiane, ma vi assicuro che quelle coreane non sono da meno. Credo che il bianco e nero aiuti a valorizzare questo carattere”.
Eppure sulla questione dell’efficacia la mamma stessa del regista non sembra essere molto d’accordo: “Ho guardato con lei il film dodici anni fa e da allora non ne abbiamo mai più parlato. Forse dopo averlo visto saprete dirmi perché”.
Dopo un’ora o poco più è il momento di parlare di Parasite, a partire dalla caratterizzazione dei suoi personaggi: “Parasite è una tragedia dal risvolto comico […]. Quelli appartenenti al ceto più ricco si atteggiano a persone forti ma da lontano fanno un po’ ridere, e il riderci sopra è un privilegio riservato soltanto al pubblico. Per quanto riguarda i più poveri, loro non hanno nulla da perdere il che li porta a reagire in un modo che ha del ridicolo”.
Riguardo le accuse rivolte a Parasite di fomentare una sorta di lotta di classe, Bong Joon-ho chiarisce di non averlo realizzato con quell’intento: “Preferisco focalizzarmi sulle storie individuali, anzi più piccole sono meglio è […]; non sono partito dall’idea di creare un film sociale o politico, ma in certi casi non si può evitare di parlare della situazione più in grande. Credo che questo sia alla base del successo di Parasite: per quanto la storia possa essere piccola, nessuno può fare a meno di sentirsi parte di una classe sociale”.
Geometrie dello sguardo: il linguaggio cinematografico di Bong Joon-ho
Avevo il Blu-ray di Parasite tra le mani e ho deciso di guardarlo in italiano: era molto simile. L’Italia è piena di doppiatori di talento
Bong Joon-ho al Florence Korea Film Fest
Elemento caratteristico della regia di Bong Joon-ho è la strutturazione del set, predisposta a veicolare specifici messaggi: “Mi diverte pensare a come organizzare gli spazi: con Parasite desideravo sfruttare al meglio la verticalità, motivo per cui il set (costruito da noi dalla A alla Z) è pieno zeppo di scale“. Questa scrupolosità è fra i motivi per cui il regista fa molto uso delle storyboard: “Da piccolo sognavo di disegnare cartoni animati, oggi invece realizzo le storyboard da solo […]. Eppure so che non tutti i registi ne fanno uso: Steven Spielberg ad esempio non le utilizza affatto, ma senza io non mi sento affatto sicuro”.
Al pubblico sorge spontaneo domandarsi da dove nasca la sua ispirazione: “A volte da immagini altre volte dalle parole”, risponde Bong Joon-ho con decisione. “Okja è nato dall’immagine di un maialino alto due piani che girovagava per le strade […], mentre per Parasite il punto di partenza è stato la parola ‘infiltrazione'”. E sulla difficoltà dell’essere sceneggiatore il regista ironizza un po’: “Dietro casa mia c’è una piccola montagna: a volte immagino di camminare là attorno e imbattermi in una cassa di legno, aprirla e trovarci dentro sette sceneggiature già pronte”.
Finora Bong Joon-ho ha realizzato otto sceneggiature, che hanno richiesto più stesure e altrettanti fasi di revisione: “La maggior parte delle mie idee prende forma nella terza stesura. Nella prima cerco di dare il meglio ma non la mostro ad anima viva, con la seconda inizio ad aggiungere i dettagli”. Si tratta di un processo creativo laborioso che conduce a non poche modifiche e digressioni, e di cui un esempio è proprio la sceneggiatura di Parasite: “L’idea di inserire la terza famiglia mi è venuta a tre mesi dall’inizio delle riprese, un anno prima quell’elemento non esisteva […]. Se poteste vedere i miei script, notereste un sacco di note e tratti a zig zag”.
Mi piace associare elementi che stonano, per questo per una scena violenta ho scelto di usare Gianni Morandi.
Bong Joon-ho al Florence Korea Film Fest
Quando si chiede a Bong Joon-ho quale sia la sua filosofia del cinema lui risponde che una vera filosofia non ce l’ha, che si limita a lavorare ogni giorno della sua vita. A sentir lui sembra che abbia dimenticato quanto è speciale, ma per fortuna gli applausi del pubblico riescono a farlo rinsavire in un battibaleno: il 6 aprile, quegli applausi, si sono sentiti anche fuori dal cinema.
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