Presentato alla Festa del Cinema di Roma lo scorso 22 Ottobre, Bros è disponibile nelle sale italiane dal 3 Novembre. La pellicola, diretta e co-sceneggiata da Nicholas Stoller insieme al protagonista Billy Eichner – sferzante comico statunitense apertamente omosessuale – non è soltanto la prima commedia romantica incentrata su due uomini gay che sia mai stata realizzata da una grande casa di produzione hollywoodiana – la Universal in questo caso – ma vanta anche un cast principale esclusivamente LGBTQ+.
Giocando con gli stilemi del genere, Bros riesce nell’arduo compito di abbracciare i cliché, narrativi e tematici, e al tempo stesso stigmatizzarli, unendo a una comicità pungente e satirica una storia d’amore universale, in cui tutti, o quasi, possiamo identificarci.
Bros: una storia straordinariamente ordinaria
Bobby è uno scrittore e giornalista radiofonico, rappresentante attivo e orgoglioso della comunità LGBTQ+, con un ruolo di primo piano nelle creazione del primo museo nazionale che ne ripercorra la storia. Si definisce “emotivamente inaccessibile”, professa di non avere alcun interesse per l’amore e di preferire gli inusuali e talvolta decisamente deludenti incontri che le app di dating gli propinano. Qualcosa però cambia radicalmente quando incontra Aaron, un avvocato dal fisico scultoreo che sembra vivere la propria sessualità con meno entusiasmo, quasi nascondendola dietro un aspetto da maschio Alfa e una virilità straripante.
Un binomio atipico – quello tra i due protagonisti – che darà il La ad una storia d’amore straordinariamente ordinaria, ed è proprio qui che risiede la potenza narrativa di Bros, un film che parla a tutti, indistintamente, molto più interessante per ciò che rappresenta, piuttosto che per ciò che è.
Sì, perché se ci fermiamo a un primo livello di lettura, Bros è poco più di un classico film da sabato sera, che ricalca pedissequamente gli usuali cliché della commedia romantica.
L’incredibile abilità di Nicholas Stoller e Billy Eichner sta però proprio nel riuscire a distruggere gli stigmi sociali nei confronti dell’omosessualità e al tempo stesso servirsene ampiamente, con autoironia e autocritica, mettendo in risalto i pregi, i difetti e le contraddizioni della comunità LGBTQ+, ma anche l’universalità dei problemi all’interno di una relazione – come la difficoltà nel tracciarne i confini – il perbenismo di facciata, l’ostentazione del consenso e l’esaltazione dell’omosessualità come maschera per il disagio che tuttora crea – in questo senso il fatto che una decina di persone abbiano lasciato la sala alla prima scena di sesso è autoesplicativo. Insomma, una storia universale, certo, ma bisogna volerla ascoltare.
Every man wants to be a macho man
L’aspetto però su cui Bros sembra volerci far riflettere più di ogni altro sembra proprio la mascolinità e l’incapacità degli uomini – in questo caso in particolare nella comunità gay – di essere vulnerabili e sentirsi a proprio agio con se stessi. “Every man wants to be a macho man” cantavano i Village People, e Stoller ed Eichner cercano proprio di sottolineare questo.
Lo fanno con ironia, facendo approcciare i due uomini con frequenti “Hi, what’s up?” rigorosamente dichiarati con voce baritonale e pacche sulle spalle, oppure con un coming out di Aaron che dichiara di aver sempre voluto aprire un negozio di cioccolatini, ma di non averlo mai fatto perché “troppo gay”, preferendo invece un lavoro che detesta e qualche puntura di testosterone, per scolpire quel corpo che rinvigorisce la mascolinità lesa dalla sua omosessualità.
Quello del mito del macho man, però, è anche un pretesto per trattare, più generalmente, il tema dell’abbandono di se stessi per compiacere gli altri, il vestirsi di quella maschera pirandelliana, simbolo della spersonalizzazione dell’io in favore di un’appartenenza fittizia al loro. I due protagonisti lo fanno continuamente, tanto che Aaron non solo rinuncia a essere se stesso in nome di un’inutile vergogna e di una ricerca ossessiva di approvazione, ma finisce anche per chiedere a Bobby di fare lo stesso, per salvare le apparenze con una famiglia invadente che – a proposito di perbenismo – non è così aperta come potrebbe sembrare.
Quello che è certo, è che Bros porti avanti con fermezza la propria tesi: mai rinunciare a se stessi, mai nascondere ciò che siamo, perché anche se ci hanno insegnato che siamo tutti uguali, la verità sta proprio al polo opposto. Siamo tutti diversi, ed è bellissimo così.
Metacinema a servizio della comunità
C’è tanto cinema all’interno di Bros, ma soprattutto c’è tanta critica nei confronti del cinema a tema LGBTQ+ che siamo stati abituati a vedere fino ad oggi. La prima stoccata arriva immediatamente. Bobby parla con un produttore che vorrebbe fargli scrivere una commedia incentrata su una coppia gay, ma in grado, al tempo stesso, di intercettare gli interessi del pubblico eterosessuale – che già di per sé è un pensiero frutto di una società deviata – e dimostrare quanto l’amore e il sesso siano uguali per tutti.
Un’ironia sottile, insomma, atta a dimostrare l’incompiutezza di gran parte del cinema LGBTQ+, perché rivolto a un pubblico esclusivamente eterosessuale, che possa riversarvi i propri pregiudizi. Una satira tagliente, che continua con una contestazione al fatto che il cinema mainstream racconti irrimediabilmente storie gay dal finale tragico o assegni ruoli omosessuali ad attori etero.
“Perché gli attori gay non possono mai recitare in versione etero, mentre gli attori etero possono recitare in ruoli gay vincendo gli Oscar?”, si chiede Bobby uscendo dalla visione dell’ennesimo film che ricalca quei canoni, e che una coppia di anziani signori paragona a Chiamami col tuo nome o Dallas Buyers Club, quasi come se, in quanto film a tematica omosessuale, possa essere paragonato soltanto al resto del cinema LGBTQ+.
In fin dei conti però, la critica di Stoller ed Eichner è molto più universale, e si può riassumere con queste parole di Bobby:
“Non abbiamo mai avuto nessuna storia d’amore gay ad insegnarci come amare”.
Chissà che finalmente Bros non sia una di quelle. La prima di tante, magari.
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