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Bussano alla porta

Bussano alla porta, aprire o non aprire?

8 minuti di lettura

Nel Carretto fantasma di Victor Sjöström la morte assume, come nessuno era mai riuscito prima di allora, l’aspetto più reale e inquietante. La leggenda svedese che ispirò il maestro scandinavo fu trasposta nella maniera più semplice, ma per questo più geniale, che (allora) si potesse fare. Un carretto trainato da un cavallo sfila in una marcia lugubre durante la notte di San Silvestro, alla ricerca delle anime perdute.

Da quel momento in poi il cinema è cambiato, e si può dire che ormai oggi lo spettatore sia più che abituato ai guai che bussano alla porta dei protagonisti. Lo stravolgimento della vita pacifica dei personaggi arriva sempre da un ospite inaspettato, a volte misterioso, altre volte però da anime più innocue, riflessi degli stessi personaggi.

Bussano alla porta, il nuovo film a firma M. Night Shyamalan, dal 2 febbraio in sala, prodotto da Blinding Edge Pictures e FilmNation entertainment per Universal e tratto dal romanzo La casa alla fine del mondo del 2018 di Paul G. Tremblay, riscava nelle stesse fondamenta solcate dal Carretto fantasma portando alla luce l’inaspettato e il più altruistico gesto dell’umanità: accompagnare la morte, attraversarla per raggiungere la vita. Non ridere in faccia alla morte, come fa il Gatto nel Gatto con gli stivali 2, ma guardarla dritto negli occhi.

Bussano alla porta: narrazione che vince non si cambia

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Bussano alla porta è per questo la storia più classica del mondo, ma con il solito pizzico Shyamalaniano. Una coppia omosessuale (Eric è Jonathan Groff, Andrew è Ben Aldridge) e la loro figlia adottiva (Kristen Cui) decidono di passare le proprie vacanze in una casa in un bosco, quando vengono disturbati da quattro figure dall’aspetto innocuo e variegato: l’ansiosa Adriane (Abby Quinn), il violento Redmond (Rupert Grint), la premurosa Sabrina (Nikki Amuka-Bird) e il risoluto Leonard (Dave Bautista). Insieme bussano alla porta della loro casa di villeggiatura: cosa vogliono? Perché si sono spinti fino a qui con quegli inquietanti arnesi che assomigliano molto ad armi fatte in casa? Come mai insistono per entrare?

A grandi linee il film segue una trama apparentemente semplice, ma è proprio sfruttando la sua comfort zone che Shyamalan scrive una storia che vive del suo contesto.

Sarà la sceneggiatura cristallina, con pochi ma precisi dialoghi – per la maggior parte proferiti dal Bautista meno violento che si sia visto al cinema –, sarà la regia ingegnosa, puramente estetica, a ricordarci l’immancabile cinefilia del regista americano. O sarà semplicemente il palpitare inquieto di un conto alla rovescia, scandito dal ticchettio di un orologio assente (notare come il tempo nel film sia fondamentale, ma la sua presenza è segnata senza rimarcare la propria invadenza), e da un virtuoso montaggio unito alle intuizioni musicali geniali di Herdís Stefánsdóttir. Saranno insomma tutte queste cose che in Bussano alla porta si mischiano con intelligenza: tra classicismo e innovazione, tra personaggi archetipici del ventunesimo secolo e regia sperimentale.

L’importanza di dire

bussano alla porta dave bautista jonathan groff

E così espedienti tipici del thriller, come i telefoni che non prendono e che impediscono alle vittime di chiamare aiuto, si uniscono a elementi contemporanei, come la velocità dell’informazione e della notizia live, in diretta. Bussano alla porta è un thriller classico, in sé racchiude anche molta mitologia ed esistenzialismo religioso alla Bergman, ma allo stesso tempo ritrae la nostra contemporaneità come pochissimi eletti riescono a fare.

E non è tanto salvare il mondo, o se vale la pena farlo. Autentica piaga d’Egitto oggigiorno è invece scegliere sulle questioni quotidiane, non quelle vitali. Il quesito che assilla la coppia di sposini in Bussano alla porta è scegliere di vivere, di non cedere alla sopravvivenza solo perché si ha paura di perdere un proprio angolo di mondo. Dire per non perdersi nei no delle proprie convinzioni.

Nell’impensabile e improvvisa vicenda che colpisce i coniugi Eric e Andrew, la scelta più complicata può sembrare quella chiara e sintetica che viene posta dai quattro sconosciuti, ma è in realtà negli interrogativi quotidiani che il dramma viene consumato. Andrew non si fida di nessuno, nemmeno del proprio compagno quando gli “ospiti” sono riusciti a irrompere in casa: “d’ora in poi parlate con me, non con noi”. È un’egoista, malfidente e scontroso, non per sua natura ma per necessità. Porta con sé i drammi del nostro mondo, li incarna materializzandoli in ogni situazione, gli è difficile credere che il pianeta terra sia un luogo sicuro.

Dalla Casa alla fine del mondo a Bussano alla porta

bussano alla porta

Per questo Shyamalan trasforma La casa alla fine del mondo in un più innocuo Bussano alla porta. La visita di sconosciuti è il trampolino verso altri problemi, angosce, ferite che mai si richiuderanno. Il nostro è un mondo fatto di persone, attimi di vita condivisi e ricondivisi all’infinito, notizie fugaci che cambiano alla velocità della luce: ma pure alla fine del mondo c’è qualcuno in grado di destabilizzare l’esistenza, far ritrovare il senno all’umanità.

L’ultimo film del maestro americano M. Night Shyamalan ci racconta di come non basta essere felici e riscaldati dal proprio focolare per vivere una vita piena, non è sempre il raziocinio a proteggerci da là fuori, e, parabola sempreverde, non si risolve l’odio con altro odio: La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformato in cinici, l’avidità ci ha resi duri e cattivi, pensiamo troppo e sentiamo poco.

Spalancarsi allo sconosciuto, far entrare l’imprevisto, abbracciarlo e non schivarlo. I protagonisti, in quanto testimoni della società mondiale, devono affrontare la sfida più grande del secolo. Quale? La nostra, è ovvio. Quando? Toc toc. Un momento, Bussano alla porta. Meglio andare a vedere chi è.


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Studente alla Statale di Milano ma cresciuto e formato a Lecco. Il suo luogo preferito è il Monte Resegone anche se non ci è mai andato. Ama i luoghi freddi e odia quelli caldi, ama però le persone calde e odia quelle fredde. Ripete almeno due volte al giorno "questo *inserire film* è la morte del cinema". Studia comunicazione ma in fondo sa che era meglio ingegneria.

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