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Candyman, 30 anni di terrore dietro lo specchio

9 minuti di lettura

A opera del regista Bernard Rose nel 1992 usciva nelle sale di tutto il mondo Candyman – Terrore dietro lo specchio, primo iconico capitolo di una saga basata su un racconto del geniale Clive Barker. Nonostante il numero di film sia esiguo – quattro in totale, di cui l’ultimo realizzato recentemente, nel 2021 – il minaccioso protagonista rientra di diritto nella lista dei grandi e mitici boogeymen della storia del cinema horror. Nulla da invidiare quindi a Freddy Krueger, Jason Voorhees o Michael Myers.

Come nasce Candyman, il racconto di Clive Barker

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Clive Barker è conosciuto ai più per essere il regista di Hellraiser, che avrebbe dato vita a una serie cinematografica la cui ultima new entry è del 2022; è, dunque, il visionario che ha creato i cenobiti, figure grottesche e minacciose provenienti direttamente dall’inferno (e già questa sua mitica creazione basterebbe a farlo entrare nell’olimpo del cinema horror). A conti fatti, l’artista inglese ha diretto solo tre pellicole (le altre sono Cabal e Il Signore delle Illusioni), ma va sottolineata l’importanza del suo lavoro “dietro le quinte”: lo si ritrova infatti anche in veste di produttore e sceneggiatore, senza contare l’impegno sul fronte editoriale con fumetti, graphic novel, romanzi e racconti in cui le sue idee trovano la massima compiutezza.

All’origine della figura di Candyman c’è The Forbidden, racconto pubblicato nella raccolta Books of Blood del 1984-1985. In questo scritto si narra di una leggenda metropolitana secondo la quale, nominando allo specchio per cinque volte il nome Candyman, egli compaia per uccidere, spinto dalla sete di vendetta.

La versione cinematografica: Bernard Rose

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Nonostante sia l’autore del racconto che il regista siano di nazionalità inglese, Bernard Rose decide di cambiare l’ambientazione della storia. Se in The Forbidden le vicende avvengono nelle zone più povere di Liverpool, dove purtroppo la segregazione delle classi più povere e i pregiudizi erano all’ordine del giorno, in Candyman ci troviamo a Chicago (negli Stati Uniti). Il regista è infatti rimasto colpito dall’architettura alienante della città, nello specifico dopo aver scoperto Cabrini-Green, una serie di appartamenti rinomati per la scarsa cura costruttiva, la ghettizzazione delle persone nere e i frequenti episodi di violenza e rapine. La narrazione del film, di conseguenza, assume una prospettiva sociale e vuole denunciare i pregiudizi razziali.

Il protagonista è un uomo nero che, prima di diventare leggenda, è stato assassinato per via di una relazione con una donna giovane, benestante e soprattutto bianca, cosa che il padre bigotto di lei non vedeva di buon occhio. I produttori sono dubbiosi, temono che renderlo un villain possa essere considerato razzista, ma il regista elegantemente risponde che semmai razzista sarebbe proprio precludersi a priori questa possibilità.

La prima scelta per l’attore protagonista sarebbe Eddie Murphy, ma il budget non permette di percorrere questa strada e allora si decide per Tony Todd. Con il senno di poi la decisione non poteva essere migliore di questa: l’attore ha una mole minacciosa, è prestante dal punto di vista fisico e la sua voce mette letteralmente i brividi (ragion per cui si consiglia la visione in lingua originale).

Helen Lyle, la protagonista femminile, è interpretata magistralmente da Virginia Madsen, una sorta di Dana Scully che studia antropologia e si avventura all’interno del Cabrini-Green per raccogliere documentazione per la tesi di laurea sulle leggende metropolitane. La sua curiosità e scetticismo verso il soprannaturale la portano a pronunciare, quasi per scherzo, il nome di Candyman per cinque volte allo specchio, scatenando l’ira del boogeyman.

Un horror di spessore

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Oltre all’aspetto sociale che permea tutto Candyman, dando molta importanza alla città e alle diverse etnie che la abitano, viene dato molto spazio all’analisi psicologica dei personaggi e alla descrizione dei loro rapporti. Non si tratta quindi, di un horror di puro intrattenimento e non è assolutamente per ragazzi. Sul tema delle leggende metropolitane potrebbe venire in mente l’associazione con Urban Legend (1998), ma i due film hanno in realtà davvero poco in comune: quello di Bernard Rose è ottimo sia dal punto di vista formale che contenutistico, l’altro è vuoto e offre solo un macabro divertimento.

Il finale è meraviglioso, classicamente segnato dalla forza distruttrice/purificatrice del fuoco: le figure di Helen e di Candyman si affrontano e lei ne esce vincitrice. Nonostante questo, come spesso accade con i migliori epiloghi, gli ultimi minuti sono enigmatici e si prestano a varie interpretazioni. Viene data importanza alla comunità e al ruolo dei racconti, delle leggende tramandate oralmente.

Visioni e suoni

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Dal punto di vista visivo, Candyman è un film con una sua peculiare poetica, incentrata su toni cupi e dominata dalle ambientazioni polverose e buie del Cabrini-Green. È molto affascinante il contrasto cromatico tra il il setting urbano e i colori forti dei murales, elemento non solo estetico e formale ma anche strettamente legato al contenuto. Helen, ad esempio, accede a un locale attraverso un’apertura che si rivela essere la bocca di Candyman e quello stesso murales cambia nel finale, divenendo il suo volto.

Gli effetti speciali sono incredibili, ma oltre alle parti strettamente gore sorprendono soprattutto le sequenze con le api, che grazie a particolari protesi applicate alla bocca di Tony Todd escono davvero dalle sue fauci per minacciare la povera Virginia Madsen, per le cui inquadrature sono stati utilizzati insetti anestetizzati a causa della sua allergia.

La colonna sonora di Candyman

La vera ciliegina sulla torta dal punto di vista formale è sicuramente la colonna sonora. Philip Glass scrive una musica particolarissima, straniante e che poco si sposa con le immagini del film. Sembra non seguire il montaggio e le vicende, ma ha un tale fascino ipnotico da risultare irresistibile e rimane nella testa e nel cuore dello spettatore anche a visione conclusa. La partitura è incentrata principalmente su una nenia ossessiva e quasi infantile per quanto riguarda il tema principale, mentre gli altri brani si sviluppano soprattutto intorno a organi e cori, timbri tipici più di un film gotico o di natura religiosa. Il genio, a volte, sta propio nel sapere osare e uscire dagli schemi.

Rivisto oggi, a distanza di 30 anni, Candyman è invecchiato benissimo, sembra non aver risentito del passare del tempo. Questo perché è un’opera ricca di contenuti e non solo di spaventi effimeri. Chi vi si approccia per la prima volta potrebbe aspettarsi uno slasher incentrato sulla figura di un personaggio minaccioso e grottesco, sulla scia di altri prima di lui, ma Candyman non è solo questo. Vedere per credere.


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Sono un musicista e compositore, attivo soprattutto come batterista nel mondo rock/metal/progressive dai primi anni 2000 e ho avuto il piacere di suonare a livello internazionale con band come Power Quest, Arthemis, Hypnotheticall, Watershape. Sono un grande appassionato di cinema e dal 2014 compongo musica per film. Amo tutto il cinema, ma soprattutto le proposte più visionarie e surreali e da sempre sono legato al mondo del cinema horror. I miei registi preferiti sono David Lynch, Alejandro Jodorowsky, David Cronenberg. Sono laureato in architettura.

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