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C’era una volta in America, un invito alla visione dell’ultimo grande Sergio Leone

5 minuti di lettura

“La realtà non si forma che nella memoria”. Così diceva Proust, e così direbbe, ne siamo certi, Noodles (Robert De Niro), il protagonista di C’era una volta in America (1984). L’ultima opera di Sergio Leone, la più mastodontica, la più complessa, la più affascinante. Film che chiude la trilogia del tempo, dopo C’era una volta il west e Giù la testa, è un’amara riflessione sulla genesi e l’evoluzione di un paese che rappresenta non solo sé stesso ma anche l’orizzonte significativo del mondo intero.

Perché e come approcciare C’era una volta in America? Vale la pena semplificare l’analisi introducendo all’opera con due significativi nodi tematici, dopo la breve sinossi.

C’era una volta in America in breve

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Il quartiere ebraico della New York anni ’20 è teatro delle azioni di una piccola banda di ragazzini teppisti. A capo della comitiva Max (James Wood) e Noodles (Robert de Niro) che guidano i compagni attraverso i crimini più usuali, dagli scippi ai ricatti ai negozianti.

I ragazzi crescono, il proibizionismo diventa dogma statale e ciò permette il proliferare di attività criminose assai redditizie. Ma quando il potere cresce a dismisura due teste che pensano sono troppe: si arriva facilmente allo scontro tra Max e Noodles. Quest’ultimo fugge, non sapendo bene la situazione che lascia. Quando torna, trent’anni dopo, la situazione sarà per lui un’autentica sorpresa. Attraverso gli anni, anche l’amore puerile di Noodles per Deborah (Elizabeth McGovern) passerà momenti alterni.

Tempo e memoria

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L’opera non procede per ordine cronologico, bensì mischia i piani secondo un ordine temporale non definito. Non si tratta di una scelta casuale. Il film è prettamente proustiano, facendo così propria la lezione del romanziere francese nel rapporto tra tempo e racconto. 

La storia di C’era una volta in America è realmente accaduta o è frutto del sogno oppiaceo del protagonista? L’ambiguità ha esercitato fascino sugli spettatori, creando così due possibili interpretazioni. La vita mancata come unica vita veramente autentica, perché ogni uomo è la sua mancanza. Oppure una vita vissuta ma autentica e realizzata unicamente nella memoria.

Tempo, racconto e musica: se è vero che la musica è la concrezione del tempo nella mente umana, Leone e Morricone riescono a realizzare questa identità attraverso un uso miracoloso delle note musicali, che determinano i reali limiti temporali della storia. Una musica malinconica, così com’è ogni ricordo passato. Come ogni vita vissuta.

La filogenesi americana in C’era una volta in America

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Ma C’era una volta in America rientra nel gangster movie che tanta fortuna ha fatto alla Hollywood classica e alla new Hollywood. Indaga infatti la gestione ancestrale e pre-legislativa dei rapporti umani nelle zone di confine, nei quartieri di periferia, che però si dimostrano essere la culla della nuova fiorente società americana.

Così come le prime colonie americane formatesi dalle comitive puritane in fuga dall’Inghilterra, i personaggi del Bronx (Luogo dove si ambienta il film) rappresentano i fondatori mitici della nuova potenza americana. Questo comporta un sottaciuto (ma evidente nella parabola di Max) legame tra il crimine e il controllo politico-economico.

L’ascesa della gang e dei suoi protagonisti è possibile da un rifiuto della legge proibizionistica. Si nutrono di questi divieti per accrescere la loro potenza e poter poi determinare loro stessi la legge. C’era una volta in America offre una riflessione amara sulla nascita della nazione più potente del ventesimo secolo.


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Amo le storie. Che siano una partita di calcio, un romanzo, un film o la biografia di qualcuno. Mi piace seguire il lento dispiegarsi di una trama, che sia imprevedibile; le memorie di una vita, o di un giorno. Preferisco il passato al presente, il bianco e nero al colore, ma non disdegno il Technicolor. Bulimico di generi cinematografici, purché pongano domande e dubbi nello spettatore.

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