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«Chernobyl», il sottile legame tra storia e realismo

6 minuti di lettura

Il 6 maggio del 2019, il mondo intero è stato scosso. Non per l’annuncio di un importante politico. E non parliamo, tanto meno, di una calamità naturale, di un attentato terroristico o di qualche altro vitale avvenimento. Un’ipotetica ricerca risulterebbe del tutto vana, sennonché quel giorno è stata trasmessa la prima puntata della serie tv Chernobyl.

Creata e scritta da Craig Mazin e diretta da Johan Renck, Chernobyl è una miniserie statunitense e britannica, strutturata in sole cinque puntate. Il terremoto mediatico è stato tale, che Chernobyl ha creato un forte sconquasso tra il pubblico e la critica. Entrambi, infatti, sono rimasti letteralmente sconvolti dalla visione della serie.

Chernobyl ha saputo incarnare il perfetto connubio di opera che sa coinvolgere e sconvolgere. L’intera stagione, puntata dopo puntata, si regge nel tentativo di ricercare (o ricreare) la verità che giace alle spalle del celebre disastro nucleare avvenuto sul finire degli anni ’80 del XX secolo: Chernobyl, appunto.

«Chernobyl», la trama

Chernobyl

26 aprile 1988. La trama di Chernobyl inizia da un vero e proprio “proemio”, presente nei primi minuti. Il professor Valerij Legasov (Jared Harris), ubicato nella propria dimora, si appresta a registrare qualcosa, mediante l’uso di un comune mangianastri. Termitato, nasconderà le relative cassette.

Non ci mettiamo molto a capire che ciò che il professore ha voluto riportare è la verità che si cela dietro la tragedia. Quindi, torniamo indietro nel tempo, precisamente al 26 aprile 1986, alle ore 1:23, quando un’ingente esplosione sveglia l’intera cittadina di Pripyat. Nessuno è ancora consapevole, ma una quantità esagerata di radiazioni è stata già rilasciata nell’aria.

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Il Cremlino, passato poco tempo, viene avvisato. Michail Gorbacev (David Dencik) è prontamente aggiornato dall’alto comando politico. Si cerca di minimizzare la situazione, facendo intuire che tutto è sotto controllo. Ma il segretario generale dell’URSS decide di inviare un’ambasceria a Prypiat, con l’intento di capire le reali situazioni e attendere istruzioni.

Così Legasov e Boris Shcherbina (Stellan Skarsgard) vengono inviati a supervisionare la commissione governativa istituita dal Cremlino. Saranno loro i principali protagonisti, i quali diventeranno non solo i testimoni del disastro, ma anche i portavoci di un evento che poteva benissimo essere evitato.

«Chernobyl»: l’importanza della Storia

Chernobyl

La storia viene sempre a saldare i suoi debiti. E i conti, il più delle volte, sono sempre salati. È un mantra, quasi, che assume le valenze di una chimera all’interno della nostra realtà, la quale, senza troppe vergogne, si può liberamente asservire sotto il vessillo della postmodernità.

I tempi in cui viviamo fanno presupporre che, errato o giusto che sia, questa definizione, seppure condita da ovvietà, diviene una specie di dono, all’interno di un cestino delle offerte, mediante la quale una generazione eredita senza che se ne sia resa conto.

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Sicché, la Storia, quella con la “s” maiuscola, quella priva di nomi, cognomi, avvenimenti e tanto altro, bussa alla nostra porta; e per quanto impreparati e inesperti possiamo apparire, Essa reclamerà quanto gli è dovuto. Un conto che, seppur salato, deve opportunamente riscuotere.

L’essenza del realismo

Chernobyl

Chernobyl, simbolicamente parlando, rappresenta un ago in mezzo a due piatti di una medesima bilancia: da un lato abbiamo l’Unione Sovietica, la quale nel 1986 dovette fare i conti con le sue contraddizioni interne (già in atto a partire dagli anni ’80) che l’hanno condotta ad ammainare, per sempre, la famigerata Bandiera Rossa.

Dall’altro lato, invece, abbiamo l’uomo, anche egli frutto delle sue contraddizioni, sempre più evidenti, sempre più accentuate. Se l’Unione Sovietica ha da tempo ormai pagato il debito per il disastro, tocca all’umanità intera portare ancora il fardello di quella zavorra.

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Chernobyl, nella sua limpida, perfetta, minuziosa esposizione dei fatti, ha saputo donare un prodotto storico che si presta a narrare una vicenda sia nelle sue cause e sia nelle sue conseguenze. Spinge, anche allo spettatore che digiuna di storia, a riflettere su un’amara realtà.

E per quanto ci si ostini a nascondere, a mascherare, a infagare, la verità, che piaccia o no, esplode come il famoso Reattore numero 4. La Storia, allora, diviene come l’immagine presente ne L’Arcobaleno della Gravità di Thomas Pynchon: la morte che si affaccia dalla finestra e attende.

Conclusioni

Chernobyl è un’ottima serie che merita di essere vista. Offre uno spaccato riflessivo davvero unico. Oltre agli avvenimenti narrati, i personaggi sono davvero esistiti, tranne per Ulana Khomyuk (Emily Watson) unica protagonista inventato, il cui ruolo è davvero essenziale: è grazie a lei, infatti, che possiamo conoscere gli esiti tragici delle radiazioni.

Al mantra citato sopra, si dovrebbe aggiungerne un altro, che proviene proprio dalla serie: «qual è il prezzo delle bugie?». L’umanità post-Chernobyl ancora lo deve sapere.


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Classe ’93, vivo a Taranto, città che un tempo era l’angolo di mondo che più allietava il poeta latino Orazio. Laureato in lettere, trovo nella letteratura un grande appagamento dagli affanni quotidiani. La mia vita è libri, scrittura, film e serie TV. Sogno di fare della cultura il mio pane quotidiano.

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