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Frame di Chinatown Roman Polanski copertina

Chinatown compie cinquant’anni

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7 minuti di lettura

Chinatown usciva nelle sale statunitensi il 20 giugno di cinquant’anni fa, nel 1974. Diretto da Roman Polanski, il film è annoverato tra i capolavori del regista polacco e considerato una pietra miliare del genere noir, nonché del cinema americano tutto.

Ambientato nella Los Angeles degli anni Trenta, il film mescola elementi di mistero e noir per riflettere sul potere, sulla corruzione, ma anche sull’immaginario noir classico e su nuove forme del genere. Al momento della sua uscita, Chinatown non solo ha ottenuto un grande successo di critica, ma anche preziosi riconoscimenti, ricevendo undici nomination agli Academy Awards e vincendo l’Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale, scritta da Robert Town.

Frame di Chinatown con Jack Nicholson Gettis Ponte

La storia del film si intreccia con la realtà storica della Los Angeles di quel periodo, in particolare con lo scandalo delle risorse idriche noto come Water Wars. Questo contesto storico fornisce una base autentica alla narrazione, permettendo a Polanski di esplorare le sfumature della corruzione morale americana attraverso una lente noir, in bilico tra la rievocazione classicheggiante dei vari private eye hardboiled, come Philippe Marlowe e Sam Spade, e una tensione tutta contemporanea con il genere, imbevuto di fatalismo e ironia macabra nei confronti della realtà politica statunitense, di cui la frase finale si fa portatrice: “Forget it, Jake. It’s Chinatown”.

N.B. Nel 2019, si era parlato di una Serie TV prequel di Chinatown per Netflix; le trattative si erano concluse e il produttore esecutivo sarebbe dovuto essere David Fincher, ma non si hanno notizie recenti degli sviluppi della Serie (ndr).

Il racconto di Chinatown

Frame di Chinatown con Jack Nicholson Gettis Tribunale

La storia di Chinatown segue le vicende di J.J. Gittes (Jack Nicholson), un investigatore privato specializzato in casi di infedeltà coniugale. Gittes viene ingaggiato da Evelyn Mulwray (Faye Dunaway) per indagare sul marito, Hollis Mulwray, ingegnere capo del Dipartimento delle Acque e dell’Energia di Los Angeles. Tuttavia, le indagini di Gittes lo conducono in un labirinto di corruzione e intrighi, svelando una rete di complotti che coinvolge potenti figure della città, prendendo a piene mani dall’immaginario noir classico su cui il film s’innesta, basti pensare a Il grande caldo (The Big Heat, Fritz Lang, 1953).

Durante la sua indagine, Gittes scopre che Hollis Mulwray sta indagando su un piano per deviare l’acqua pubblica verso terreni privati, un complotto orchestrato da Noah Cross (John Huston), un magnate senza scrupoli e padre di Evelyn. La situazione si complica ulteriormente quando Gittes scopre che Evelyn nasconde segreti personali che hanno profonde implicazioni emotive e legali. Questi segreti, uniti alla scoperta della corruzione dilagante, spingono Gittes a confrontarsi con i suoi demoni del passato e la sua stessa impotenza di fronte all’ingiustizia.

Rapporti col noir classico

Frame di Chinatown con Jack Nicholson Gettis Mare

Polanski dispiega un inventario di elementi noir classici ben codificati. C’è il detective privato, Gittes, forgiato nello stile, morale e caratterizzazione della letteratura hardboiled di Chandler e Hammet e sulla loro trasposizione cinematografica, dal lontano Humphrey Bogart di Il Mistero del Falco (The Maltese Falcon, John Huston, 1941). Non a caso, è proprio il regista americano di quest’ultimo film, Jonn Huston, il padre simbolico del noir, che interpreta il villain. C’è poi la femme fatale, un potere stringente, un intreccio confuso e labirintico, il senso d’impotenza, la violenza fisica sull’eroe, la corruzione e tanti altri dettagli che riportano uno spettro di elementi tipicamente noir.

Il rapporto che Chinatown intrattiene con il passato passa anche attraverso figure del testo che veicolano il senso di spaesamento della narrazione, in particolari alterazioni dello sguardo, prismi che moltiplicano o distorcono lo sguardo, o segni di una corruzione morale che contagia anche l’intreccio, come gli orologi rotti, segno di un tempo sgangherato e soggettivo, come lo era quello nel finale di Vertigine (Laura, Otto Preminger, 1944).

Come nota Renato Venturelli, persino i titoli di testa rievocano lo stile di una Hollywood che non c’è più, ma che rimane un lontano e persistente fondale. Tuttavia l’operazione di Polanski, erroneamente incalzata dalle traiettorie di ripresa nostalgica del periodo, non si attesta su un mero terreno di gioco malinconico di citazionismi e nostalgia, bensì promuove deviazioni, suggestioni nuove, in sinergia con elementi tipicamente polanskiani: la cruda rappresentazione della realtà e della violenza, come il naso langhianamente sfigurato di Gettis.

Ruolo del paesaggio in Chinatown

Frame di Chinatown con Jack Nicholson e Faye Dunaway

Chinatown è girato in cinemascope, una scelta che permette di catturare l’ampiezza dei paesaggi urbani e rurali di Los Angeles, contribuendo a creare un senso di vastità e isolamento che attornia la figura di Gettis, quindi se da un lato anche qui l’ambiente diventa il segno interiore e minaccioso del mondo corrotto che circonda il protagonista, dall’altro ci si allontana da quella cupa e claustrofobica realtà urbana degli anni Quaranta.

Infine la condizione transitoria di sconfitta dell’eroe, che qui nel finale diventa permanente. L’eroe battutto, messo alle strette, non incontra alcuna catartica risoluzione finale, bensì solo la rassegnazione impietosa verso l’ineluttabile. È un malinconico sguardo verso un immaginario al tramonto, o quantomeno destinato a mutare, come rifletteva, su un tessuto più ironico, anche Il lungo addio (The Long Goodbye, Robert Altman) dell’anno precedente.


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Classe 1998, nato a La Spezia. Laureato in Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione a Pisa e attualmente studente di Cinema, Televisione e Produzione Multimediale a Bologna. Sono appassionato di cinema sin da piccolo e scrivere mi aiuta a fare chiarezza su ció che guardo (quasi sempre).

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