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Close, il grande film di Lukas Dhont sulla perdita dell’innocenza

7 minuti di lettura

Dopo il sorprendente Girl, Lukas Dhont torna dietro la macchina da presa con Close, in uscita dal 4 gennaio nelle sale italiane. Presentato a Cannes, dove ha vinto il Grand Prix Speciale della giuria, e già inserito nella shortlist degli oscar per il miglior film straniero, Close ha come protagonisti gli esordienti Eden Dambrine e Gustave De Waele. A completare il cast, Émilie Dequenne, Léa Drucker, Kevin Janssens e Léon Bataille.

Lukas Dhont racconta la purezza della gioventù

Lèo (Eden Dambrine) e Rèmi (Gustave De Waele) hanno dodici anni e sono amici per la pelle. Corrono nei campi, si immedesimano in divertenti giochi di ruolo, non riescono davvero a vivere separati. Il loro rapporto strettissimo, si direbbe fraterno, non è ostacolato dalle rispettive famiglie. Anzi, i due ragazzini sono così innocenti, felici e spensierati insieme che sarebbe quasi crudele separarli. Purtroppo, qualcosa comincia a cambiare con l’inizio delle scuole superiori. Circondati da molti coetanei e da un nuovo modo di essere visti, Lèo e Rèmi sono costretti loro malgrado ad allontanarsi, dando il là a una inesorabile catena di eventi che porterà alla tragedia più inaspettata.

Non è impresa da poco raccontare la purezza della gioventù. Lo fece in modo mirabile Francois Truffaut ne I 400 colpi, quando il suo sguardo si concentrò sulla fuga inquieta e disperata del giovanissimo Antoine Doinel. Lì c’era il forte desiderio di evadere, la voglia smisurata di realizzare sogni apparentemente impossibili, la dolcezza di contrastare la banalità del reale.

Dhont non nasconde una certa filiazione col maestro francese; spalanca il cuore la scena che, citando la corsa liberatoria di Doinel verso il mare, vede Lèo e altri ragazzi sprintare con gioia verso la riva di una spiaggia. Anche in Close c’è la leggerezza di un’età che vuole ignorare l’orizzonte minaccioso delle costruzioni sociali; una scelta coraggiosa, su cui però il regista belga edifica ottimamente la struttura del suo film.

La danza dei sentimenti

Close Lukas Dhont NPC Magazine
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Close potrebbe essere etichettato in vari modi: un drama teen a tutto tondo, un racconto queer indispensabile, un doloroso film di formazione. A prescindere da queste inevitabili etichette, il secondo film del giovane talento belga deve essere considerato come una sorta di delicata esperienza sensoriale. Certo, la trama risulta solida e ottimamente sostenuta dalla sceneggiatura di Angelo Tijssens e dello stesso Dhont; il racconto dell’amicizia tra Lèo e Rèmi è credibile in qualsiasi momento, soprattutto nella parte centrale del film, quando i due ragazzini si allontanano.

Eppure, a deliziare in Close è qualcos’altro, una girandola di emozioni che, smuovendo efficacemente il cuore dello spettatore, permettono una spontanea immedesimazione nei personaggi.

Quello che provano i due protagonisti sono stati d’animo improvvisi e totalizzanti, spesso capaci di disorientare per la loro intensità. Nonostante ciò, Dhont è stato abilissimo a restituire con incredibile grazia un rapporto tanto idilliaco quanto complesso; come in Girl, anche in Close il regista belga riesce a mettere in scena una danza dei sentimenti. Appunto, una girandola di emozioni fortissime che travolgono lo spettatore ad ogni fotogramma, e che gli ricordano che la fanciullezza termina nel momento esatto in cui si inizia a definire razionalmente le cose. Perché ciò che caratterizza Lèo e Rèmi non è un amore precoce, ma l’indefinibile necessità di voler essere sempre se stessi, a discapito di tutto.

Close è un film rivelatore

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I meriti di Close non finiscono qui. È doveroso menzionare le fantastiche interpretazioni di Eden Dambrine e Gustave De Waele, bravissimi a calarsi in due ruoli estremamente difficili. Per nulla trascurabile la prova di Émilie Dequenne; la quale dà corpo e voce a una madre che, pur essendo molto dolce e amorevole, nulla può contro le debolezze nascoste di un figlio oltremodo sensibile.

Indovinata la fotografia di Frank van den Eeden, che, insistendo sulle tonalità calde – soprattutto sulle varie gradazioni del rosso -, riesce a restituire il calore rassicurante e nostalgico dell’infanzia. Ma le atmosfere ora idilliache ora tragiche non sarebbero state le stesse senza la colonna sonora di Valentin Hadjadj, vero e proprio valore aggiunto di un film potente e dalla grazia rara.

In definitiva, Close è un film imperdibile sulla perdita dell’innocenza e sull’amicizia. Soprattutto, conferma la bravura dietro la macchina da presa di un regista con le idee chiare, in grado di coinvolgere con storie molto intime e attuali. Non è da tutti raccontare lucidamente, e senza mai essere banali, un’età che nasconde insidie che spesso gli adulti non riescono a immaginare, o che tendono il più delle volte a sottovalutare. Il panorama cinematografico attuale ha bisogno di film che affrontino con intelligenza le paure più temute dai giovani di ogni tempo; l’angoscia di non essere accettati, la sofferenza per una solitudine che può essere evitata con il naturale esercizio dell’empatia. Close, sotto questo punto di vista, non solo racconta. Rivela.


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Napoletano, classe 1996, laureato in Filologia moderna e con un master in Drammaturgia e Cinematografia. Perennemente alla ricerca di sonno, cibo e stabilità psicofisica, vivrebbe felice anche nel più scoraggiante dei film di Von Trier, ma si accontenta della vita reale insegnando nelle scuole ad amare le belle storie. Nulla gli illumina gli occhi più del buio di una sala.

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