Il cinema è fisico. O almeno, lo è stato per buona parte della sua vita, prima in pellicola, poi su nastro e dvd. Un film si è sempre potuto tenere in mano – fino ad una ventina di anni fa – dando quindi sfogo a vivaci dibattiti fra gli esperti del settore circa la vera natura del medium stesso: eteree idee incarnate da un corpo meccanico o concreto oggetto la cui composizione – pellicola tagliata, colorata o rovinata – crea un’esperienza unica e irripetibile?
Coeur Fidèle, capolavoro del teorico e regista francese Jean Epstein, oggi 23 novembre 2023, compie cent’anni e dimostra come questo intero dibattito perda di validità già dagli albori del cinema neonato. Il film, di difficile categorizzazione, è precursore e ispiratore di alcuni dei movimenti artistici più importanti del primo Novecento: partendo con l‘impressionismo cinematografico di Abel Gance (si segnala il capolavoro del 1927 Napoleon, da confrontarsi col recentissimo bio-pic di Ridley Scott), fino al realismo poetico di Jean Vigo e Marcel Carné, maestri che a loro volta influiranno sulla successiva storia del cinema dal neorealismo italiano al cinema rivoluzionario iraniano. Ma per capire la vera natura di Coeur Fidèle conviene andare con ordine, iniziando col suo autore.
Coeur Fidèle e la fotogenia di Epstein
Jean Epstein, prima ancora di essere ricordato in quanto regista, andrebbe studiato come critico e teorico del cinema. Insieme a Loius Delluc e a un cospicuo manipolo di intellettuali francesi è uno dei padri fondatori della teoria del cinema, a cui si deve in particolare il concetto di fotogenia: riassunta nelle sue basilari componenti, l’idea che ogni immagine vista attraverso l’obiettivo di una macchina da presa sia intrinsecamente più bella del suo corrispettivo reale. Per fare un esempio pratico, è il motivo per cui il figlio del colonnello Fitts di American Beauty rimane estasiato guardando la ripresa di una busta di plastica portata via dal vento.
In Coeur Fidèle è possibile rinvenire la specifica definizione di fotogenia coniata da Epstein, leggermente diversa da quella di Delluc: il compito del cinema è quello di cogliere il continuo mutare delle cose, l’intrinseca bellezza del cambiamento e del movimento. Tradotto sia in strutture narrative snelle che in tecniche di montaggio e ripresa per l’epoca avveniristiche, il movimento a cui allude Epstein si concretizza sulla pellicola attraverso il continuo sciabordare dell’acqua, fil rouge del film e suo silenzioso protagonista.
La storia è appunto molto scarna: una sguattera innamorata di un onesto scaricatore di porto viene costretta dalla famiglia a sposare un criminalucolo che la reclama per sé. Nonostante passino gli anni, ella non riesce a dimenticare l’unico uomo a cui il suo cuore sia fedele. Il rapido susseguirsi degli eventi e l’apparente semplicità narrativa, non sono che sfondo di una invece lampante complessità stilistica: in Coeur Fidèle, il montaggio forsennato di scene dal contenuto bucolico ne sottolinea la stonatura emotiva, il dolore di una donna costretta a “divertirsi” con un compagno che odia, mentre la manipolazione di immagini tramite sovrapposizioni e dissolvenze di vario tipo rinforza la malinconia dei passaggi narrativi più introspettivi per i due amanti protagonisti.
Il cinema elementale di Jean Epstein
E proprio su queste transizioni è opportuno riflettere per capire come Coeur Fidèle riesca tutt’ora a trascendere in lirismo e potenza visiva buona parte del cinema contemporaneo: l’accostamento, continuo, insistente proprio come il frangersi di onde sul bagnasciuga, di volti e acqua, di tratti somatici e ombre oceaniche è il movimento cinematografico come inteso da Jean Epstein in una delle sue più alte forme; l’imperscrutabilità statuaria degli attori e l’insondabile moto dei liquidi, legame rimarcato anche da valori tematici e simbolici (il mare e le lacrime per i protagonisti / il vino e il sangue per l’antagonista), sono un mistero filmico impossibile da spiegare a parole, esattamente come l’altro grande capolavoro di Epstein.
La Caduta di Casa Usher (1928) è indubbiamente una delle esperienze più viscerali che la storia del cinema abbia da offrire: ben lontano sia dal materiale originale di Edgar Allan Poe, che dalla stilizzazione estrema della recente serie Netflix, il film gioca col soprannaturale come conditio sine qua non del cinema stesso. Quello che in Coeur Fidèle era fruscio liquido, qui diventa silenzioso vento, refoli eterei che spostano immense tende di tessuto finissimo, quasi trasparente, come spettri irrequieti: transizioni e trucchi di montaggio continuano a creare un’atmosfera irripetibile e indescrivibile, ogni inquadratura ammantata di effluvi brumosi.
Purtroppo trovare le parole giuste con cui trasmettere l’efficacia di questi film non è semplice come invece è evidenziarne la rilevanza storica: in certi rarissimi casi, quando il cinema è elementale – ovvero quando fa appello a forze superiori, che i nostri sensi possono solo subire e provare ad intuire senza pienamente comprendere – si può solo raccomandare di viverlo in prima persona, lasciandosi trasportare dal suo potere indefinibile. Per nostra fortuna, entrambi i film sono reperibili su YouTube, alla portata di tutti.
Due film da vedere in coppia, l’uno estensione dell’altro, che riassumono la filosofia di un pensatore -artista e che soprattutto continuano a emozionare come facevano letteralmente cento anni fa: Jean Epstein dimostrò già allora che il cinema migliore, quello sinceramente poetico, non poteva che essere fisico ma al contempo inafferrabile: Coeur Fidèle sfugge dalle mani come acqua e La Caduta di Casa Usher come nebbia.
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