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Comedians

Comedians di Gabriele Salvatores: luci e ombre della comicità in veste teatrale

Il cinema sorriso che invita a tornare a teatro

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9 minuti di lettura

Gabriele Salvatores è tornato ed è sempre un’accoglienza piacevole. Questa volta, a due anni di distanza da Tutto Il Mio Folle Amore (2019), il regista napoletano indaga la comicità con Comedians. Come protagonisti sei aspiranti comici, divisi tra la stanza di una scuola serale e il palco dove si giocano un contratto con Bernando Celli, l’intramontabile Christian De Sica. Dal 10 giugno, la pellicola, prodotta da Indiana, è disponibile sul grande schermo. E non c’è niente di meglio che assaporare nell’oscurità avvolgente e sonora della sala un’opera pensata in origine per il teatro. Il nuovo film di Salvatores nasce infatti dalla trasposizione dell’omonima piéce di Trevor Griffiths, ma attinge in parte a un film personale del 1988, Kamikazen – Una Notte a Milano, con protagonista Claudio Bisio.

E ora più che mai, dove una risata è salvifica, l’indagine metatestuale di Salvatores trova viva espressione. I suoi protagonisti sono i sei personaggi in cerca d’autore di pirandelliana memoria, che prima di comprendere come intrattenere lo spettatore, devono capire che tipo di comici vogliono essere. Tuttavia, la componente personale è il pretesto per una riflessione contemporanea, che divide l’artista squattrinato dal mercenario asservito alla logica dello spettacolo. Se è così, però, qual è la terra di mezzo tra la performance artistica fine a sé stessa da un servizio avido di risata? Per raccontarcelo salgono sul palco i mestieranti, nella vita o solo sullo schermo, di quel patinato e ingannevole mondo della risata.

Comedians: sei personaggi in cerca di sé stessi

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Così ecco signore e signori i comici del domani. Ognuno di loro incarna uno stereotipo più o meno vezzeggiato. C’è il meridionale Michele Cacace (Vincenzo Zampa); l’ebreo Samuele Verona (Marco Bonadei); l’operaio sindacalista Gio Di Meo (Walter Leonardi); i fratelli Marri (Ale & Franz), inseparabili sul palco, ma avversi nella vita privata; infine il giovane commediante anarchico, Giulio Zappa, interpretato dal camaleontico Giulio Pranno, talentuoso pupillo degli ultimi due film di Salvatores. Tutti loro vivono e convivono con una personalità artistica irrisolta e cercano una risposta nel loro insegnante Eddie Barni (Natalino Balasso) che invita i comici a esplorare la propria identità e a sfruttare le paure personali.

Peccato che a decidere chi firmerà un prestigioso contratto, tradotto in soldoni, è un critico dalla mentalità opposta a Barni. E non è un caso che a interpretarlo ci sia De Sica, maestro del cinepanettone e di quella comicità che cattura da sempre, perché affinata sulla sua naturale verve interpretativa. Questo appare poco prima dell’inizio dello spettacolo, con un cameo brillante. Ma la pellicola inizia 58 minuti prima del fatidico show e scandisce sull’orologio ogni minuto di preparazione al grande evento. Fuori dalla finestra, la pioggia impazza e tuona, come a raccogliere nella piccola stanzetta scolastica del corso serale, l’unità di spazio e tempo che serve al teatro. E la cadenza teatrale emerge, eccome, in tutta la sua poetica e ipnotica malinconia.

Gabriele Salvatores e il suo timbro eterno

Maestro della narrazione corale, Salvatores richiama quello sguardo raffinatamente comico, ma amaro di Happy Family (2010). Così, tra luci e ombre di una serata di ordinaria follia, ognuno si confronta con i propri demoni in uno spazio limitato. Ed è proprio la realtà costrittiva che li spinge a cercare libertà ed evasione. Un tema molto caro a Salvatores e protagonista dei suoi brillanti film della fuga, tra cui l’intramontabile Mediterraneo (1991). Ma in questo caso l’unico modo per scappare è attraverso la performance, che paradossalmente si concretizza in quel confronto con il proprio io da cui si fugge. Il tutto si inserisce in una narrazione sofisticata e sottile, che rallenta in alcuni momenti per poi incalzare nuovamente il ritmo.

Come un allarme, una sveglia che stacca lo spettatore dal coinvolgimento immersivo, si inserisce il cartello con l’indicazione del tempo che passa. Uno stacco improvviso, in cui la scena si freeza, si scolora in bianco e nero e appare in sovraimpressione la scritta gialla di fattezza tarantiniana con quei 58, 49, 32…minuti prima del debutto. Un’ansia palpabile, seppur velata, che smuove l’osservatore, anche quel minimo per portarlo a riflettere sul blocco narrativo appena osservato. Perché tra una battuta e un’imitazione, il film si focalizza su una scrittura ricca e rapace, avvolgente, ma impegnativa, che richiede attenzione e voglia di conoscere, anche il lato oscuro di una risata. E, nonostante la riflessione finale risulti aperta, incapace di darsi una vera risposta su quale sia il senso ultimo della comicità, Salvatores propone un altro gioiellino che riflette il suo pensiero.

I due volti della comicità

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L’uomo è l’unico animale che ride. Perché anche il più sottile ghigno di una iena o la risata apparentemente goliarda dello scimpanzé indica una reazione di estrema paura o difesa. Ecco allora che l’uomo ha guadagnato il dono più magico per poter prendere in giro la vita. Però chissà come mai, la risata scatta sempre quando sono gli altri ad essere oggetto di ludibrio. Quando sul banco ci sono i propri problemi personali, tutti si nascondono nell’ombra e lasciano che sia il dramma, l’altro volto della maschera teatrale che indossiamo, a proporsi allo spettatore. Cos’è dunque la comicità?

Da un lato c’è la battuta facile, l’appagamento momentaneo di un pubblico che si accontenta della parolaccia o dello stereotipo. La comicità commerciale, quella che fa guadagnare e non si perde in un labirintico scandaglio interiore. E sì, quella stuzzica l’appetito più famelico, ma non sazia la fame, perché la risata deve essere lo strumento, non l’obiettivo. Dall’altro lato c’è quindi il lato oscuro del palcoscenico, quello ancora coperto dal sipario, dove la risata si nasconde. Così un bravo comico deve conoscere la geometria della battuta, ma deve anche sapere improvvisare, sfruttare le debolezze del suo ascoltatore per trarne vantaggio, esporre alla luce del sole le proprie fragilità. Questo lato ci racconta Comedians.

Se la mimica facciale ci insegna che esistono almeno diciannove tipi di sorriso, la psicologia lascia affiorare un’infinita varietà di espedienti che possono indurre la risata. Tuttavia rimarrà per sempre un terreno tanto ricco quanto sfaccettato d’indagine. Per questo un’opera metanarrativa e incasellata come quella di Salvatores è un spunto, condotto da una regia esperta per offrire uno sguardo inedito rispetto all’offerta presente in sala. A fine film, avrete voglia di tornare a teatro e di farvi qualche domanda su cosa significhi la comicità oggi.


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Classe 1996, laureata in Comunicazione e con un Master in Arti del Racconto.
Tra la passione per le serie tv e l'idolatria per Tarantino, mi lascio ispirare dalle storie.
Sogno di poterle scrivere o editare, ma nel frattempo rimango con i piedi a terra, sui miei immancabili tacchi.

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