Clint Eastwood rinuncerà mai a comparire sul grande schermo? Per adesso sembra proprio di no, anzi. Alla veneranda età di 91 anni, il texano dagli occhi di ghiaccio torna in sella per un road movie ambientato tra Texas e Messico. Cry Macho, diretto e interpretato da Clint Eastwood, approda in sala il 2 dicembre 2021, dopo la proiezione in anteprima al Torino Film Festival.
Il film, un western malinconico e riflessivo, è stato capace di generare soltanto un timido applauso del pubblico a fine spettacolo. D’altronde, anche le opinioni della critica non sembrano entusiaste. Un’accoglienza piuttosto tiepida se consideriamo che il protagonista è una leggenda vivente e che il comparto tecnico non pare aver nulla da invidiare ad altre pellicole. Ma allora, sono tutti impazziti o qualcosa non va in Cry Macho?
Cos’è che non funziona in Cry Macho
Cry Macho è un canto del cigno con alcuni pregi e un grande, sostanziale, difetto. Fingiamo per un attimo di sorvolare sulla sceneggiatura insoddisfacente, che promette molto e offre davvero poco. Tratta dall’omonimo romanzo di N. Richard Nash, è noto il fatto che la storia cercasse casa dagli anni ’80 e che i pochi tentativi di portarla sullo schermo abbiano incontrato ogni volta il fallimento.
Lo script definitivo, curato da Nick Schenk (Gran Torino, The Mule), è un po’ traballante, ruota intorno a tematiche forti come il rapporto padre-figlio e l’abuso su minore, ma non fa niente per trattarle adeguatamente.
Tuttavia, le perplessità più forti sono suscitate dalla perfomance dello stesso Clint Eastwood, che per niente al mondo avrebbe desistito dall’interpretare Mike Milo, l’ennesimo cowboy burbero dal cuore d’oro. Il personaggio di Mike ricalca lo stereotipo del texano silenzioso e solitario, ma è un cowboy sul viale del tramonto, che si è lasciato alle spalle una vita di vittorie al rodeo e trascorre la vecchiaia ad annegare nell’alcol il dispiacere per la morte di moglie e figlio.
La scelta di Clint Eastwood nel ruolo di Mike è tanto ovvia quanto sbagliata. Sebbene l’attore abbia una carriera tale (una sequela di western) da renderlo il candidato ideale per un film di questo tipo, il risultato non è un romantico addio al West che consacra un mito. Si rischia piuttosto di ridicolizzare un’icona come Eastwood, che evidentemente ha peccato di egocentrismo pensando che uno spettatore potesse ritenerlo credibile nel personaggio. Mike, infatti, è incaricato dal suo ex capo (Dwight Yoakam) di recuperare il figlio 13enne in Messico, dove vive con la madre che lo maltratta.
Immaginate chiedere ad un 91enne (che i suoi anni li dimostra tutti e non gliene possiamo fare una colpa) di compiere un viaggio fino in mezzo al deserto messicano per strappare alla propria madre (una donna ricca e circondata da bodyguard armati) un bambino che vive per strada e partecipa a combattimenti tra galli!
Come se non bastasse, in Cry Macho Eastwood non rinuncia al suo antico fascino: Mike Milo seduce con uno sguardo non una, ma ben due giovani donne (una è Marta, dolce e bella messicana altamente stereotipata con la quale il nostro cowboy deciderà di trascorrere la vecchiaia). Siamo al limite del ridicolo quando Eastwood stende un malintenzionato con un pugno e salva la situazione. L’unico motivo per cui ci beviamo questa storia è l’affetto per il mito, per tutto ciò che Eastwood impersona.
Non tutto Cry Macho è da buttare, ma una buona parte sì
A salvare Cry Macho sono la fotografia di Ben Davis (Tre Manifesti a Ebbing, Missouri, Dumbo, varie collaborazioni con la Marvel) e la colonna sonora di Mark Mancina (con qualche contributo dello stesso Clint Eastwood), che ben si sposa con le scenografie colossali classiche del western, ma si adegua anche a momenti più commoventi.
Inoltre, bisogna ammettere che Eastwood fa un ottimo lavoro con Rafo, il bambino al centro della vicenda, interpretato da Eduardo Minett, che è un po’ impostato nella recitazione ma sviluppa una buona chimica con Mike.
Troppo imponenti però i difetti di scrittura di Cry Macho: inspiegabili scelte fatte dai personaggi, uno spiegone in apertura che fa quasi passare la voglia di andare oltre, tante altre piccolezze che diventano pesanti se si cominciano a contare (la mancanza di qualsiasi riferimento ai problemi d’alcolismo al di là della menzione verbale a inizio film; Mike che doma un cavallo selvaggio imbizzarrito, nonostante venga detto che si è addirittura spezzato la schiena anni prima, cadendo da cavallo…).
Cry Macho abbraccia temi cari a Eastwood, come il rimorso, la nostalgia per un passato glorioso e pieno d’amore, lo scorrere del tempo e l’avanzare della vecchiaia, ma li affronta con superficialità. Persino la presunta critica al machismo (riassunta da Mike con la laconica frase “questa del macho è una storia sopravvalutata”) è resa in maniera semplicistica e non è inglobata nella struttura della narrazione (non sarà un macho, ma Mike continua a far conquiste e sconfiggere tutti!). Se ci si approccia alla visione senza troppe aspettative, Cry Macho è ancora godibile, nonostante i limiti evidenti. Come ha scritto qualcuno, il personaggio più riuscito è un gallo e questo non è un bene.
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