Uscito lo scorso 19 agosto nei cinema francesi e poi approdato su Netflix il 9 settembre, Cuties (Minigonnes) è il primo lungometraggio di Maïmouna Doucouré, regista e sceneggiatrice franco-senegalese già nota per aver trionfato qualche anno fa al Sundance Film Festival e ai César Awards col corto Maman(s). Anche stavolta la Doucouré non è rimasta a mani vuote, ottenendo il World Cinema Dramatic Directing Award al Sundance e il favore della critica.
Tuttavia, l’entusiasmo iniziale è stato presto smorzato da una polemica che non accenna a finire e che anzi, diventa ogni giorno più forte.
Le «Cuties» a passo di danza
Il film segue le vicende di Amy (Fathia Youssuf), una ragazzina undicenne originaria del Senegal che vive con la madre a Parigi. Un giorno scopre che suo padre, poligamo, ha trovato una seconda moglie, con cui arriverà in Francia. Questo evento, unito all’oppressione dell’ambiente fortemente religioso in cui vive, porta Amy ad avvicinarsi alle “cuties”, un gruppo costituito da quattro sue coetanee con la passione per un tipo di danza adulto e lontano dai costumi e i valori della sua famiglia.
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La voglia di popolarità e l’influenza dei social spingono le ragazzine a indossare abiti sempre più scollati e a proporre, per una gara di ballo alla quale hanno intenzione di partecipare, una coreografia estremamente allusiva.
La controversia
I problemi sono cominciati quando Netflix ha pubblicato, qualche settimana fa, un poster promozionale del film giustamente ritenuto inappropriato in quanto sessualizzava le piccole protagoniste. Non sono però bastate le scuse e il cambio della locandina per placare l’ira del popolo di internet: su change.org conta ormai oltre 750.000 firme la petizione che chiede che Cuties venga rimosso dal catalogo della nota piattaforma di streaming. La situazione si è complicata ulteriormente quando, a seguito del rilascio del film, l’opinione pubblica si è spaccata in due.
Da una parte, chi la difende affermando il suo carattere critico nei confronti di una società in cui l’ipersessualizzazione delle bambine è imperante, dall’altra chi la denigra per il modo in cui vengono rappresentate le protagoniste.
Chi ha ragione?
Se è vero che spesso le polemiche che ruotano attorno ai film sopra le righe sono sterili, stavolta non è così. Il senso di inadeguatezza e di disagio che si prova guardando Cuties non deriva dal tema trattato bensì dal fatto che, nonostante il film punti a denunciare l’ipersessualizzazione delle bambine, se ne avvalga a sua volta.
«Stiamo sposando tutti la stessa battaglia» ha affermato Maïmouna Doucouré negli scorsi giorni in risposta alle critiche, e non c’è dubbio sulla bontà delle sue intenzioni. Tuttavia, la sua regia non si fa scrupoli nell’indugiare sui corpi e soprattutto sulle forme delle protagoniste, rendendo così vana ogni possibile giustificazione. L’impressione è che sia lei che chi la sta difendendo siano più concentrati sull’idea e sul proposito dell’opera che sulla sua esecuzione. Se è importante parlare di problematiche del genere, è anche vero che ci sono modi decisamente più consoni per farlo.
Un esempio su tutti è quello di Mysterious Skin di Gregg Araki, che parla di due adolescenti che in passato hanno subito violenza sessuale dal loro allenatore di baseball. Nel film, la pedofilia viene trattata senza il ricorso a inquadrature esplicite (e sessualizzanti), riuscendo comunque a far rabbrividire lo spettatore.
Proprio in questo Cuties ha fallito e la cosa è grave anche e soprattutto perché, a differenza di Mysterious Skin, si propone come un film di denuncia. A volte, calcando troppo la mano si sbaglia e lo testimonia il fatto che l’effetto ottenuto è stato opposto a quello desiderato.
A dirla tutta, nel film la famosa denuncia non è nemmeno così presente: alla fine ci si sente più semplici testimoni dei fatti raccontati che spinti a prendersela con qualcuno o qualcosa.
Al peggio non c’è fine: la questione delle audizioni
Come se non bastasse, recentemente si è aggiunto alla lista dei problemi legati a Cuties anche quello delle audizioni, avvenute online. Secondo una fonte legata alla produzione, le bambine avrebbero inviato tramite mail dei video di presentazione in cui “mostravano i loro talenti”.
Maïmouna Doucouré e Tania Arana (casting director) avrebbero visto questi video e deciso chi chiamare in base a quanto seducente fosse il modo in cui ballava. Lo step successivo sarebbe poi stato uno screentest in cui le bambine scelte sarebbero state filmate mentre twerkavano. Oltre alla discutibilità di una simile modalità decisionale, è anche bene sottolineare che per quanto siano ottime le interpretazioni delle attrici selezionate, delle ragazzine della loro età non possono avere piena consapevolezza riguardo l’essere riprese in quella maniera.
In conclusione: «Cuties» va ritirato dal catalogo Netflix?
Sì. Auspicando che in futuro certe questioni vengano trattate in maniera più adeguata. Stavolta non è stato affatto centrato il bersaglio ed è giusto che lo si evidenzi anche in maniera dura e che si protesti – i 9 miliardi persi in borsa da Netflix in un solo giorno parlano chiaro – perché spesso Cuties è davvero inaccettabile. Ed è ora che anche Maïmouna Doucouré ne prenda coscienza.
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