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Daaaaaali!

Venezia 80 – Daaaaaali! ci porta sul pianeta di Salvador Dalì

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6 minuti di lettura

Ha proprio ragione Giulio Sangiorgio quando, su Film Tv n°35/2023, afferma in merito a Daaaaaali! che Quentin Dupieux “a furia di produrre paradossi surreali non può che tornare a Dalì”. Quell’ossessione irremovibile a cui il regista francese, a Venezia80, nella sezione Fuori Concorso, ha deciso di dedicare l’intero soggetto del suo dodicesimo lungometraggio.

La storia di Daaaaaali!

Daaaaaali! quentin dupieux venezia80

Una giornalista (Anaïs Demoustier) deve intervistare Salvador Dalì, ma una serie di vicissitudini glielo impediranno. Da non cascare nella trappola di credere, leggendo la ridottissima sinossi, che si tratti di una storia semplice. Dupieux, infatti, come al solito divampa, e la sceneggiatura (neanche la più assurda se si vedono le precedenti) si sviluppa attraverso un montaggio frammentario che ha (ovviamente) dell’inaspettato. La storia, parcellizzata e suddivisa in tante parti, si riempie, distingue Dalì in una moltitudine di sfaccettature caratteriali.

Penso che l’opera più grande di Dalì sia la personalità di Dalì stesso” sentenzia l’artista.

C’era d’aspettarsi quindi la messinscena surreale composta da set onirici, personaggi macchiette e ben quattro attori a interpretare quattro diversi Salvador Dalì (tra cui Édouard Baer, Jonathan Cohen). Lo dichiara la camminata infinita nella scena iniziale, e anche il titolo stesso: non Dalì!, bensì Daaaaaali!. Un nome, un programma qui dilatato in una forma nuova, dopo che la cultura pop di Netflix and co. lo ha trasformato in una maschera dello status symbol.

Ceci n’est pas un film

Dupieux gira quindi un film al limite dell’assurdo e del ridicolo; entrando nella testa del suo paziente, analizza come uno psicoanalista i lati più estroversi e allo stesso tempo più reconditi non di un uomo, ma della persona-artista Dalì. Un non film, non un biopic, né tantomeno una presa di posizione critica.

Daaaaaali! è un tributo, come afferma lo stesso Quentin Dupieux, a Dalì. Un film con lui, e non su di lui. Ecco spiegato perché c’è più di un attore a interpretarlo: una scelta atta a smitizzare l’aura attrattiva da blockbuster che andrebbe a generarsi inevitabilmente se a recitare ci fosse un singolo attore. In questo modo Dalì è imprendibile e assoluto, è tutti o nessuno.

Daaaaaali! è un loop infinito

E questo, d’altro canto, non può funzionare se non ci fosse una vera e propria bolla d’isolamento che circonda il film. Proprio per questo Daaaaaali! inizia attraverso la riproduzione di Necrophiliac Fountain, che Dupieux inserisce per dare il contesto e per decretare l’ingresso in un mondo parallelo, un pianeta altro in cui la figura di Dalì straborda ovunque, impervia anche quando non è in campo. Un mostro dell’inconscio, che lui stesso “sfida” attraverso il suo sguardo.

Daaaaaali! è, insomma, un film estremamente soggettivo che, vivendo di tanti frammenti dell’Io del suo protagonista, scoppia in un delirio esplosivo atto dopo atto. Il film è infatti, volendo semplificare all’estremo, una matrioska in cui non si riesce a trovare l’ultima statuina custodita al suo interno. O meglio, seguendo le parole del regista, “è un loop infinito” in cui lo spettatore è invitato a perdersi e a vivere un’esperienza cinematografica in cui “l’arte è al centro”. Non una scatola vuota e inconcludente, ma un inno all’arte tutta come centro culturale, intellettuale e soprattutto sociale.

Tra mondo dell’arte e mondo primario

Daaaaaalì

Daaaaaali! allora non fa che riportare in auge un’artista che negli anni ha sempre più perso carisma tra il pubblico, per il quale è diventato solo uno tra i tanti (vedi Daliland), e ne sancisce un’immortalità che è metafora dell’universo artistico intero. E Dupieux se ne nutre. Non è un caso se tra le altre fonti d’ispirazioni c’è il cinema di Luis Buñuel e le irriverenti commedie dei Monty Phytons.

Daaaaaali! vive in un mondo suo, dove utopicamente l’arte è il combustibile che mette in moto la macchina della società. Attraverso il surrealismo il cinema sopravvive, in una bolla certo, ma rimane pur sempre in vita; circonda il cosmo, è in stretto collegamento con il (nostro) mondo primario. Dupieux conosce la natura profonda del mezzo cinematografico, che esprime attraverso la lente di Dalì (il quale tra l’altro provò più volte a fare film) a dimostrazione di un’invenzione eternamente legata a noi. Fino ad allora, non ci fermerete mai.


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Studente alla Statale di Milano ma cresciuto e formato a Lecco. Il suo luogo preferito è il Monte Resegone anche se non ci è mai andato. Ama i luoghi freddi e odia quelli caldi, ama però le persone calde e odia quelle fredde. Ripete almeno due volte al giorno "questo *inserire film* è la morte del cinema". Studia comunicazione ma in fondo sa che era meglio ingegneria.

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