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Dal videoclip al cinema: storia di un’influenza ambigua

14 minuti di lettura

È il 2002 quando il curioso The Rules of Attraction (Le regole dell’attrazione) arriva nelle sale cinematografiche. Nelle intenzioni dell’autore, quel Roger Avary che i più conosceranno in qualità di co-sceneggiatore di Pulp Fiction, il film vorrebbe essere un «art film for teenagers». Parole, queste ultime, che oggi risuonano nella loro affascinante, seppur discutibile, forza programmatica: quale trovata più astuta, volendo confezionare un «film d’autore per adolescenti», se non quella di mettere in scena uno sguardo vagamente introspettivo sul mal di vivere adolescenziale tramite la metabolizzazione di temi e stilemi affermatisi nel contesto dell’industria audiovisiva musicale degli anni Novanta? Prima di tuffarci nell’ambiguità spazio-temporale che tiene insieme i videoclip di fine anni Novanta/inizio Duemila e il film di Avary, proviamo a concederci un breve momento di linearità temporale. Torniamo, dunque, all'”inizio”.

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MTV Aesthetic, breve storia del videoclip

La Storia del videoclip è tortuosa e complessa. Dai corti musicali Vitaphone degli ultimi anni Venti al celebre Fantasia disneyano del 1940, dal jukebox audiovisivo francese Scopitone degli anni Cinquanta alla commedia musicale di Richard Lester del 1964 A Hard Day’s Night (Tutti per uno) – protagonisti, ovviamente, The Beatles – non sarà certo questo articolo a ripercorrere le vicende che intrecciano musica popular e audiovisivo. Su due momenti cruciali di questa Storia, tuttavia, sarà opportuno soffermarci brevemente.

Agosto 1981: negli Stati Uniti d’America, MTV dà inizio alle sue trasmissioni. Si tratta di una vera e propria rivoluzione: il videoclip ha ora uno spazio televisivo della durata di ventiquattro ore al giorno, sette giorni a settimana.

Dicembre 1992: nei crediti dei videoclip compaiono i nomi dei registi che ne hanno curato la produzione. Il videoclip inizia a proporsi come prodotto d’autore e una nuova generazione di cineasti, prima di dedicarsi al cinema, esordisce proprio nell’industria audiovisiva musicale. Fra gli altri: Michel Gondry, David Fincher, Sofia Coppola, Spike Jonze, Jonathan Glazer… Persino Paul Thomas Anderson, un anno dopo l’esordio cinematografico del 1996, alla regia di Hard Eight (Sydney), dirige un videoclip per Try di Micheal Penn.

Che, fra la fine degli anni Novanta e gli inizi del 2000, l’industria cinematografica abbia recepito e fatto proprie alcune delle tecniche audiovisive sperimentate nel videoclip è nozione ormai consolidata nei discorsi sull’audiovisivo. Tuttavia, troppo spesso l’analisi dei rapporti fra videoclip e cinema si ferma ad un’unica constatazione: il secondo si sarebbe lasciato tentare dal montaggio frenetico e sensuale del primo, dando vita a una serie di prodotti audiovisivi caotici e frammentati. Nonostante tale constatazione, sostenuta da certa accademia in articoli come Pop, Speed and the “MTV Aesthetic” in Recent Teen Films, evidenzi un fenomeno importante e senz’altro riscontrabile in un certo tipo di produzione audiovisiva, il discorso circa le influenze (reciproche, peraltro) fra cinema e videoclip è caratterizzato da una complessità che va ben oltre il fuoco su un rapido ritmo di montaggio.

Dal videoclip al cinema
Una delle primissime immagini trasmesse da MTV, poco dopo le 12:01 dell’1 Agosto 1981.

La temporalità della musica popular e l’ambiguità spazio-temporale dell’audiovisivo

Fra le conseguenze più interessanti della convergenza di industria musicale e industria audiovisiva, alla fine degli anni Novanta e agli inizi del Duemila, vi è la (rinnovata?) ambiguità spazio-temporale che ha liberato certa produzione audiovisiva dalle pretese di linearità entro le quali il sistema della continuità classica hollywoodiana aveva imbrigliato (e tuttora imbriglia) gran parte della produzione cinematografica occidentale.

È Michel Chion, nel suo Audiovisione (prima pubblicato, in Francia, nel 1990), a notare come la musica nel cinema serva, fra le altre cose, a inscrivere entro una temporalità chiaramente lineare immagini che, per quanto riguarda i loro rapporti cronologici, sono tutt’altro che chiare. In altre parole, per far sì che diverse inquadrature, girate in tempi e, talvolta, spazi diversi, scorrano l’una dopo l’altra creando un’illusione di continuità spazio-temporale, non c’è niente di meglio che riempire la loro dimensione sonora con l'”uniforme” svolgersi di una composizione musicale, chiaramente indirizzata dal passato verso il futuro. Cosa succederebbe, però, se anche la temporalità della musica unita alle immagini dovesse presentarsi come ambigua?

È il caso di gran parte della musica popular, la cui struttura è spesso fortemente caratterizzata da diversi tipi di ripetizione. Da quella macro-strutturale di strofe e ritornelli, a quella micro-strutturale di pattern ritmici, melodici o armonici, la temporalità della musica popular tende volentieri verso la circolarità. Non ci stupiremo, dunque, se proprio nei videoclip l’ambiguità spazio-temporale diviene tratto saliente della mediazione audiovisiva, tanto a livello formale quanto a livello tematico.

La sequenza in split screen da The Rules of Attraction.

Split screen e molteplicità dei piani spazio-temporali

Torniamo alle nostre Rules of Attraction e, in particolare, a una sequenza propostaci dal film dopo poco più di mezz’ora dal suo inizio. Due fra i protagonisti – Lauren (Shannyn Sossamon) e Sean (James van der Beek) – sono assorti nella loro quotidianità. Nulla di inusuale, se non fosse che Avary sceglie di mostrare entrambe queste quotidianità contemporaneamente, tramite l’uso dello split screen: tramite la divisione, cioè, dello schermo in più (in questo caso, due) schermi, distinti e contemporaneamente presenti. Una contemporaneità, dunque, che poteva essere messa in scena, più classicamente, per mezzo di un montaggio alternato, ma che viene qui realizzata “realmente”, con piani temporali e spaziali diversi mostrati allo stesso tempo, in un’unica immagine. Ma c’è di più.

Ciò che rende affascinante l’utilizzo dello split screen nella sequenza in questione sono le relazioni spazio-temporali che vengono intrecciate fra i due schermi. Se, inizialmente, i due personaggi sembrano muoversi in spazi diversi e in tempi che, forse, si pensano contemporanei (ma non ci è dato saperlo), la sequenza si conclude con la convergenza dei due distinti piani spazio-temporali in un’unica dimensione: Lauren e Sean sono infine “fisicamente” insieme, nello stesso spazio e nello stesso tempo. Bene. Cosa c’entrano però, vi chiederete, i videoclip con questa sequenza? È presto detto: date un’occhiata al videoclip girato da Michel Gondry, nel 1996, per Sugar Water delle Cibo Matto.

Michel Gondry: Cibo Matto – Sugar Water

Lo spazio e il tempo di Sugar Water

Non è semplice descrivere il contenuto di questo oggetto audiovisivo. Analizzarlo, poi, richiederebbe spazi più ampi di quelli occupati da questo articolo. Tuttavia, almeno un aspetto del videoclip di Gondry dobbiamo sforzarci di metterlo in parole: la struttura temporale della messa in scena. Lo schermo di Sugar Water, similmente a quello della sequenza di The Rules of Attraction presa in considerazione, è diviso in due. In ciascuna delle due porzioni è presente un personaggio: a sinistra, Yuka Honda; a destra, Miho Hatori (le due componenti della band). Nella porzione di sinistra il tempo cronologico è lineare: dal passato al futuro. Nella porzione di destra, il tempo cronologico è, invece, invertito: a ritroso, dal futuro verso il passato.

Il videoclip esordisce, dunque, con le due protagoniste intente ad alzarsi dal letto, ciascuna rappresentata entro un piano spazio-temporale distinto. Tuttavia, mentre a sinistra il “risveglio” di Honda si svolge linearmente (come lineare dovrebbe essere, ricordiamolo, la nostra esperienza del tempo nel momento in cui guardiamo il videoclip in questione), a destra il “risveglio” di Hatori è in realtà un “coricarsi” mostrato al contrario, lungo una linea del tempo invertita. La situazione è già abbastanza complessa, ma non basta.

Trascorsa la metà del videoclip, i due piani spazio-temporali, fino ad allora distinti, convergono, in maniera del tutto simile a quanto accadeva in The Rules of Attraction, linee temporali contrapposte escluse. Una volta che i due personaggi si ritrovano nel medesimo spazio e nel medesimo tempo, però, si pone un problema: cosa accade alla doppia temporalità del videoclip? È presto detto: Hatori prosegue nella sinistra dello schermo, mentre Honda passa nella porzione di destra. Mentre a sinistra, dunque, rivediamo ora le azioni di Hatori svolgersi lungo una temporalità lineare, a destra assistiamo al riavvolgersi di quelle di Honda. Uno degli oggetti audiovisivi più affascinanti degli anni Novanta.

Michel Gondry: The Chemical Brothers – Star Guitar

Suggestioni da spazio-tempi ambigui

Numerosi sarebbero, ancora, i film e i videoclip verso cui volgere la nostra attenzione. E, tuttavia, se siete arrivati a questo paragrafo, il vostro tempo, inesorabilmente lineare, già da un po’ sarà conteso da altre attività. Lasciamoci, allora, con una serie di spunti (inevitabilmente pochi e selezionati piuttosto casualmente) che vorrebbero presentarsi come suggestioni provenienti dalle complesse dimensioni spazio-temporali dell’audiovisivo degli ultimi trent’anni.

In primo luogo, torniamo a quel 2002 con il quale, all’inizio di questo articolo, ci eravamo incontrati. Questa volta, però, viaggiamo con Star Guitar, videoclip girato da Michel Gondry per il duo britannico The Chemical Brothers. Cosa c’è di più lineare di un viaggio in treno? Ripreso, poi, da sinistra verso destra, dal passato al futuro. Eppure occorre prestare maggiore attenzione. Scanditi dal ripetersi dei pattern ritmici della musica, gli elementi del paesaggio iniziano a ripetersi a loro volta, stratificati, dal primo piano verso lo sfondo, proprio come stratificata è la dimensione sonora proposta dai Chemical Brothers. Audio e video convergono in un oggetto audiovisivo che mette in scena uno spazio-tempo tanto affascinante quanto ambiguo, sostenuto da un sapiente utilizzo del montaggio audiovisivo digitale.

Proviamo a procedere più rapidamente. Saltiamo al 2014. Cosa succede alla temporalità di Mommy quando Xavier Dolan decide di costruire un’intera sequenza su Wonderwall degli Oasis, riprodotta, quest’ultima, integralmente?

E ancora (è sufficiente cambiare una lettera) pensiamo a tutto Christopher Nolan: dalla struttura non-lineare di Memento (2000) alla molteplicità dei piani temporali in Dunkirk (2017), esiste cineasta più esplicitamente ossessionato dall’ambiguità dello spazio e del tempo?

Il cinema post-videoclip è un cinema che non teme ribellioni, più o meno decise, nei confronti di una fragile temporalità lineare. È, anche, un cinema che si domanda con sempre più urgenza quali siano le possibilità di messa in scena del tempo e dello spazio. Non vi sorprenderete, allora, nel vedere The Rules of Attraction finire da dove era cominciato, per poi far scorrere i propri titoli di coda al contrario.

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Nato a Milano nel ’94, ho studiato Musicologia fra le università di Pavia e Vienna (laurea triennale) e Utrecht (master of research), più che altro come pretesto per approcciare il Cinema dalla sua metà più “subconscia”. Mi sforzo di coniugare riflessioni teoriche a esperienze pratiche, interessato a esplorare gli infiniti modi in cui l’audiovisivo media e crea esperienze del reale. Attualmente studio presso la Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti.