Il 15 marzo 1943 nasce a Toronto David Cronenberg. Cresce in uno stimolante ambiente familiare artistico-letterario e si avvicina sin da giovane al mondo della fantascienza. Dai primi racconti di genere per riviste specializzate, Cronenberg incontra presto la settima arte, spianandosi un percorso inconfondibile nella Hollywood anni ’80. Il suo cinema è ambizioso, abbatte le barriere dello sguardo e stimola l’inconscio ad abbracciare un universo viscerale e disturbante in cui il corpo è protagonista. La poetica del corpo di Cronenberg diventa quindi una legge nell’immaginario cinematografico, un linguaggio imprescindibile per la cristallizzazione di una nuova forma espressiva di culto, quella del body horror.
Ecco, dunque, che Cronenberg si fa capostipite di un horror endogeno, che muove dall’interno del corpo percepito come macchina carnale, i cui ingranaggi si mostrano allo spettatore senza inibizione. Rifacendosi all’immaginario di scrittori come William S. Burroughs, J.G. Ballard e Vladimir Nabokov, Cronenberg accoglie un linguaggio ibrido in cui arte, letteratura e cinema si incontrano. La ricetta finale unisce chirurgicamente quattro elementi: mente, corpo, sesso e tecnologia. La mente si nutre dell’illusione e dell’allucinazione; il corpo è un’entità mutaforme, trasformista, che si mostra nella sua veste malata, plasmata dal disagio collettivo; il sesso è il piacere erotico, il puro istinto primordiale in cui si incontrano mente e corpo come parti di un unico sistema; la tecnologia è l’ultimo atto in cui l’uomo, spinto verso il progresso da un delirio di onnipotenza, si fonde con la macchina.
Così il percorso cinematografico di Cronenberg è un viaggio di progressiva presa di consapevolezza della legge di conservazione, in cui nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. E il regista canadese si fa trasformista di un corpo, che lui, nelle prime pellicole di fine anni Settanta (Il demone sotto la pelle, Rabid – Sete di sangue e Brood – La covata malefica) indaga attraverso il parassitismo, il contagio, l’infezione. La malattia diventa quindi il punto di connessione tra mente e corpo, in un’interazione alchemica inevitabilmente legata al sesso. Quest’ultimo assume una connotazione imperativa nella successiva fase di sperimentazione di Cronenberg, in cui si affaccia la tecnologia. Ed è qui che la riflessione cinematografica del regista diventa più attuale che mai.
Videodrome (1983)
All’inizio degli anni ’80, la visione nichilista di Cronenberg sull’effetto distruttivo della tecnologia trova la sua apoteosi in Videodrome. Il film incanala il concetto di tecnologia come estensione corporea e lo espleta in una pellicola surreale e disturbante con protagonista James Woods. Quest’ultimo interpreta Max Renn, il proprietario di una TV via cavo che, casualmente, entra in contatto con un programma pirata intitolato “Videodrome”, dove vengono trasmesse torture carnali in presa diretta. Affascinato da quella perversione masochista, Renn continua a guardare il programma, nonostante sia stato avvisato su come la visione prolungata di “Videodrome” provochi un tumore al cervello, generatore di allucinazioni dall’esito fatale. La video-dipendenza di Renn si consuma così in un limbo fluido, in cui realtà e finzione si fondono e la macchina, controllando la mente, si impossessa gradualmente del corpo.
Come dichiarato dallo stesso Cronenberg, l’idea nasce dalle numerose ore passate durante l’infanzia davanti alla televisione. Da qui prende forma la volontà di spingersi oltre i limiti ed esplorare l’estremizzazione del rapporto tra uomo e tecnologia. La televisione diviene così un’entità fatta di carne e sangue, che fagocita l’individuo attraverso la reiterazione ossessiva di immagini che penetrano il suo inconscio. Cronenberg riflette sul sottotesto critico di un sistema tossico e manipolatore a cui l’uomo si aggrappa disperatamente in un rapporto sensuale e violento. Per questo Videodrome è descritto dal critico cinematografico Gianni Canova come il film manifesto della filmografia di Cronenberg, in cui il regista stimola lo spettatore con una riflessione contemporanea che affascina e respinge.
Crash (1996)
Vincitore del Premio della Giuria a Cannes nel 1996, Crash è il passaggio successivo della poetica uomo-macchina di Cronenberg, a partire dal romanzo omonimo di J.G. Ballard del 1973. La trasformazione corporea richiama qui una sua più profonda indole morbosa e feticista, attraverso l’indagine di una relazione coniugale che cerca nuovi orizzonti erotici. Questo è il punto di partenza per una riflessione in cui la crudezza impattante di un incidente automobilistico non paralizza l’uomo, ma ne risveglia i più reconditi istinti sessuali, in una progressiva assuefazione alla violenza. Come insegna Andy Warhol con la sua raccolta di serigrafie Car Crash, più l’occhio umano si abitua alla visione serializzata della violenza, più questa perde la sua connotazione spaventosa e disturbante.
Così in Crash, Cronenberg studia la libido e il piacere sessuale indotti da incidenti automobilistici e ne fa motore di una nuova forma di mutazione corporea stimolata dalla tecnologia. Ecco, dunque, che corpi mutilati trovano nell’amplesso con parti meccaniche inanimate un piacere proibito generato dalla violenza. All’uomo non basta più l’inibizione di un rapporto di coppia aperto, ma ha bisogno di qualcosa di più estremo e perverso per soddisfare un piacere ormai appagato solo dalla fusione con la macchina. Cronenberg si spinge ancora una volta oltre i limiti del visibile, scavando nell’inconscio e rendendo manifesto il lato più oscuro della distopia del presente.
Crimes Of The Future (2022)
A distanza di vent’anni, Cronenberg guarda al futuro con un film surreale e visionario, Crimes Of The Future, che richiama il titolo del primo lungometraggio del regista, risalente al 1970. L’opera disturbante, presentata in concorso al 75esimo Festival di Cannes, sceglie Viggo Mortensen, pupillo degli ultimi film di Cronenberg, come suo protagonista. In lui si uniscono la figura dell’artista e del chirurgo, due personalità affini in una dimensione in cui l’erotismo si riconosce in un nuovo stadio interpretativo. I corpi spezzati di Crash ritornano in un futuro distopico in cui l’uomo non è più in grado di provare dolore e, con esso, piacere. La ricerca disperata di una sensazione corporea e mentale si cerca così in performance artistiche che si nutrono di mutilazione corporea.
L’ultima opera di Cronenberg esalta e profana il corpo umano nella sua più tetra mutazione, in cui niente è nascosto, tutto è mostrato senza filtri. Con uno sguardo algido nell’indagine del dolore, il regista propone l’assaggio di un domani catastrofico, in cui vige la spettacolarizzazione della violenza come unica forma di appagamento sessuale dell’uomo. Tra performance e esacerbazione del body horror, Cronenberg battezza l’ultimo decennio con una narrazione concettuale, che ipnotizza in una finale assuefazione al distruttivo, quanto affascinante linguaggio del corpo-macchina.
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