Prima di Dylan Dog c’è stato Francesco Dellamorte, l’ombroso custode di cimiteri creato da Tiziano Sclavi in un romanzo scritto nel 1983, intitolato DellaMorte DellAmore. L’alter ego più famoso di Dellamorte approderà nei fumetti Bonelli solo tre anni dopo, e vedendo l’enorme successo riscosso dal fumetto, Sclavi deciderà finalmente di pubblicare il suo romanzo nel 1991. È il 1994 quando il regista Michele Soavi, uno dei protetti del maestro Dario Argento, pensa di adattarlo per il grande schermo, contattando per il ruolo di Francesco Dellamorte proprio l’attore che fu modello e ispirazione per le fattezze fisiche di Dylan Dog: Rupert Everett.
Trent’anni dopo l’uscita del film, DellaMorte DellAmore segna la fine del grande cinema horror italiano, quello che aveva fatto la storia con i grandi nomi di Dario Argento, Mario Bava e Lucio Fulci.
In occasione del 30esimo anniversario dalla sua uscita, DellaMorte DellAmore torna in sala dal 14 ottobre 2024.
L’ultimo grande horror italiano
Se non fosse tratto da un romanzo, si direbbe che DellaMorte DellAmore sia un cinecomic italiano ante litteram (se non fosse per il Diabolik di Bava del 1968), proprio per i collegamenti inter ed extra testuali del film: oltre al cerchio chiuso che riguarda Sclavi, Dylan Dog e Rupert Everett, la trama stessa contiene numerosi elementi riconducibili al pulp, al noir, a quell’horror scherzoso e allo stesso tempo simbolico e filosofico.
DellaMorte DellAmore infatti è intriso di un black humor originale e fumettistico, per non dire quasi cartoonesco, ma questo non vuol dire che non si voglia prendere sul serio. Anzi, nel terzo atto il film si trasforma in un neo-noir terribilmente esistenziale, che ricorda alla lontana l’atmosfera paranoica e inquietante del capolavoro di Elio Petri, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.
Ma prima di tutto, DellaMorte DellAmore rappresenta l’ultimo sprazzo di creatività, originalità e manifattura dell’horror italiano: Soavi, all’epoca già regista di tre horror cult (Deliria, La Chiesa e La Setta), è l’ultimo alunno della scuola di Argento, Lamberto Bava e Joe D’Amato. Quest’ultimo è tra i registi più controversi della storia del nostro cinema per i suoi film exploitation, tra lo splatter e l’erotico pornografico. Soavi ha respirato l’aria del miglior cinema horror italiano sin dai suoi esordi, quando faceva l’aiuto regista sui set di questi grandi nomi, ed è stato l’ultimo esponente di questa corrente filmica.
In DellaMorte DellAmore infatti non mancano effetti speciali pratici, originali e suggestivi (come dimenticare QUELL’apparizione della Morte), set goticheggianti pieni di cimiteri, tombe, ossuari, nebbie soffuse, lune gigantesche e presenze ultraterrene, come gli immancabili zombi (pardon, “ritornanti“) che infestano il cimitero e perseguitano il povero Dellamorte. Il tutto condito da una forte carica di erotismo che pervade tutto il primo atto del film, complice il ruolo della femme fatale (o meglio, delle femmes fatales) interpretata da Anna Falchi. Insomma, per citare la tag-line del poster inglese (che ha tradotto il titolo con un semplice Cemetery Man): “Zombies. Gun and Sex. Oh My!“
Di Thanatos e di Eros, ovvero DellaMorte DellAmore
DellaMorte DellAmore non è soltanto un film di zombi, ma anche di amore e ossessione. È un thriller sovrannaturale, un noir surreale ed esistenziale: è una favola gotica, che miscela la poesia con il grottesco. Il protagonista, Francesco Dellamorte, vince subito la simpatia di chi guarda perché, grazie anche al carisma di Everett, incarna lo stereotipo dell’eroe noir: cinico, tormentato, ironico, solitario e tenebroso, è circondato dalla stranezza (lo weird e l’eerie di cui ha scritto Mark Fisher), a partire dal suo socio e unico amico Gnaghi, che si esprime solo in versi e si innamora della testa mozzata di una ritornante.
Il cimitero di Buffalora, di cui è custode, è inspiegabilmente infestato da un’epidemia che fa resuscitare i morti, che Dellamorte – inflessibile – rispedisce nella tomba, in una routine senza fine a cui i protagonisti si assuefanno. La simbologia di questa routine, confinata nei soliti luoghi (o non luoghi) del cimitero e del minuscolo paesino di Buffalora, si fa più evidente con lo scorrere del film. Anche la tragica storia d’amore con Lei, figura misteriosa e sibillina che sembra perseguitare Dellamorte, assume una sfumatura sempre più simbolica: è un corteggiamento che ritorna in corpi diversi, vivi, decomposti, giovani ed altri, che lo amano e lo scherniscono, lo bramano e lo deridono, come in una punizione eterna di un girone dell’Inferno.
L’amore con Lei altro non è che una danza tra la vita e la morte, anzi tra l’amore e la morte, come viene evidenziato dal doppio cognome di Francesco: Dellamorte Dellamore, nomen omen che dà significato a tutto il film, giocoso e grottesco rimando all’eterno incontro-scontro tra Eros e Thanatos.
L’anima di Francesco è condannata a ricoprire il ruolo di custode dei morti, a riportare i ritornanti all’eterno riposo, in un’eterno ciclo senza fine di vita e morte. Questa routine infinita porterà Francesco a non distinguere più il mondo dei vivi da quello dei morti, la realtà dall’illusione, l’amore dall’ossessione, aumentando il suo cinismo sempre più distaccato, in questa figura da antieroe noir dannato (nel vero senso del termine) e tormentato.
L’importanza filmica di DellaMorte DellAmore
Dellamorte è infine un vero e proprio angelo della morte, relegato a un ruolo eterno da cui non si può sfuggire, forse voluto da una volontà superiore. Sotto questo aspetto, DellaMorte DellAmore porta con sé anche degli elementi del cosmic horror di Lovecraft, soprattutto nel finale, che ricorda le atmosfere sospese ed inquietanti de Il Seme della Follia (In the Mouth of Madness) di John Carpenter, uscito lo stesso anno di DellaMorte DellAmore.
In tutta la vicenda è impossibile non riconoscere il tocco di Tiziano Sclavi, con quella sua poetica romantica, quell’esistenzialismo pessimista e quell’umorismo nero, grottesco, alle volte sopra le righe ed altre sottotono, che abbiamo imparato ad amare leggendo Dylan Dog. Il fascino del film di Soavi risiede indubbiamente nel continuo gioco di paragone tra i due alter ego di Francesco e Dylan, tra i due diversi universi gotici e horror del film e del fumetto.
L’importanza storica-filmica di DellaMorte DellAmore sta soprattutto nel contesto in cui è uscito: Soavi si porta dietro gli ultimi strascichi di quella corrente horror iniziata negli anni ’70, declinatasi negli anni ’80 ed estintasi negli anni ’90, probabilmente con questo film. Così Soavi pone fine, consciamente o inconsciamente, a quel modo di fare cinema.
Ma non è una fine silenziosa e timida, anzi è la glorificazione e la celebrazione di quel cinema italiano: quell’horror fatto ancora di effetti speciali pratici, di idee originali e creative, di temi etici e filosofici, di immagini scottanti e provocatorie, accompagnate da una colonna sonora orecchiabile, da colori e tinte crepuscolari, da atmosfere gotiche e nebbiose, che giocano con il genere e con gli spettatori, in una commistione di black humor e di tragico orrore.
DellaMorte DellAmore si aggiunge così alla lunga lista di film da rivedere, rispolverare, rivalutare, recuperare, come ha fatto la Severin Films, che ha da poco realizzato un’edizione speciale del film rimasterizzato in 4K, ricca di contenuti speciali inediti, con tanto di commento del regista e dello sceneggiatore Gianni Romoli, oltre che di numerose interviste a tutte le maestranze coinvolte nel film, tra cui i realizzatori degli effetti pratici e del set. Un’occasione come un’altra per rivisitare, o per scoprire per la prima volta, l’ultimo grande cult del cinema horror italiano.
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