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denti da squalo

Denti da squalo, occhi ma anche morsi al cinema italiano

L'esordio cinematografico di Davide Gentile è un ottimo mix tra thriller e coming of age

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8 minuti di lettura

La neo casa di produzione italiana Goon Films attualmente ha tre film nel proprio inventario: due sono dello stesso general manager dell’azienda, e promessa del cinema italiano, Gabriele Mainetti (Lo chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out), uno è, invece, del regista Davide Gentile, alla sua opera prima con Denti da squalo, in uscita al cinema questo 8 giugno. E così, quella che sembrava un’azienda di produzione Mainetti-centrica, diventa anche una palestra per giovani registi, sceneggiatori, artisti e anche attori (come il protagonista di Denti da squalo, interpretato dal giovanissimo Tiziano Menichelli).

Cambia il regista però, non il genere. Il film di Davide Gentile conferma, infatti, una linea produttiva a cui Mainetti tiene molto: quella di seguire le orme del grande cinema d’intrattenimento hollywoodiano. Con Lo chiamavano Jeeg Robot, Mainetti mette in scena un (o, meglio cambiare articolo, il) cinecomic tutto italiano sulla genesi di un supereroe proveniente dalle borgate romane; con Denti da squalo la sostanza è sempre quella.

Il cinema di Spielberg e la narrazione di Stephen King sono trasportate in una desolata periferia sul litorale laziale, in cui il thriller de Lo squalo si mischia al coming-of-age di Stand by me, e dove il gangster movie all’italiana dona terreno fertile per riflessioni parallele sul gap generazionale, sulla condizione dei giovani e sul futuro precario nell’era della crisi climatica.

La trama di Denti da squalo

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Walter, 13 anni, ha appena perso il padre Antonio (Claudio Santamaria) in un terribile incidente sul luogo di lavoro. È estate, e nella periferia di Roma c’è poco da fare. Un giorno il ragazzo decide, quindi, di recarsi in una villa abbandonata, che Walter ricorda essere un luogo importante per il padre defunto, anche se parte di un passato dimenticato, in cui risiede la realtà criminale che Antonio stesso ha voluto forzatamente abbandonare per evitare problemi alla sua famiglia.

Arrivato sul posto con la sua bicicletta (cosa urla più cinema anni ’80 americano di un ragazzino che esplora i dintorni della sua vita a bordo di una bicicletta?), Walter trova uno squalo dentro la maestosa piscina della villa, non capisce come ci sia finito lì ma ne rimane incuriosito. I giorni successivi tornerà spesso dallo squalo per dargli da mangiare, fino a che un ragazzo poco più grande di lui, Carlo (Stefano Rosci), lo caccia sostenendo di essere il custode della villa. Walter non si fa intimidire e ritorna, insieme a Carlo trovano un patto: lui potrà tornare dallo squalo quante volte vorrà con la condizione di portargli ogni giorno il cibo.

Narrazione (amputata) di formazione

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Non abbiamo voluto allargare ulteriormente la sinossi per motivi riassuntivi, ma la realtà è che Denti da squalo ha una sceneggiatura tutt’altro che banale. Si alza, si abbassa, alle volte sembra sdoganare il MacGuffin (lo squalo, ovviamente) e alle volte sembra ritornare sui propri passi. È un movimento antropomorfo che segue la spirale di confusione che colpisce la vita di Walter.

Antonio, ex-boss criminale, è letteralmente incarnato nello squalo, e su questo non ci piove; infatti, il film in merito insiste parecchio. Tuttavia, è la narrazione stessa che si dimentica della creatura quasi da subito, e Walter si lascia trascinare all’interno di un mondo abbandonato a sé stesso, corrotto, contradditorio; finisce in un gruppo di mezzi-uomini, personalità composte a metà, lasciate a marcire, una compagnia di bimbi sperduti.

Ecco dove il coming-of-age americano incontra il dramma sociale generazionale dei giovani: da una parte la voglia di crescere, affrontare la vita come un’avventura, vivere da predatori e non da prede; dall’altra la consapevolezza di nascere in un paese che non supporta l’educazione, taglia le gambe ai giovani più emarginati, lascia perdere gli spiaggiati, non aiuta. A sottolineare tutto ciò la preziosa colonna sonora di Michele Braga e Gabriele Mainetti, in cui i suoni del corno, della chitarra e del pianoforte, simbolo dell’innocenza del protagonista, finiscono per mescolarsi a sonorità elettroniche indefinite e complesse come la realtà in cui Walter si muove alla ricerca di una sua identità, simile in questo all’enorme pesce rinchiuso tra le quattro mura della piscina.

Lo squalo fa paura, ma è in cattività, intrappolato in una piscina di una villa sontuosa che cade a pezzi. Di certo non è il suo posto nel mondo, possiede la voglia di nuotare libero ma non ha l’opportunità di farlo: Denti da squalo è come Moby Dick ma al ritroso: la Balena Bianca è già catturata, non resta che liberarla e allontanare lo spettro di Capitan Achab.

Denti da squalo, tra ambientalismo e crisi della sala

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Abbiamo, quindi, fatto tanta strada dal capolavoro di Spielberg. Lo squalo, infatti, per la concezione moderna ha fatto già troppi danni. Basti pensare alla nota delusione del suo autore, Peter Benchley, che quando uscì il film si aspettava di tutto tranne che la storia avrebbe gettato una spessa coltre di disinformazione sulla pericolosità degli squali. In Denti da squalo, però, c’è anche una sottotrama ambientalista, impersonificata nel rapporto estremamente empatico tra Walter e lo squalo. Niente di nuovo, sia chiaro, ennesima riproposizione ecocinematografica, ma l’operazione di Davide Gentile arriva nel momento giusto e nel posto giusto.

Una doppia similitudine: quella del ragazzino figlio di un genitore criminale che deve crescere e trovare il suo posto nel mondo – che, spoiler (?), non è tra i ruderi del passato del padre – e quella del rapporto uomo-natura da ritrovare, forse imparando a osservare pacificamente quello che ci circonda, piuttosto che, presi dall’impeto dell’incognito, sopprimerlo frettolosamente. L’ottimo villain/mentore dal nome più che significativo, Il Corsaro, interpretato da un bravo Edoardo Pesce, lo dice in fondo fin da subito: dov’è il punto debole degli squali? Negli occhi, ovviamente. Feriscilo in quel punto e lo potrai sconfiggere.

La coscienza dello spettatore è più leggera se non è in grado di saper vedere. E il cinema italiano, con Denti da squalo, guadagna un’altra piccola perla per il pubblico generalista, che al contrario ha gli occhi ben spalancati, e diffida della sala con misurata (giustificata) paranoia.


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Studente alla Statale di Milano ma cresciuto e formato a Lecco. Il suo luogo preferito è il Monte Resegone anche se non ci è mai andato. Ama i luoghi freddi e odia quelli caldi, ama però le persone calde e odia quelle fredde. Ripete almeno due volte al giorno "questo *inserire film* è la morte del cinema". Studia comunicazione ma in fondo sa che era meglio ingegneria.

2 Comments

    • Ciao Giuseppe! NPC Magazine è stato invitato a partecipare all’anteprima milanese, solo per la stampa. Il film sarà in sala dall’8 giugno. C’è la possibilità di andare a un’anteprima aperta al pubblico il 6 giugno, ma è tutto esaurito eccetto nella città di Udine, dove restano un paio di posti. Il film è distribuito da Lucky Red, perciò possiamo augurarci una presenza nelle sale italiane abbastanza capillare. Non avrai problemi a vederlo in sala già il giorno di uscita. Trovi maggiori informazioni sul sito ufficiale: https://dentidasqualo.it/

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