Dogman (disponibile su Rai Play e Amazon Prime Video), è il film che più ha consacrato a livello italiano e internazionale il regista Matteo Garrone. Con nove David di Donatello e il plauso di Cannes, Dogman, si ispira liberamente ad uno dei fatti di cronaca nera italiani più polarizzanti di fine anni Ottanta. Garrone prende la storia di Pietro De Negri, tenendo fede all’ambientazione della periferia romana, ma cambiando il contesto temporale e i nomi dei protagonisti per costruire una narrazione personale in grado di trascendere il fatto a cui si ispira per ragionare su una realtà ancora presente in Italia e riflettere su aspetti umani che poco riescono ad emergere nel cinema italiano.
L’intera filmografia del regista romano Matteo Garrone è in bilico tra la realtà e la favola, una continua contrapposizione, che spesso diventa anche una sovrapposizione, di due modi diversi di raccontare una storia. Con Il racconto dei racconti e Pinocchio Garrone ha esplorato una visione cinematografica fantastica e immaginifica. Invece con altri progetti come L’imbalsamatore e Primo amore la componente surreale resta solo nell’aspetto visivo mentre la storia torna alla realtà. Ancora, in lungometraggi come Estate romana, Terra di mezzo e Gomorra abbraccia il realismo in ogni suo aspetto.
Di cosa parla Dogman
Marcello (Marcello Fonte) vive nella periferia di Roma, nella zona della Magliana Nuova nel quartiere Portuense e ha un negozio di nome Dogman dove si occupa di toelettare e lavare i cani, i suoi migliori amici. È un uomo tranquillo, pacato, ha una figlia con cui cerca di passare più tempo possibile ed è amato da tutto il vicinato, ma è incastrato nella piccola criminalità di periferia, soprattutto nello spaccio di cocaina e in qualche truffa.
Marcello è una persona pura, innocente, ma vive in un luogo dove vige la legge del più forte, dove sopravvive chi non ha scrupoli morali. Questa realtà lo schiaccia, rendendolo succube di persone che hanno accettato le regole del gioco. Simone (Edoardo Pesce), uno dei cani sciolti della zona, utilizza l’amicizia con Marcello per avere droga gratis e per i piccoli furti notturni dentro le ville romane. Il piccolo e minuto protagonista non riesce ad imporre il suo volere ed è costretto ad obbedire a Simone per paura delle conseguenze. Forte è il suo senso di disagio ed impossibilità davanti a quei soprusi sempre più insistenti.
La vita di Marcello viene definitivamente distrutta quando Simone lo obbliga a consegnargli le chiavi del suo negozio per poter entrare in quello di fianco e poi dividere a metà la somma ricavata. Il giorno dopo è, però, solo Marcello ad essere indagato per il furto.
Anche la polizia conosce l’identità del vero colpevole e spinge la vittima a testimoniare contro di lui per poterlo condannare ed essere libero. Marcello però non riesce a fare il nome di Simone e viene condannato, forse per paura, forse spinto dall’impossibile speranza di poter avere un giorno la sua parte e un futuro migliore. Un anno dopo Marcello torna a casa, ma la sua vita non è più come l’aveva lasciata. I suoi vecchi amici lo odiano, non riescono ad accettare il suo tradimento e la sua scelta.
È costretto a vivere in negozio e inizia di nuovo a trascorrere il suo tempo con i cani, gli unici amici che non lo hanno abbandonato. Incontrare di nuovo Simone e il sentore concreto di poter perdere l’amore della figlia lo cambieranno per sempre. Marcello non sarà più la stessa persona e tutta la rabbia accumulata troverà sfogo in un finale crudo e poetico allo stesso tempo, dove gli istinti più bui dell’essere umano prenderanno il sopravvento sulla razionalità in una lotta animalesca all’ultimo sangue.
Dogman, ovvero il lato oscuro dell’essere umano
Garrone con Dogman ha fatto una lucida fotografia, perfettamente a fuoco, della periferia italiana, molto simile a quella che aveva scattato Caligari con Non essere cattivo, mantenendo però sempre la sua impronta stilistica. La parabola di Marcello non è nient’altro che un pretesto per riflettere su qualcosa di più grande, su una realtà ancora fortemente presente da cui è difficile uscire. I luoghi esplorati sono aridi, non c’è spazio per i sentimenti. La città diventa una giungla e gli uomini tornano allo stato primitivo, in cui è la violenza la padrona e la sopravvivenza torna l’unico scopo da perseguire.
I due personaggi principali riescono perfettamente ad incarnare i due unici possibili ruoli all’interno del quartiere: il predatore e la preda. Marcello è un inetto, un uomo in totale balia di ciò che accade intorno a lui; un uomo che non riesce a rispondere, a far sentire la sua voce, ed è costantemente cacciato da chi è più forte di lui. Simone è una persona che ha fallito, piena di rabbia, rancore e odio che deve buttare fuori per non cadere; è una persona che ha accettato di diventare un predatore per non essere sbranato.
Uno dei maggiori pregi di Dogman è quello di fare distinzioni tra buono e cattivo, perché in un luogo come la periferia ogni ruolo viene distrutto. Non esiste giusto e sbagliato quando non ci sono le strutture fondamentali di una società sana. Garrone non coccola mai la figura di Marcello, non cerca mai di avvicinarlo fino in fondo allo spettatore. Marcello non riesce mai a gestire la sua vita, ed è succube delle persone e incapace di relazionarsi con le stesse.
La fotografia e la scenografia sono gli elementi che più restituiscono il senso di prigionia e chiusura che vivono i personaggi della storia. Il quartiere è un microcosmo fuori dal mondo, una bolla sociale da cui è impossibile uscire. Dogman ci mostra l’impossibilità dei protagonisti di far scoppiare la bolla e cambiare la propria vita. Dogman è un film vero, reale; ciò che descrive è tangibile e Garrone lo ha mostrato al mondo, parlando senza nessuno scrupolo di un pezzo d’Italia che in pochi hanno fatto emergere.
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