Fuori concorso nella 79ma edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia c’è Olivia Wilde, che dopo Booksmart (2019) torna alla regia con il thriller Don’t Worry Darling, trasposizione cinematografica della storia scritta da Carey e Shane Van Dyke e sceneggiata da Katie Silberman.
Don’t Worry Darling uscirà nelle sale italiane il 22 settembre prossimo, con una distribuzione Warner Bros. Pictures. Il film annovera nel cast una coppia inedita sullo schermo, quella composta da Florence Pugh – una delle attrici più richieste del momento – e l’iconico Harry Stiles, che di strada ne ha fatta dagli One Direction. Abitanti del sobborgo idilliaco di Victory, Alice e Jack (questi i nomi dei protagonisti) conducono un’esistenza idealizzata, permeata dall’ottimismo sociale degli anni ’50: gli uomini al lavoro, le mogli dedite al lusso e alla cura della casa. La verità, però, non ha nulla di idilliaco, e Alice scoprirà presto gli oscuri segreti nascosti dietro l’impero del Victory Project.
“Questo thriller psicologico è la mia ‘lettera d’amore’ ai film che vanno oltre i confini della nostra immaginazione. Immaginate una vita in cui avete tutto ciò che avreste sempre voluto. Cosa sacrifichereste in nome di ciò che è giusto? Questo è l’interrogativo di ‘Don’t Worry Darling”
Olivia Wilde
Il prezzo da pagare per la perfezione: la fallibilità degli schemi nell’ottimismo americano dei 50’s
Alice (Florence Pugh) e Jack (Harry Stiles) sono novelli sposi nel sobborgo residenziale di Victory, sede di un progetto top-secret che coinvolge tutti gli uomini della comunità. L’ottimismo dilagante del dopoguerra vede i mariti dediti al lavoro e le mogli alla cura della casa, al lusso e alla bellezza: il visionario aziendale Frank (Chris Pine) sembra aver realizzato i desideri più intimi di ciascun abitante attraverso l’edificazione di una società infallibile, perfetta e invidiabile in cui possano ritrovarsi. Il prezzo per il benessere sono la discrezione indiscussa e la fedeltà al Victory Project.
Quando il sistema comincia a dare segni di cedimento, emerge un segreto sinistro prima sopito sotto l’apparente idillio: la curiosità di Alice la trascina in una spirale ossessiva alla ricerca di risposte che il coniuge sembra conoscere. Quanto è disposta a perdere però per rivelare a tutti la corruzione di Victory?
Don’t Worry Darling, tra equilibrio estetico e cliché
Il Jack di Harry Stiles sembra uscito dai Rat Pack, il glamour color pastello del sobborgo di Victory una condizione d’esistenza nell’America della restaurazione post bellica. Olivia Wilde, regista, produttrice e interprete, in Don’t Worry Darling ha ricercato l’equilibrio visivo, trasposizione dell’ordine, della bellezza del controllo, dell’avversione al caos, nemico del progresso.
La critica, nel sottotesto, muove dall’esigenza di domandarsi fino a che punto sia giusto rinnegare la verità, quali siano i bisogni che – nella società del benessere – ci spingono a blindare gli occhi di fronte alla realtà.
L’ossessione del controllo, l’etica del piacere, la fallibilità del libero arbitrio, il ritorno al primigenio patriarcale degli anni Cinquanta sono l’antitesi della perfezione ostentata, uno spot pubblicitario ridondante che, circolare, riemerge nel malessere attuale: è di questi temi che si nutre il thriller, avverato da sequenze oniriche derivative che impoveriscono l’originalità della Wilde.
A smantellare l’archetipo accorre il cliché, una mistione di input semantici e formali che tradizione e contemporaneità hanno sovente denudato, fino ai minimi termini macchiettistici e funzionali. Il film, sostiene però la regista, è anche una storia d’amore – malato, vessatorio, squilibrato – che mira ad innescare, nel pubblico, una reazione di legittimità viscerale: un’empatia che sospende il giudizio.
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