Vincitore del Golden Globe 2022 per Miglior Film in lingua straniera, vincitore del Prix du scénario a Cannes 2021 e vincitore agli Oscar 2022 come Miglior film internazionale, il nuovo film di Ryūsuke Hamaguchi fa parlare di sé. Drive my car è un denso e lungo racconto, tratto da una quarantina di pagine di Murakami (Uomini senza donne, 2004), che stupisce e affascina. Un confortevole viaggio attraverso una quotidianità anti-spettacolare e un mare di silenzi che parlano. È un’opera di felice riuscita che entra con dignità nel grande calderone del cinema d’autore giapponese (Kore-eda, Kyoshi Kurosawa e altri).
È sempre dura, quando muore una persona, in qualunque circostanza. Si apre un buco nel mondo. E noi dobbiamo celebrare questo lutto. Altrimenti il buco non si chiuderà più.
Haruki Murakami
Drive my car: un incontro
Dopo soli quindici minuti di racconto, Yusuke (Hidetoshi Nishijima), attore e autore teatrale, scopre che la moglie Oto lo tradisce. Subito dopo fa un incidente stradale, gli trovano un glaucoma in via di sviluppo, si scopre che ha una figlia morta in giovanissima età e infine, improvvisamente, muore anche la moglie. Questa è solo una premessa, un prologo della storia di quasi quaranta minuti dopo cui iniziano i titoli di testa. La vera storia parte quando, due anni dopo, Yusuke è chiamato a Hiroshima per mettere in scena uno spettacolo teatrale e gli viene affidata un’autista.
Drive my car racconta un incontro, semplice e insignificante ,che però col tempo si trasforma in qualcosa di più significativo.
La storia si dipana tutta nell’interiorità del protagonista Yusuke che, ancora appesantito dal lutto della moglie, lotta contro il mondo alla ricerca di una nuova felicità. Il conflitto si instaura con Misaki, la giovane autista con il quale è costretto a interagire, ma soprattutto con Takatsuki, attore e amante della moglie.
Grazie all’incontro con Misaki, Yusuke nel corso di Drive My Car si aprirà a lei e si creerà un rapporto di intesa e di incontro rispetto alle loro proprie solitudini. Takatsuki invece diventa l’elemento di tortura e fastidio che fa riemergere continuamente agli occhi di Yusuke l’ossessione del tradimento e l’impossibilità di raggiungere una verità al riguardo.
L’incomunicabilità
Drive my car è un film di tante parole ma anche di tanti silenzi. Yusuke, e tutti gli altri personaggi, non parlano mai per dire ciò che pensano davvero. La verità affiora indirettamente dalle continue interruzioni teatrali, dalla recitazione, da testi che parlano di tutt’altro. Ma affiora anche dai comportamenti, dalle posture, dalle distanze e dalle reazioni.
L’incomunicabilità è uno dei temi fondamentali di Drive My Car. I personaggi si parlano ma non si comprendono, tengono nascoste agli altri, e a loro stessi, le proprie realtà scomode.
C’è una scena nello specifico che palesa questo discorso e lo espone sullo schermo. Yusuke, una sera dopo il lavoro, viene invitato dal suo collaboratore a cenare da lui. A cena si ritrovano loro due, la moglie del collaboratore che è muta e Misaki. Quattro individualità a cena che per parlare tra loro faticano. Il collaboratore di Yusuke è coreano come la moglie. Quando Yusuke parla con la moglie muta deve far tradurre in coreano le sue domande e le risposte di lei devono essere tradotte dal linguaggio dei segni. Un groviglio linguistico che si ritrova spesso in Drive my car e che trasforma l’universo-mondo del film in un enorme Babilonia esistenziale.
Il mondo visivo di Drive my car
La storia in sé di Drive My Car è alquanto secca, pulita e senza troppi fronzoli. Ci sono lunghissimi dialoghi e situazioni poco dinamiche, per nulla frenetiche. Hamaguchi adatta a questa linea narrativa una fotografia realistica, adottando medie focali e profondità di campo. Le inquadrature vengono fatte durare come se fossimo in un documentario e lasciate quasi tutte fisse, bloccate ad ascoltare i personaggi. È una forma equilibrata che regala molti momenti brillanti.
E poi vediamo questa macchina rossa girovagare per le coste del Giappone o all’interno delle sue autostrade. Ascoltiamo la cassetta di Yusuke e godiamo del paesaggio nel quale si trovano catapultati i nostri occhi. Scene lunghe e ripetute spesso queste che, in un certo verso, ricordano il cinema di Kiarostami e quel suo gusto verso lo sguardo affascinato sul mondo. Drive my car è un piccolo gioiellino che ci ricorderemo.
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