La seconda stagione della serie con protagonista Lily Collins è disponibile su Netflix dal 22 dicembre, ed è già uno dei contenuti più visti del momento; ciononostante, Emily in Paris si conferma un prodotto mediocre, piacevole per impegnare infruttuosi pomeriggi ma incapace di conquistare per davvero un serietv-addicted. Scopriamo cosa (secondo noi) impedisce a questa serie di fare breccia nel cuore del pubblico.
Dove eravamo rimasti?
Dopo aver miracolosamente salvato la carriera di Pierre Cadault, Emily viene riassunta da Sylvie, mentre Mathieu, nipote dello stesso Cadault, la corteggia insistentemente e le propone di trascorrere con lui un weekend romantico; nel frattempo, la decisione di Gabriel di trasferirsi in Normandia per aprire un ristorante, piuttosto che accettare il denaro dei genitori di Camille e restare a Parigi, determina la fine della sua relazione con quest’ultima.
Consapevole che il trasferimento di Gabriel nella sua città natale porrebbe fine alla loro storia prima ancora che inizi, Emily gli confessa i suoi sentimenti e i due trascorrono una notte insieme. Peccato che Antoine, l’amante di Sylvie, sia interessato a investire nel ristorante e che Gabriel, in realtà, non andrà da nessuna parte. Che sia l’atteso nuovo inizio per lui ed Emily? O l’ennesima circostanza a ostacolare il loro rapporto?
Il bello della nuova stagione di Emily in Paris
Chiunque sia amante dei viaggi e delle atmosfere romantiche resterà ancora una volta estasiato, se non per Emily in Paris, almeno dalla città che le fa da sfondo; ed anche i non viaggiatori-pantofolai, per quanto restii, faticherebbero a non sospirare davanti alla maestosa bellezza di Parigi, una bellezza non a caso estesa anche al cast della serie, new entry e non. Ma ancora una volta è Lily Collins ad ammaliare il pubblico, non regalando un’interpretazione da Oscar ma sfruttando il suo charme di ragazza semplice e raffinata.
A proposito di Lily Collins, non si può non citare i suoi outfit parigini: indipendentemente dal gusto personale, la seconda stagione di Emily in Paris riesce a confermarsi davvero très chic tra tacchi alti, colori accesi e tagli poco convenzionali, quasi un’ottima rimembranza, a livello visivo, di Gossip Girl. Ultimo, ma importante, punto a favore è la costruzione della dinamica Emily-Gabriel, mai del tutto definita ma costantemente sul punto di evolversi, eccellente escamotage per incitare il pubblico alla visione.
I punti a sfavore della serie
La seconda stagione di Emily in Paris, in modo del tutto analogo alla prima, offre ben poco allo spettatore che non sia meramente piacevole alla vista o all’udito; ipotizzando di poter eliminare i bei vestiti, le belle canzoni, la bella Parigi, in poche parole tutto ciò che conferisca al prodotto finale un tocco di stile, ciò che rimane è una collezione di cliché che si susseguono una puntata dopo l’altra.
Dal primo minuto del primo episodio fino all’ultimo colpo di scena (anche questo, in realtà, non degno di tale nome) lo spettatore è in grado di prevedere cosa accadrà, cosicché al termine della stagione il pubblico è in pratica costituito da chiaroveggenti, che sperano di sbagliarsi per poter sentire il brio dell’effetto sorpresa.
E dando per scontato che sia soddisfacente sperare in qualcosa e vederla realizzarsi su schermo, è decisamente meno appagante sapere con relativa precisione quando accadrà; questo perché, seppure la serie voglia trasmettere leggerezza, ciò che lo spettatore cerca è essere colto di sorpresa, sviato, confuso se necessario, per poi arrivare dove lui stesso sperava di arrivare ma potendo sospirare di sollievo, non restando impassibile.
In sintesi, la seconda stagione conferma come Emily in Paris sia un prodotto mediocre ma visivamente delizioso, capace di padroneggiare con maestria quelle poche, indubbie qualità che possiede a compensazione di una storia vista e rivista, che nessuno spoiler riuscirebbe a rovinare del tutto. E se è vero che oggigiorno abbiamo bisogno di bellezza, sono talmente tante le serie salvate sulla nostra lista di Netflix che una in più o una in meno non fa differenza.
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