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Ennio Morricone, l’estasi della musica e del cinema

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8 minuti di lettura

Scomparso a 91 anni lo scorso 6 luglio, Ennio Morricone ha rappresentato un punto di riferimento nella musica e nell’arte. Molti sono stati i colleghi, i collaboratori o semplici appassionati, a porgere un ultimo saluto, un ricordo, a quello che fino a questo primo caldo estivo ha incarnato alla perfezione la figura del maestro con la “m” maiuscola. Sotto quel suo sguardo corvino e l’aspetto gracile, si nascondeva il musicista, direttore d’orchestra, che negli anni ha definito un’era.

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Sarebbe quindi impossibile, non riconoscere in lui quell’atteggiamento sornione tipico dell’insegnante, soprattutto dopo quella che ricorderemo come una delle sue ultime, leggendarie collaborazioni, ovvero quella con l’ “allievo” spirituale Quentin Tarantino.

Ennio Morricone, i primi anni

Ripercorrere settanta anni di carriera senza qualche sbavatura o il timore di essere bacchettati è un’operazione assai ardua, ma andiamo con ordine, anzi, a tempo. Nato nella capitale il 10 novembre del lontano 1928, Ennio Morricone potremmo definirlo un figlio di mestiere. Il giovane musicista ha infatti seguito fin da subito le orme del padre Mario, trombettista d’orchestra, iscrivendosi al Conservatorio di Santa Cecilia e studiando le varie branche della composizione, dalla direzione corale alla strumentazione per banda. Figlio di mestiere perché, una volta conseguito il diploma, mosse i suoi primi passi proprio in qualità di trombettista.

La RCA Italiana, una delle più grandi case discografiche, rappresentò il trampolino di lancio per la sua carriera da compositore. La strada da intraprendere era lunga ma il successo non troppo lontano. Ennio Morricone intraprese il suo cammino componendo, per commissione, svariati arrangiamenti per le tracce dei più richiesti cantanti pop del momento, tra cui Mina, Edoardo Vianello e Gianni Morandi. Questo percorso durò anni, nel corso dei quali, si concretizzò uno degli eventi più significativi della vita del maestro: il matrimonio con Maria Travia, amica della sorella di Morricone. Un amore durato un’intera carriera, fino all’ultimo addio. Maria svolse un ruolo fondamentale, non solo come fedele anima gemella, ma rappresentò per lui l’unica vera musa ispiratrice.

Gli anni ’60 e la Trilogia del Dollaro

Il lavoro presso la RCA andava a gonfie vele, portando Morricone a collaborare anche con artisti internazionali, tra cui Chet Baker. Il suo nome era ormai conosciuto e risuonava non solo negli studi discografici ma sempre e comunque nei teatri per musica classica, dai quali non si separò mai. Dopo un brevissimo tentativo (neanche un giorno) presso la Rai, Ennio Morricone si avvicinò al cinema con il film Il federale di Luciano Salce.

Questo suo primo approccio lo condusse nella direzione giusta, ovvero verso l’amico di infanzia, nonchè compagno di banco, Sergio Leone. Entrambi al secondo lavoro nei rispettivi ruoli, coniarono un genere che ancora adesso, in modo leggendario e meravigliato, fa parlare di sé: lo Spaghetti Western. Morricone incise così una delle sue colonne sonore più iconiche, elevando un genere ancora inesplorato, nuovo, al più alto grado cinematografico. Con l’aiuto di Alessandro Alessandroni (anch’egli diplomato al conservatorio di Roma), il responsabile del mitico fischio nell’intro del tema principale e fondatore de I Cantori Moderni, il maestro diede linfa sonora ad un genere considerato di basso grado grazie all’utilizzo di elementi sperimentali: da schiocchi di fruste, cori sguaiati e chitarre elettriche. Fu solo l’inizio di una grande amicizia e intesa artistica. Un sodalizio epocale, comparabile solo a quello tra Bernard Hermann e Orson Welles, che non si fermò alla cosidetta Trilogia del dollaro ma si spinse oltre, verso nuovi, sconfinati orizzonti.

Il Cinema di genere e il Postmodermo

In quel periodo rigoglioso, Ennio Morricone incominciò ad avere le prime chiamate dai più importanti registi italiani, tra cui Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Marco Bellocchio e Dario Argento. Con l’avvicinarsi degli anni ’70, le collaborazioni triplicarono rendendo il maestro non solo noto nel campo del western, brutalmente detto all’italiana, (Sergio Corbucci, Franco Giraldi, Sergio Sollima) ma esplorò con una certa decisione il genere poliziesco, con minimalismo crudo e violento, come i film stessi volevano figurare. Questa sua inclinazione verso generi meno classicheggianti, dettata anche da un lavoro in continua crescita, creò un legame indiretto con il giovane Quentin Tarantino, sicuramente colpito dal modo in cui il compositore ebbe successo anche in America e, da li a poco, in tutto il mondo.

Da Oliver Stone a John Carpenter, Ennio Morricone lavorò con alcuni dei registi più visionari di sempre. Proprio con quest’ultimo ci fu un malinteso che obbligò Morricone a cestinare gran parte della colonna sonora per privilegiare i sintetizzatori voluti da Carpenter per il suo La Cosa. Questa vicenda, ovvero lo scarto di alcune tracce da parte di Carpenter, diede uno spunto al regista di Knoxville per approcciare il tanto amato compositore. Dopo anni di contrasti per via delle sue continue citazioni, da Ennio Morricone considerate fuori luogo, ed attimi fuggenti, i due finalmenti si rincontrarono (dopo un arrangiamento di Ancora qui della cantante Elisa, presente in Django Unchained) in vista delle riprese di The Hateful Eight. Dopo la lettura della sceneggiatura da parte della moglie, considerata dalla stessa un capolavoro, Morricone decise di mettersi al lavoro, spulciando tra vecchie partiture appartenenti proprio alle tracce scartate da John Carpenter. Il cerchio è quindi completo, il connubio perfetto. The Hateful Eight fu un film parecchio controverso ma le note del main theme composte ad hoc per Tarantino lasciarono pochi dubbi all’Academy, premiandolo per la prima volta con l’Oscar alla miglior colonna sonora.

Ennio Morricone, un’eredità inestimabile

Difficile trovarsi in disaccordo con Quentin Tarantino. Quella di Ennio Morricone è stata una carriera destinata a durare per sempre, così come le note incise nella mente di chiunque ha avuto o avrà il piacere di ascoltarle. Un’icona che ha definito un pezzo di storia attraverso la sua arte ed una tecnica ai massimi livelli. Sperimentale al punto giusto, metodico al punto giusto. Questo è il compromesso che fa di un artista un genio.


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1 Comment

  1. Quando morì Nino Rota, ai suoi funerali c’erano soltanto sei persone. Nè si scatenò tutto il battage creato, anche ad arte, attorno a Ennio Morricone: battage provocato dall’aspetto mediatico della produzione di quest’ultimo (tant’è che non si ricorda e comunque non si descrive in alcun modo il lavoro con un Pasolini oppure con Bernardo Bertolucci mentre si sprecano pagine e pagine per i motivetti facili degli spaghetti western; e per stare al lavoro di musicista e direttore d’orchestra, si continuano a menzionare mediocrità come le canzonette di Morandi e Vianello e in genere i loro contributi alla Rca quando, per portare un esempio di omissione, non si menziona nemmanco per il rotto della cuffia il long-playing delle sue canzoni da film creato per Milva e da lui diretto).
    Ennio Morricone era certamente una bella persona e anche un bravo musicista ma di sicuro non avrebbe gradito tutto questo can-can, non concesso ai creatori più autentici del nostro cinema. Sarebbe da sperare che questa frenesia celebratoria aiuti almeno il nuovo cinema o almeno lambisca le personalità di valore che rimangono nell’ombra.

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