Tra il 26 maggio e il 2 giugno si è tenuto nella splendida cornice di Palazzo Cominelli in San Felice del
Benaco la sedicesima edizione del FilmFestival del Garda. Un’organizzazione rodata che ha visto la proiezione di decine di pellicole e si è ispirata al motto “cinema come cura” – che oltre a essere il sottotitolo di un esaustivo studio di Roberto Lasagna sull’opera dell’autore di Caro diario, è anche uno dei temi focali per Bergamo Brescia Capitale della Cultura.
Coerentemente alla tematica, in quest’ultima edizione ha trovato spazio anche la filmografia di Ermanno Olmi, oggetto di una retrospettiva diffusa allestita in collaborazione con FIC (Federazione Italiana Cineforum) e parte del progetto Cinema al cuore. Per l’occasione il FilmFestival del Garda ha proposto Torneranno i prati – ultimo lavoro del grande regista – e Terra Madre – documentario sull’emergenza alimentare che vede anche i contributi di Franco Piavoli e Maurizio Zaccaro. Proprio quest’ultimo – intervistato da Emanuela Martini, direttrice di Cineforum Rivista – ha inaugurato l’ultimo giorno del Festival. Zaccaro ha presentato per l’occasione La scelta. L’amicizia, il cinema e gli anni con Ermanno Olmi, edito da Vallecchi.
Verso un’ipotesi di cinema
Già regista, Maurizio Zaccaro comincia a lavorare con Ermanno Olmi agli inizi degli anni Ottanta con il film visionario Camminacammina – progetto pensato dopo l’irripetibile successo de L’albero degli zoccoli. Seguono anni di collaborazione e profonda amicizia, consolidatisi con vari progetti tra cui – ad esempio – La valle di pietra del 1992, ispirato a una novella dell’austriaco Adalbert Stifter. Proprio in occasione di questo progetto Zaccaro ne La scelta ricorda come:
Quei giorni passati insieme a scrivere credo siano stati determinanti non solo per il mio lavoro di regista, ma anche per quello di sceneggiatore. Senza quelle straordinarie “lezioni private”, la sceneggiatura (intesa come lavoro) sarebbe rimasta per me una chimera irraggiungibile.
Un continuo dialogo che permane tanto sul set quanto nelle sale della scuola sui generis fondata da Olmi e Valmarana, Ipotesi cinema. È proprio in Ipotesi cinema che aspiranti registi e sceneggiatori – si pensi a Mario Brenta, Giorgio Diritti, Rodolfo Bisatti – trovano professionisti pronti ad ascoltarli senza volere un corrispettivo economico in cambio:
Ipotesi cinema era anche questo, un po’ goliardica, ma, soprattutto, era un gruppo unito, solidale. Non sarebbe stato lo stesso in una scuola di nome e di fatto. Eravamo così perché non c’erano docenti, né lezioni, c’era solo una grande voglia di fare, di lavorare, di creare qualcosa insieme. Inutile nascondere che non era tutto rose e fiori, si litigava, a volte ci si insultava come in tutte le case del mondo, ma alla fine quello che contava di più era andare avanti, far vedere alle istituzioni che in quel momento ci stavano sostenendo che non erano soldi buttati, tantomeno tempo sprecato.
Ermanno Olmi, il cantore degli emarginati
Nel cinema di Ermanno Olmi sussiste il confronto con i suoi allievi, la provocazione, per ingenerare domande sul senso dell’arte e sull’importanza della storia che si intende raccontare. Olmi è il regista del necessario, capace di catalizzare l’attenzione dello spettatore sui dettagli imperituri della vita umana, con le sue inevitabili nevrosi ingenerate da una società spesso concitata, aggressiva.
Un Olmi pronto a reagire alle angherie dei potenti per porre la propria attenzione sugli umili, gli ultimi. Il regista pone il suo obiettivo empatico e misericordioso sulle vicende degli emarginati, senza preoccupazioni di eventuali censure e senza farsi intimidire da tagli, ristrettezze o commenti che possono – almeno di primo impatto – vanificare anni di lavoro. Così Zaccaro discorre della censura che colpì Camminacammina – per il suo ritratto dei Re Magi – oppure di Milano ’83 – sequenza contraddistinta da un montaggio virtuoso per mostrare l’altro volto della “Milano da bere”.
Certamente una generazione di interi cineasti deve molto a Ermanno Olmi, che contraccambiando l’hanno sempre riconosciuto e omaggiato come uno dei più grandi registi italiani del secondo Novecento. Un uomo, innanzitutto, capace di convogliare in sé l’amore e il rispetto di collaboratori che con gli anni, immancabilmente, sono divenuti compagni d’avventura e amici.
Zaccaro – soprannominato affettuosamente il suo “alfiere” – racconta con sincera partecipazione emotiva il processo artistico di Olmi, immortalato anche nel documentario Un foglio bianco. Con fare discreto Zaccaro riprende il maestro durante la realizzazione de Il villaggio di cartone. L’amico collaboratore restituisce un testamento spirituale sul come Olmi intendeva fare cinema. Il talento registico e umano si palesa in maniera indelebile, partendo anche dai provini che compie con i singoli attori. Vere sedute psicologiche che, ancora una volta, mirano a sollecitare l’attore a sempre nuove domande e risposte:
Di questo percorso compiuto insieme, dalla preparazione alle riprese, durato ben cinque mesi, cercai di cogliere gli aspetti più misteriosi e intimi del lavoro di un regista, ma non solo. Quello che mi interessava non era documentare la “macchina cinema”, bensì tutto quello che la nutre, a cominciare dagli incontri con i personaggi che Olmi andava infaticabilmente cercando per il cast della sua opera. Donne, uomini e bambini provenienti di paesi più poveri del mondo. Migranti, rifugiati, esuli, disperati appena sbarcati sulle nostre coste, sopravvissuti ai naufragi in mezzo al Mediterraneo. Per tutti costoro Olmi non era un regista, ma un amico col quale dialogare (grazie a un interprete) senza soggezione, in totale libertà e serenità.
Come rimanere fedeli a sé stessi
La scelta diventa un libro utile per comprendere la filmografia, la filosofia e l’arte di Ermanno Olmi. Più che sulle nozioni tecniche, Zaccaro si concentra sul rapporto umano e – oltre all’intento aneddotico – vuole fissare nella mente del lettore le innovazioni operate da Olmi in ambito cinematografico. Apparentemente fuori contesto rispetto a una società forsennata, il regista de Il mestiere delle armi rimane sempre fedele a se stesso (quest’ultimo film, inoltre, sarà proiettato all’Eden d’estate a Brescia il 27 giugno nel complesso museale Santa Giulia).
Il cinema di Ermanno Olmi rimane un personale atto d’amore mirato alla comprensione dell’altro. Un inno alla paziente ricerca e comprensione dell’uomo e del suo rapporto sia con l’altro sia con la natura. Con Olmi le storie del passato acquisiscono forma e plasmano le chiavi di lettura per comprendere e anticipare il futuro. «Ogni film ha la sua dignità» dice Olmi nell’ultima telefonata a Zaccaro «e tu questa dignità la devi difendere a tutti i costi … sempre».
Articolo di Lorenzo Gafforini
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