Con una media di oltre 16 milioni di telespettatori per episodio, Euphoria è la serie HBO più vista di sempre dopo Game of Thrones. L’opera di Sam Levinson (Assassination Nation) ha suscitato un interesse tale che la seconda stagione è stata un vero e proprio trionfo, un rito collettivo settimanale conclusosi nella notte tra il 27 e il 28 febbraio.
Dopo un primo episodio di violenta rottura stilistica e strutturale col passato, Euphoria è tornata sui suoi passi col voice over di Rue (Zendaya) e atmosfere più familiari, ma ha perso molte di quelle caratteristiche che l’avevano resa una serie così popolare. Cosa non ha funzionato?
Molta forma, poco contenuto
“Se la prima stagione è una festa in casa alle due del mattino, la seconda sa di cinque del mattino, molto oltre il momento in cui tutti sarebbero dovuti tornare a casa.
Sam Levinson
Girata su pellicola Ektachrome, la seconda stagione di Euphoria presenta, sul piano tecnico, un livello qualitativo tale da far impallidire quella precedente, che pure era molto ricercata. La regia magnetica e l’eccezionale fotografia, accompagnate da una colonna sonora che conta collaborazioni con Labrinth, Lana del Rey e Tove Lo, catturano sin dal primo minuto.
A questo spettacolare contorno, però, non si abbina quasi nessun contenuto. Levinson sembra arrancare, come se fosse a corto di idee. Fa uno strano effetto vedere Euphoria, che ci ha abituati a trame non scontate e al ribaltamento dei classici tòpoi, stagnarsi in un triangolo amoroso visto e rivisto, portato avanti con tempi da soap opera. Solo quando la questione giunge al turning point la serie riesce a ingranare di nuovo, in un sesto episodio che sa finalmente di progressione ma che arriva troppo tardi.
Il character developement è quasi del tutto abbandonato, i cold open diminuiscono drasticamente e le trame in sospeso spesso non vengono riprese o sono solo citate brevemente. La messa in scena si allontana eccessivamente dalla realtà, al punto che lo spettatore non si identifica più con gli eventi sullo schermo e non prova empatia, bensì distacco.
Così si guarda Euphoria come Beautiful: macchiette bidimensionali, situazioni assurde e tempi narrativi eterni. Con la differenza che la prima si prende molto sul serio, e nel farlo rischia di diventare una parodia di sé stessa.
Le controversie attorno a Euphoria
Il personaggio che più è stato messo in disparte in questa stagione è Kat. La cosa potrebbe però non dipendere da semplici problemi di sceneggiatura: sembra infatti ci siano state tensioni tra Barbie Ferreira e Sam Levinson tali da portare l’attrice a lasciare il set e il regista a tagliare diverse sue scene. È probabile che ciò sia accaduto a causa di opinioni contrastanti sulla direzione da dare a Kat, che subisce una scandalosa involuzione, completamente agli antipodi rispetto al suo memorabile e potente percorso nella prima stagione.
Altro scomparso è McKay, interpretato da Algee Smith. La cosa ha comprensibilmente preoccupato i fan, specie perché era l’unico protagonista maschile nero. Si vocifera si sia allontanato dallo show perché non vaccinato, ma l’emittente ha negato la cosa e l’attore afferma di non sapere perché gli sia stato dedicato così poco spazio.
Restando in territorio controversie, parliamo di nudità, caratteristica ricorrente nei prodotti HBO ma particolarmente presente in Euphoria. Alcune attrici del cast ne hanno parlato: Sydney Sweeney, per esempio, ha chiesto allo showrunner di rimuovere alcune scene di nudo che riteneva superflue, mentre Martha Kelly (che interpreta l’inquietante Laurie) ha voluto che il momento in bagno con Rue nel quinto episodio non fosse esplicito come previsto.
È quantomeno strano che Levinson insista in maniera esasperante sui nudi femminili in una serie popolata da protagonisti adolescenti. Tra l’altro, questo comportamento dimostra ancora una volta il suo gusto per l’esagerazione e la costante ricerca dello shock visivo. Forma a tutti i costi: un obiettivo tanto seducente quanto fatale.
A Euphoria 2 manca l’equilibrio
Come si diceva prima, dal sesto episodio la stagione si riprende, seppur zoppicando, ma presto si blocca di nuovo: il tanto anticipato spettacolo di Lexi, infatti, occupa entrambe le ultime due puntate, separate da un discutibile “To be continued”. Numeri musicali eccellenti e situazioni più o meno comiche sul palco si alternano a momenti di tensione dentro e soprattutto fuori la scuola. Il tutto è gestito in modo raffazzonato, con una frustrante non linearità temporale che ha il solo scopo di rimandare il più possibile gli eventi salienti.
Appare chiaro che Levinson non stia seguendo una direzione precisa. L’indole decisamente troppo volatile (che porta le giornate lavorative sul set a durare persino 18 ore) di un regista che conduce al grottesco la propria pretenziosa autorialità a discapito del senso è, a questo punto, più irritante che attraente.
Sarebbe bene ridimensionarsi, accogliere altre persone nella writing room – la collaborazione con Hunter Schafer nella realizzazione del secondo special parla da sé – e trovare un maggior equilibrio tra forma e contenuto. Perché lo sbilanciamento su tutti i fronti sta rovinando una delle serie più interessanti degli ultimi anni.
Seguici su Instagram, Tik Tok, Facebook e Telegram per sapere sempre cosa guardare!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!
Bravo, ho appena finito la seconda stagione e l’ho trovata penosa, con tutte le vicende e le caratterizzazioni dei personaggi penosi… è vero, sparisce l’empatia, è tutto fine a se stesso…ad esempio il padre di Nate era un personaggio interessante, diventa una macchietta…lo stesso Nate molto meno interessante…tutti i personaggi e le vicende scadono e la narrazione è spesso pesante….
Complimenti perché ho letto che tutti parlano bene di questa orrenda seconda stagione, che è un esercizio artistico fine a se stesso, vedi le ultime 2 irritanti puntate sullo spettacolo teatrale ma che nella sostanza non ti lasciano nulla sennò noia ed irritazione.