In concorso per il Leone d’Oro al Miglior Film, Ferrari di Michael Mann è la spinta che serviva a quest’edizione del festival, iniziata in sordina con un giorno d’apertura poco appetibile. La sala freme, si scaldano i motori, tutti trattengono il fiato per l’ultima opera del regista, quattro volte candidato al Premio Oscar. Scritto da Troy Kennedy Martin (The Italian Job) e dallo stesso Mann, Ferrari è basato sul romanzo di Brock Yates “Enzo Ferrari: The Man and The Machine” e racconta – in silenzio – il fragile equilibrio di un’icona che ha segnato, per sempre, il mondo delle corse automobilistiche. Ferrari è un’esperienza virtuosa, dalla prima sequenza al respiro dell’epilogo.
Prodotto da STX Entertainment, Ferrari è un’esclusiva per l’Italia Leone Film Group in collaborazione con Rai Cinema. Arriva al cinema con 01 Distribution, probabilmente a fine novembre.
Adam Driver è il commendatore Enzo Ferrari in Ferrari di Michael Mann
Modena, 1957. Dieci anni dopo la nascita della Ferrari, l’ex pilota e ora costruttore di auto Enzo Ferrari (Adam Driver) affronta l’annus horribilis della scuderia e, contemporaneamente, quello della sua vita privata. La morte del figlio Alfredo, affetto da distrofia, ha incrinato il matrimonio con la moglie Laura (Penélope Cruz) che, pur consapevole dell’infedeltà del marito, non è disposta a perdere il nome né il ruolo nell’azienda di cui è partner. Enzo vive, da oltre dodici anni, una doppia vita: è infatti compagno di Lina Lardi (Shaileen Woodley) e padre del piccolo Piero, appassionato di motori (e futuro erede della Ferrari) che però non riconosce per non turbare la moglie Laura, già addolorata per la perdita del figlio.
La Ferrari è sull’orlo del declino: le macchine non sono veloci, gli incidenti si susseguono uno dopo l’altro e i giornalisti scribacchini mangiano e festeggiano sul fallimento di un uomo che vive per ciò che ha creato. L’unica speranza, con Jean Behra alla Maserati, è che a guidare la Ferrari 335 Sport nella Mille Miglia sia “il Fon” Alfonso De Portago (Gabriel Leone). Ma qualcosa va storto, e con la tragedia di Guidizzolo Ferrari torna al centro del mirino.
“Costruire un muro, o cambiare mestiere”: così il Ferrari di Driver spiega la dedizione
Un “Saturno che divora i suoi figli“. Così, come il celebre quadro di Goya, veniva dipinto dai giornalisti Enzo Ferrari allo scadere degli anni Cinquanta. Un uomo schivo, lontano dai riflettori, padre e compagno affettuoso, marito infedele di una donna distrutta dal dolore. “Con Adam ci siamo concentrati sugli aspetti più intimi della vita privata di Enzo“ – ha dichiarato Michael Mann in occasione della conferenza stampa – “Abbiamo cercato di ricreare un microcosmo, abbiamo perfino parlato con la nipote di Lina Lardi”, ha continuato il regista, raccontando di come il progetto sia nato ancor prima dell’idea.
Camminare nelle stesse stanze in cui aveva camminato Enzo, leggere i suoi diari, respirare la quotidianità delle sue abitudini ha meravigliato il regista e l’ha diretto verso un solo obiettivo: quello di raccontare la sfera emotiva di un uomo oltre la sua icona pubblica, la tragedia familiare, i sentimenti corrotti e i bisogni più semplici. Ferrari amava i suoi piloti, ma amava e ancor di più credeva nelle sue macchine. E quegli stessi piloti, li incoraggiava alla determinazione, alla passione più dedita, perfino alla morte – nei casi più estremi, affrontando in prima persona le conseguenze di fronte a scribacchini capaci di distruggerne il nome in punta di penna.
L’Enzo di Adam Driver piange solo una volta, poi torna a mettere gli occhiali da sole per impedire a tutti gli altri di entrare nelle sue paranoie: “costruire un muro, o cambiare mestiere”, queste le parole che risuonano come un’eco per l’intero corso del film. C’è un’unica traiettoria per affrontare una curva, un solo modo per vincere, e questo Mann ce lo dice dall’inizio, quasi lo promette, nel viaggio all’alba di Enzo per raggiungere Laura prima della colazione: frizione, marcia, curva. Frizione, marcia, curva. Ferrari mantiene questo ritmo, carnale e pastoso nell’intimità dei suoi affetti, dinamico e brutale nell’ostinata conservazione del suo nome.
Sentiamo tutto, vediamo tutto: i silenzi verbosi di Enzo, il calore di Lina, il progetto di Piero, la fedeltà di Laura, il suono delle ruote sull’asfalto: “Ho gareggiato anche io in gioventù” – dice Mann – “Hai un unico obiettivo e ogni cosa svanisce. Volevo che lo spettatore sentisse questo, piuttosto che una grafica elegante. Volevo che capissero che cosa significasse guidare una macchina negli anni ’50. Ogni suono che sentite in Ferrari è originale“.
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