La produzione cinematografica della Russia sovietica successiva alla seconda guerra mondiale fu caratterizzata dal realismo sociale: uno stile che potesse parlare con facilità a tutto il popolo di questioni complesse come guerra, coscienza di classe, ripartizione delle risorse, e che potesse al contempo fare efficace propaganda. Oltre alla evidente pochezza stilistica di questo filone, è impossibile non menzionare l’osceno atto di soppressione che lo Zdanovismo – la linea censoria e artistica stalinista – operò nei confronti dell’unicità di voci autoriali e culturali.
A difesa della libera rappresentazione si erse Sergei Parajanov, regista armeno nato a Tiblisi in Georgia. Già da queste due informazioni anagrafiche è facile intuire come il lavoro di Parajanov sia stato influenzato da tutti i folklori e le specificità culturali che l’Unione Sovietica cercava di far scomparire in nome di un’unica cultura russa e proletaria, che potesse rafforzare il controllo di Mosca sull’impero espanso.
La filmografia di Sergei Parajanov fu interamente dedicata a dare voce alle minoranze racchiuse nell’egemonia russa: Armenia, Georgia, Ucraina, Moldavia e Azerbaijan furono i luoghi di cui Sergei Parajanov volle salvaguardare i miti, le usanze e l’arte locale. Il Cinema Ritrovato ha deciso di riesumare diversi dei lavori minori del regista per dimostrare che anche prima di diventare un autore di fama internazionale Parajanov aveva tutte le carte in regola; sono stati quindi selezionati tre film attraverso i quali riscoprire il primo Sergei Parajanov.
Sergei Parajanov, la rivoluzione poetica
Come già accennato, Sergei Parajanov fu da subito esposto ad una moltitudine di culture: la sua appartenenza armena lo ricondurrà in seguito a dirigere il suo film di maggior successo critico Il Colore del Melograno (1969), dedicato al poeta nazionale Sayat Nova ed unica testimonianza d’arte armena prodotta prima del genocidio d’inizio 900. La Georgia verrà invece omaggiata col successivo La Leggenda della Fortezza di Suram (1985), nel quale Sergei Parajanov narra uno dei miti fondativi della regione.
Impossibile non menzionare il lavoro svolto in Ucraina, dove Parajanov mosse i primi passi nel mondo del cinema, lavorando a film e corti di propaganda che in seguito ripudierà. Prima ancora del suo debutto sul set, Parajanov frequentò la Moscow Film School, dove conobbe quello che sarebbe stato il suo più grande amico e collaboratore: Andrej Tarkovskij. Fra i due nasce un sodalizio poetico più che pratico, che però accompagnerà entrambi per tutte le loro carriere: Sergei Parajanov condivideva infatti le stesse idee di Tarkovskij in merito ad un “cinema poesia“, fondato sulle impressioni, sui colori, sulle forme e nulla più.
Come vedremo, l’atto rivoluzionario di Parajanov fu proprio questo: anche quando era costretto a dirigere drammi sociali riusciva sempre ad infondervi una qualche trovata, una qualche indescrivibile manipolazione dello schermo che andasse ben oltre il semplice film di regime. Dopo essersi liberato della paura di ripercussioni politiche – che infine lo raggiunsero nella forma di anni di prigionia – Sergei Parajanov iniziò ad attivamene ripudiare la narrazione in favore di un cinema totalmente sinestetico: sensazioni, quadri e manipolazione del tempo erano i suoi obiettivi ultimi.
Andriesh (1954)
Prodotto a Kiev in collaborazione con il regista Jakiv Bazeljan, Andriesh apparteneva al diffuso filone del film favolistico e di formazione: si tratta di una produzione “standard”, un film abbastanza nella media per quello che era il modello del genere all’epoca. Eppure il tocco di Parajanov si sente: il soggetto è adattato da una fiaba moldava, ma rimaneggiato da Parajanov in persona. Già si può intravedere quella che poi diventerà la cifra autoriale del recupero delle tradizioni locali a dispetto della macro-cultura sovietica.
Formalmente è invece necessario fare un paio di considerazioni: le immagini e l’aspetto dei mostri e dei personaggi già ammiccano al surrealismo che caratterizzerà in seguito il cinema di Sergei Parajanov, ma rimangono comunque fedeli alle rappresentazioni nel libro originale. Di maggiore interesse è invece l’utilizzo del montaggio: Andriesh è il primo film del regista dopo essere uscito dall’accademia di Mosca, per cui è facile rintracciare gli stilemi della scuola sovietica di Eisenstein, il “Montaggio delle Attrazioni“; influenzato proprio da questo, Sergei Parajanov già col suo primo film mira ad evocare una risposta emotiva dallo spettatore.
Altra lezione di Eisenstein inscenata nel film è l’utilizzo delle folle: è certo curioso che il titolare protagonista non sia responsabile della sconfitta del mago cattivo, abbattuto invece dalla forza congiunta di tutti i paesani e pastori, che si muovono a schermo come un’unica entità dal potere immenso. Eppure Andriesh lascia solo immaginare gli sviluppi artistici del percorso di Sergei Parajanov.
Rapsodia Ucraina (1961)
La prima esperienza da solista di Parajanov lo portò a confrontarsi con un altro film dai toni ancora popolari, girato però nel breve periodo di disgelo censorio che seguì alla morte di Stalin. Rapsodia Ucraina infatti oltre a raccontare delle immense sofferenze subite da una coppia ucraina separata durante la seconda guerra mondiale, mostra grande compassione per tutti i popoli d’Europa e utilizza la musica come grande strumento di riappacificazione, ponendosi come un vero e proprio musical dai toni per metà operistici, per metà legati ai canti popolari.
Numerose le sequenze dedicate ad una gara canora fra rappresentanti di vari stati, durante le quali per la prima volta assistiamo alle sperimentazioni visive che solo qualche anno dopo diverranno il tratto distintivo di Sergei Parajanov: immagini incorniciate in altre immagini, esplorazione della tridimensionalità dello spazio tramite veli e riflessi, composizioni poetiche che trascendono il senso logico della storia ma che catturano l’emotività della scena.
Qui sono per la prima volta rintracciabili le influenze dell’amico Tarkovskij: la struttura narrativa fatta di flashback continui e l’insistenza su temi come i ricordi e il senso della vita, l’esistenza della violenza. Viene solo da chiedersi chi due due abbia influenzato chi, visto che entrambi gli autori hanno lavorato nello stesso periodo e con ritmi produttivi simili.
Le Ombre degli Avi Dimenticati (1965)
Credit: Harvard Film Archive
Qui finalmente esplode la vena lirica di Sergei Parajanov: raccontando la semplice storia di una coppia ucraina dei Carpazi, destinata a grandi sofferenze nella propria vita, Parajanov trasforma ogni inquadratura in un bagno di colori e geometrie; i movimenti di macchina sono sperimentali per gli standard odierni e non hanno perso neanche un poco del loro smalto originale.
Il film in questione è l’assoluto capolavoro di Sergei Parajanov, anche più grande de Il Colore del Melograno: si tratta di quei rari film che risulta impossibile trasmettere con efficacia senza scadere nel poetico o nella banale descrizione. Dietro ogni immagine si cela lo studio di un’intera mitologia di riti e significati, ogni scelta cromatica richiama emozioni che nessuno spettatore potrebbe ignorare, ogni taglio è una pennellata degna dei migliori pittori.
Dispiace scriverlo, per quanto banale e limitante sia farlo, ma bisogna “vederlo per crederci”. Forse proprio per questa assenza di parole da poter spendere sul film, si dimostra che Parajanov aveva ragione: il verbocentrismo del cinema narrativo classico non può nulla in confronto al potere delle sole immagini.
Conclusioni
Credit: Harvard Film Archive
La figura di Sergei Parajanov è affascinante almeno quanto lo è la sua filmografia: il suo cinema è uno dei modi migliori per esplorare quanto il mondo abbia da offrire, sia in termini di varietà umana che di produzione artistica. Non è facile trovare altri autori così coerenti e fondamentali come Sergei Parajanov è stato sul palcoscenico del cinema internazionale: di certo poter recuperare buona parte dei suoi lavori sul grande schermo è stato un privilegio garantito a pochi, e per questo è necessario ringraziare il Cinema Ritrovato.
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