Il nuovo film del regista irlandese John Carney è una dramedy familiare sul potere della musica, sui nuovi incontri e sulle rinascite, un po’ come lo è tutto il suo cinema. Flora and Son gira intorno alla figura materna di Flora (Eve Hewson) e al rapporto che intrattiene con il figlio Max (Orén Kinlan) e con la vita.
Il film è stato presentato al Sundance Film Festival nel 2023 ed è disponibile dal 29 settembre su Apple TV+.
All about Flora
Flora è una giovane madre single che va a letto con uomini che disprezza, ha un problema con l’alcol, è sboccata, egoista e ha un rapporto conflittuale con il figlio Max. Come per tutti i personaggi che abitano il cinema di John Carney, su di lei inizia a gravare il peso di un’esistenza deludente. “I can’t go on like this” (“Non posso andare avanti così”) dice parlando con la sua amica, e ancora “This can’t be my story” (“Non può essere la mia storia”).
Nel cinema del regista irlandese, i nuovi incontri portano nuove prospettive e speranze, e Flora and Son non è da meno. Se in Begin Again (2013), Greta (Keira Knightley) incontrava in un bar Dan (Mark Ruffalo) e in Sing Street (2016) il giovane Conor (Ferdia Walsh-Peelo) s’innamorava di Seraphina (Lucy Boynton), qui l’incontro che cambia tutto avviene virtualmente, in videochiamata, con il chitarrista Jeff (Joseph Gordon-Lewitt).
In queste videochiamate Flora scopre il valore catartico della musica e creare canzoni diventa il vettore emozionale per ricucire i rapporti e aprire prospettive inedite sul mondo. Da qui riparte la vita di Flora.
Flora and Son nella poetica di John Carney
Collocato nella filmografia di John Carney, Flora and Son, con la sua esplorazione della genitorialità, della musica e dell’adolescenza, appare da un lato come il controcampo di Sing Street, che affrontava la vita con uno sguardo prestato ai giovani, e dell’altro la continuazione di un discorso già affrontato in Begin Again, nella figura paterna di Dan. Il problema è che, a differenza di questi titoli precedenti, Flora and Son manca della stessa vitalità ed energia, così come di idee nella messa in scena e nel racconto.
Begin Again, per esempio, affrontava la rottura di relazioni sentimentali, l’incrinarsi dei rapporti con la famiglia, la crisi della carriera, la passione per la musica, tutto attraverso un incontro catartico che riuniva i cocci di due vite problematiche, con un’ottima scrittura e una regia funzionale sia a rendere lo stato emotivo dei personaggi, sia a vivere una New York che è eternamente presente, quasi fosse un personaggio.
Allo stesso modo, Sing Street era uno spaccato su alcune vite incrinate da un contesto sociale in collasso, un microcosmo di famiglie disfunzionali e speranze giovanili di fuga. Il film viveva anche di soluzioni registiche interessanti, dalle sequenze trasognate in cui la musica diventava garante di illusorie possibilità, alle urla dei genitori tenute nel fuoricampo; balenavano poi gli sprazzi di un immaginario americano che veicolava tutto un modo di sognare e guardare il mondo e c’era uno sguardo sui luoghi di Dublino.
Cosa non funziona in Flora and Son?
In Flora and Son manca tutto questo. In primo luogo il racconto è manchevole proprio di una conflittualità tale da rendere la storia interessante. L’assenza del conflitto azzera l’appeal e abbandona il film alle sagome dei suoi personaggi senza profondità. Per questo la scrittura risulta abbastanza superficiale: il film scorre con facilità verso un finale pacificatorio che ha solo scalfito, senza raggiungerla, la natura dei personaggi, costruendo sì delle sequenze musicali riuscite (come già ci aveva abituato il regista), ma che non prendono vita e senso dalle tracce lasciate dal film.
Se si guarda oltre la scrittura, lo sguardo del regista verso la città e la condizione che vorrebbe dipingere è assente oppure abbozzato in modo macchiettistico. I momenti di sogno, di cui si parlava sopra per Sing Street e Begin Again, qui si limitano al rapporto virtuale con Jeff, che in ogni videochiamata esce dallo schermo per intrattenere un illusorio rapporto di vicinanza con la protagonista. Se da un lato queste sequenze suggeriscono una vicinanza emotiva, l’universalità della musica e discorsi affini, l’effetto risulta abbastanza posticcio e il suo abuso ne depotenzia le possibilità.
Per gli innamorati delle storie, delle idee e dei momenti musicali che contraddistinguevano il cinema squisitamente indie di John Carney, qui il passo è all’indietro. Flora and Son risulta alla fin dei conti come un’opera abbastanza piatta, con poco da aggiungere rispetto a quello che il suo cinema aveva già detto e con una messa in scena pressoché anonima.
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