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Bastardi senza gloria, le fonti nascoste che hanno dato vita al film

11 minuti di lettura

Per quanto il primo capitolo di Bastardi Senza Gloria di Quentin Tarantino possa ricordare l’incipit dell’epopeico C’era una volta il West di Sergio Leone, lo sguardo di NPC si propone oggi di spostarsi dalla classica fonte d’ispirazione del regista di Knoxville verso un’ulteriore influenza che collega il capolavoro tarantiniano alla letteratura francese novecentesca. Più precisamente ad un suo massimo esponente che prende il nome di Vercors e il suo primo, emblematico, romanzo: Il silenzio del mare.
Scopriamo allora fonti e citazioni nascoste in Bastardi Senza Gloria, realizzando quanto profondo può essere il lavoro di rielaborazione tarantiniana.

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Silenzio

Il C’era una volta che piace tanto a Tarantino

Prima di proseguire con il tema principale, sarebbe piuttosto scorretto non ricordare, quantomeno in maniera leggera, del peso leoniano che permea il cinema di Tarantino. In questo caso, senza ripetere le assidue lodi da sempre decantate da quest’ultimo nei confronti del maestro italiano, il paragone cinematografico si restringe alle protagoniste femminili che illuminano i due film sopracitati, ovvero Shosanna Dreyfus e Jill McBain. Queste due magnifiche figure, rispettivamente interpretate da Mélanie Laurent e Claudia Cardinale, non solo presentano caratteristiche simili (come ad esempio quello di provare un amore impossibile) ma condividono anche un tragico passato familiare.

Dopo un’ansiogena versione di Für Elise dell’immancabile Ennio Morricone, intitolata The Verdict dal film La resa dei conti di Sergio Sollima, Tarantino accompagna lo spettatore in quello che sarà il teatro di un’orrenda carneficina. L’inaspettata intrusione delle SS ricorda, per certi versi, la stessa adottata dal sicario Frank in C’era una volta il West, quando, dopo lo scontro introduttivo, la scena si sposta nei pressi del ranch McBain. Una famiglia sta preparando una cerimonia nuziale che vedrebbe protagonisti il padrone di casa e l’ex prostituta in arrivo da New Orleans. Lo stasus quo viene però alterato dall’intromissione di Frank e la sua gang, ai quali è stata ordinata l’esecuzione di tutti i presenti. Questo espediente narrativo, cioè quello in cui una tranquilla vita familiare viene completamente travolta da un oscuro personaggio, è esattamente ciò che si verifica nei due titoli protagonisti di questo articolo: Bastardi senza gloria e Il silenzio del mare.

Silenzio

Nella Francia occupata dai nazisti

Vercors, pseudonimo di Jean Bruller, fu uno scrittore e illustratore satirico francese. Fondatore della casa editrice Editions de Minuit, la stessa che gli consentì di pubblicare, nel 1942, il suo romanzo d’esordio e proteggersi dal braccio della Gestapo. Stiamo ovviamente parlando de Le Silence de la mer (Il silenzio del mare), un romanzo di sole 96 pagine, caratterizzato da una cornice molto simile a quella dell’intro di Bastardi senza gloria: una torpedo militare guidata da un sottufficiale tarchiato, scorta un soldato biondo e sorridente, “armato” di una cassetta militare, alle porte di un’abitazione rurale, nei pressi della costa atlantica francese. Il nazista entra in casa, deponendo lo zaino. Infine, sfoggiando il suo miglior francese, si rivolge ad una ragazza, chiedendole alcune lenzuola… probabilmente bianche come il latte.

Impossibile non immaginarsi le mirabili locations collinari della Francia di Bastardi senza gloria, sapientemente fotografate dal fidato Robert Richardson, talmente pittoriche da ricordare i paesaggi agricoli di Gustave Courbet. Il laconico fattore Perrier LaPadite ed il verboso, quanto saccente, generale Hans Landa intraprendono un’improbabile conversazione, condotta principalmente dall’acuto generale delle SS, che si dilungherà tra oscuri resoconti, vani sotterfugi ed intrecci linguistici smaliziati e seducenti. Una premessa che trova la sua forza in un’abilità registica degna delle più grandi messinscene dell’epoca moderna e una capacità attoriale del cast al limite dell’irreale, primo su tutti l’inimitabile Christoph Waltz.

Il silenzio degli sguardi e la musica delle parole

Il romanzo non ha alcun risvolto violento, anzi, è proprio dietro a quel titolo dal suono tranquillo che si nasconde l’umana e sensibile ragione del tumultuoso silenzio. Il racconto procede, introducendo quindi l’ufficiale Werner von Ebrennac, il quale si presenta alla famigliola francese composta da non altro che “lo zio”, un anziano signore con la pipa, e “la nipote”, una graziosa e timida fanciulla. Entrambi accolgono l’ospite inaspettato con lapidario silenzio. L’ufficiale, inizialmente noncurante del loro atteggiamento, comincia a sventolare un sorprendente bagaglio culturale, cercando invano di intrattenere i due parenti ragionando d’arte, musica e letteratura, ma l’unico commento che riceverà sarà quello del silenzio. Ovviamente i punti in comune, per quanto riguarda l’aspetto narrativo e verbale, svaniscono gradualmente. Cosa alquanto prevedibile, conoscendo la cifra stilistica che da sempre contraddistingue il cinema di Quentin Tarantino. Ma non è finita qua.

Una volta entrato, Hans Landa getta una lunga e silenziosa occhiata alle figlie del fattore, ammirando con stupore l’incanto nei loro volti. Dopo qualche secondo di esitazione si siede, invitando LaPadite a fargli compagnia. Contrariamente a von Ebrennac, Landa è completamente disinteressato, se non per aspetti puramente estetici, alle figure femminili che abitano la fattoria. Un piccolo dettaglio però, che visivamente ricorda l’atmosfera di Vercors, è celato nello sguardo di Charlotte LaPadite, interpretata dalla magnetica Léa Seydoux. Nonostante rappresenti un personaggio dal numero irrisorio di inquadrature, il suo volto è assai difficile da dimenticare. I suoi occhi risultano sin da subito intrisi di un dolore che anche lo spettatore più distratto potrebbe percepire o la vista delle SS (come si verifica) sospettare. Un complimento, quello mosso dal tedesco nei confronti della bella Charlotte, che non verrà mai ricambiato, ma solo sostituito da un assordante silenzio.

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Monocromo postbellico e musica tedesca

Come già anticipato, il tappeto sonoro scelto da Tarantino per l’entrata in scena del colonnello Hans Landa non è altro che la rivisitazione spaghetti-western di Für Elise. Intramontabile spartito di Ludwig van Beethoven, non solo genera un connubio perfetto tra il citazionismo leoniano e quello letterario di Vercors, ma si avvicina ad un ulteriore cenno stilistico del celebre film di Jean-Pierre Melville, regista hard boiled francese, che lo stesso Quentin Tarantino non ha mai smesso di omaggiare. Il silenzio del mare (Le Silence de la Mer) è la prima trasposizione cinematografica del romanzo di Vercors che, dopo una lunga lotta legale per l’acquisizione dei diritti ed una travagliata produzione clandestina, ne amplificò il messaggio sociopolitico ed umano, portandolo a reggere il titolo di uno dei più grandi classici della letteratura di Resistenza francese.

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Lo schema registico di Melville riduce i costosi movimenti di macchina ad un uso lineare e sinuoso, inquadrature dal basso, giochi di luce tipici del noir, sempre fedeli alla chiave simbolica del romanzo. Queste tecniche, dal campo-controcampo alle riprese, sono ampiamente riconoscibili nella chiacchierata iniziale di Bastardi senza gloria, ma è la musica che, come in ogni film muto che si rispetti, fa la differenza. La colonna sonora gioca un ruolo fondamentale nella pellicola del 1947. Il film di Melville approfondisce le tematiche del romanzo, contrapponendo il silenzio morale ad alcuni pezzi della musica barocca tedesca: da Johann Sebastian Bach a Beethoven. Una musica senza tempo, ultimo rimpianto rimasto di una Germania lontana, trapassata ormai dalla guerra.

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Bastardi senza gloria, citazioni e silenzi

Se considerassimo il silenzio l’unico sintomo di protesta possibile, come una malinconica bonaccia sotto la quale si scatenano gli abissi della propria insurrezione, probabilmente le atmosfere evocate da Il silenzio del mare sarebbero in netto contrasto con il colore sanguigno e la vendetta sguaiata di Bastardi senza gloria. Ma se ci trovassimo immersi nel silenzio con il quale si accompagna la lettura, puro e genuino, e questo venisse irrimediabilmente spezzato da un nazista pronto a giocare tutte le sue carte per tenere un interminabile panegirico basato sulle sue gesta, allora sarebbe un valido motivo mantenerlo per manifestare il più totale disinteresse nei confronti di argomentazioni al limite della noia e resistere ad avanche difficilmente ricambiabili. In poche parole, il silenzio è la più grande arma di opposizione, e quello manifestato da Emmanuelle Mimieux ne è la prova certa… a meno che il soldato Zoller non insista.

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